Capitolo 3: il trattamento sanitario del minore
1. Il principio del consenso informato
Il principio del consenso informato nell’ordinamento italiano è il frutto di un lungo processo di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale164, rispetto
al quale la legge n. 219 del 2017 è solo l’ultima tappa.
Il legislatore italiano, infatti, fino al 2017, è sempre intervenuto in maniera asistematica con leggi di settore, mai con una disciplina organica di carattere generale che regolasse ogni aspetto del consenso informato (natura, funzioni, requisiti e limiti).
È possibile scorgere una forma elementare di consenso nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale165, che prevede come regola
generale la volontarietà del trattamento sanitario, precisando che quello obbligatorio (se ne ricorrono le eccezionali condizioni) deve essere accompagnato “da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”166. In questo senso, il consenso
è volto principalmente a tutelare la dignità della persona e questa sua finalità la ritroviamo anche nella legge n. 135 del 1990 relativa alla prevenzione e alla lotta all’AIDS. L’art. 5 comma 3 di tale legge stabilisce che “Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse”.
164 Cfr. FASAN M., Consenso informato e rapporto di cura: una nuova centralità per il paziente alla luce della legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Giurisprudenza Penale Web, 2019,
1-bis, p. 12 ss.; CASONATO C., Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della
Cassazione, in Quad. cost., 2008, p. 545 ss.; FERRANDO G., Diritto alla salute e autodeterminazione tra diritto europeo e Costituzione, cit., p. 3 ss.
165 La già citata l. 23 dicembre 1978 n. 833. 166 Art. 33.
56 Successivamente, si introduce nel sistema un vero e proprio consenso informato, perché si sente la necessità di porre la persona in grado di autodeterminarsi in modo consapevole, facendo precedere l’espressione della sua volontà da un’informazione adeguata. Ad esempio, la disciplina dell’interruzione della gravidanza, di cui alla l. n. 194 del 1978, prevede che alla donna debbano essere fornite una serie di informazioni che riguardano il trattamento medico, ma anche le alternative che potrebbero orientare diversamente la sua decisione rispetto al ricorso all’aborto (art. 5).
E’, però, la legge n. 40 del 2004 sulla procreazione assistita che per la prima volta delinea una disciplina dettagliata dell’istituto del consenso informato all’art. 6. Tale disciplina, pur essendo riferita ad un trattamento sanitario specifico, acquisirà una valenza sistematica nel nostro ordinamento, venendo estrapolata dal suo contesto per delineare una disciplina relativa al trattamento sanitario in senso lato. Se la analizziamo, è articolata in una serie di obblighi informativi che gravano sul medico, relativi sia al trattamento medico in sé (i rischi, gli effetti, i costi, le possibilità di successo…), sia agli aspetti giuridici dello stesso (l’assunzione della responsabilità genitoriale); inoltre, si richiede da parte del paziente “una volontà consapevole e consapevolmente espressa” 167, certificata in forma
scritta. Da questo emerge la ricerca di certezza e autenticità nella manifestazione di volontà espressa tramite il consenso, oltre che di una piena consapevolezza dell’atto che si sta per compiere. Questi aspetti emergono anche nella previsione di uno spazio di ripensamento di sette giorni tra la manifestazione del consenso e l’applicazione della tecnica e dalla possibilità di revocare liberamente il consenso fino al momento della formazione dell’embrione.
Nelle diverse leggi speciali emerge un istituto che non è semplice adesione a un trattamento proposto dal medico, ma acquisizione di consapevolezza e responsabilizzazione rispetto ad una scelta assunta in proprio, rispetto alla quale sono state prospettate alternative e conseguenze.
57 Come abbiamo accennato, sono state la dottrina e la giurisprudenza ad astrarre da questi ambiti specifici un principio del consenso informato riferito al trattamento medico in generale, individuandone i fondamenti costituzionali168. In particolare, è stato rilevante l’intervento interpretativo-
creativo di alcuni giudici, che trovandosi a prendere una decisione in situazioni mediche delicate, hanno dato contenuto e spessore al principio. Sono due le sentenze principali che hanno stabilito le basi del principio del consenso informato all’interno dell’ordinamento italiano169: la sentenza
della Corte di cassazione n. 21748 del 2007170 (caso Englaro) e la sentenza
della Corte costituzionale n. 438 del 2008171.
Nel caso Englaro la Corte di Cassazione, a partire da un’attenta ricostruzione delle fonti interne e sovranazionali, ha riconosciuto che il principio del consenso informato costituisce la legittimazione del trattamento sanitario, per cui l’intervento del medico eseguito senza il consenso del paziente costituisce un illecito172. Tale principio ha il suo
fondamento nella Costituzione all’art. 2, che tutela i diritti fondamentali della persona, all’art. 13 che garantisce l’inviolabilità della libertà personale e all’art. 32 che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e vieta i trattamenti sanitari obbligatori, se non nei casi stabiliti dalla legge.
La Corte sottolinea che il principio del consenso è espressione di una concezione del rapporto tra medico e paziente fondata sul diritto all’autodeterminazione di quest’ultimo, per cui non si può riconoscere al medico un generale diritto di curare e considerare la volontà del paziente non dotata di alcuna rilevanza. Da ciò deriva che “la salute dell’individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio […] per una strategia della persuasione […]. Ma allorché il rifiuto [sia informato, autentico ed
168 FASAN M., op. cit., p. 12 ss. 169 FASAN M., op. cit., p. 13.
170 Cass. sez. I civ., 16 ottobre 2007 n. 21748, in Foro it., 2007, parte I, col. 125. 171 Corte Cost. 23 dicembre 2008 n. 438, in Giur. Cost. 2008, p. 4945 ss. 172 FASAN M., op cit., p. 13 ss.; CASONATO, op. cit., p. 557 ss.
58 attuale] non c’è la possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico”.
La Corte di Cassazione, pertanto, riconosce il consenso informato come strumento indispensabile per assicurare la libera autodeterminazione dell’individuo in ambito sanitario che include anche la facoltà di rifiutare o interrompere un trattamento sanitario. Viene sottolineato che l’imposizione di un trattamento sanitario contro la volontà dell’individuo è illegittima e vietata dalla Costituzione (art. 32, comma 2): il singolo è libero di scegliere se e quando tutelare la propria salute. Infatti, la Corte riprende la concezione di salute dalla definizione OMS, come benessere globale dell’individuo e non mera assenza di malattia, la quale si collega perfettamente all’autodeterminazione della persona in base alla percezione che ha di sé e delle esperienze che vive173.
L’anno successivo la Corte costituzionale, nella sentenza n. 438, ha definito il consenso informato “quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico” e lo ha identificato come “vero e proprio diritto della persona”. Inoltre, ha affermato che i suoi fondamenti costituzionali pongono in risalto “la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione”.
173 La Corte afferma che la salute non può essere più intesa “come semplice assenza di
malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente la percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza”.
59 La Corte ha attribuito al consenso informato la natura di principio fondamentale in materia di tutela della salute e lo ha ritenuto anche espressione del diritto all’autodeterminazione, che per la prima volta viene considerato un autonomo diritto fondamentale. L’autodeterminazione non è più solo un’implicazione necessaria dell’inviolabilità della libertà personale, ma è “il punto d’approdo di un percorso interpretativo dell’articolo 32 e trova lì il suo fondamento, senza bisogno di altri riferimenti”174. Infatti, in base all’art. 32 comma 2, un trattamento sanitario
coattivo è ammissibile solo se sussiste una previsione di legge e in ogni caso senza “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. L’ambito della salute coinvolge profili personalissimi del soggetto collegati alla sua stessa dignità, per cui il governo di questi spazi deve essere sottratto a ogni potere esterno e rimesso alla sola autodeterminazione del paziente.
Questa decisione è stata il primo punto fermo di un lungo percorso ed è il risultato anche di influssi a livello sovranazionale e europeo. Il principio del consenso informato era già stato riconosciuto dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo, ma soprattutto dall’art. 3 della Carta di Nizza come principio fondamentale in ambito biomedico collegato alla tutela dell’integrità psico- fisica175.