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Il dogma dell’incapacità assoluta d’agire

Capitolo 2: La condizione giuridica del minore

1. Il dogma dell’incapacità assoluta d’agire

Tradizionalmente, la condizione giuridica del minore di età viene ricollegata al dogma dell’incapacità assoluta di agire60. In base all’art. 2 c.c.

ogni individuo acquista la capacità di agire al raggiungimento della maggiore età (18 anni), quindi per il minore è esclusa “la capacità di compiere tutti gli atti giuridici per cui non sia stabilita un’età diversa”. Nel codice del 1942 la generale incapacità del minore rappresenta un fattore di collegamento tra famiglia e contratto, ma diventa anche il dogma di un nuovo ordine del sistema. Infatti, è l’allora patria potestà l’istituto che ha la funzione di sopperire all’incapacità del minore: il padre può compiere per il figlio tutti gli atti che ammettono rappresentanza, sia quelli patrimoniali (tranne il testamento), sia quelli personali, nel senso di attinenti alla personalità del figlio61.

La previsione della generale incapacità del minore è un rimedio per la sua inidoneità alla cura dei propri interessi, a tutela sua e del terzo, che potrebbe sfruttare la sua inettitudine per trarre vantaggio e recargli danno oppure potrebbe subire un atto pregiudizievole62. Si tratta di un’impostazione

60 Cfr. MOSCATI E., Il minore nel diritto privato, da soggetto da proteggere a persona da valorizzare, in Dir. fam. pers., 2014, III, p. 1141 ss.; BUSNELLI F. D., Capacità e incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., I, 1982, p. 54 ss.; GIARDINA F., La condizione giuridica del minore, Jovene Editore Napoli, 1984, p. 44 ss.; PICCINNI M., Il consenso al trattamento medico del minore, Padova, CEDAM, 2007, p. 89 ss.; SENIGAGLIA R., “Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, IV, p. 1318 ss.

61 Un eco di questa previsione è presente all’art. 320 c.c.

62 GIARDINA F., op. cit., p. 44 ss.; Id., I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, IV, p. 1354 ss.; MOSCATI E., op. cit.,

28 paternalistica della tutela, che muove dall’idea di un collegamento tra incapacità e ogni tipo di negozio giuridico e che ha portato a un’estensione dello strumento della rappresentanza dalla cura del patrimonio a tutta l’attività giuridica anche di natura personale, per sottoporla a una disciplina comune per esigenze di razionalità del sistema. Questa estensione, che trova unico riscontro all’art. 2 c.c., è avvenuta senza adattare lo strumento della sostituzione alla tutela anche di interessi personali e col tempo ha mostrato i suoi limiti63.

L’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 avrebbe dovuto essere un fattore decisivo per mettere in crisi il modello tradizionale di tutela degli incapaci64. Riconoscendo e garantendo “i diritti inviolabili dell’uomo, sia

come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”65,

si riconoscono e garantiscono i diritti personali del minore all’interno della famiglia tramite il combinato disposto degli artt. 2 e 30 Cost. La tutela del minore all’interno della famiglia, attraverso il riconoscimento del diritto all’educazione (art. 30), gli permette l’esercizio delle sue libertà fondamentali con una progressiva parità di trattamento rispetto agli adulti, in relazione all’evolversi della sua personalità.

Questi principi non riescono a penetrare da subito all’interno di dottrina e giurisprudenza, che per lungo tempo rimangono legate alla tradizione dogmatica dell’incapacità assoluta del minore, continuando ad affermare che al minore non si può riconoscere nessuno spazio di autodeterminazione, ma solo la situazione giuridica della soggezione e che la regola dell’incapacità deve essere applicata anche agli atti di natura personale66.

A partire dagli anni Sessanta, però, trovano spazio anche riflessioni in senso contrario, infatti, parte della dottrina67 decide di prendere spunto

dalla presenza nel codice civile di alcuni indici che smentiscono l’idea del

63 GIARDINA F., La condizione giuridica del minore, cit., p. 46. 64 Ivi, p. 58 ss.

65 Art. 2 Cost.

66 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 59 ss.

29 minore come soggetto del tutto incapace di agire, per elaborare un diverso modello di tutela. Si pensi alla possibilità del minore che ha compiuto sedici anni di contrarre matrimonio in presenza di gravi motivi, senza che sia necessario il consenso dei genitori con l’autorizzazione del tribunale, che accerta il raggiungimento di una sufficiente maturità psico-fisica (art. 84 c.c.). Inoltre, il genitore che abbia compiuto sedici anni può riconoscere il figlio68 (art. 250 comma 5), quindi durante la minore età si acquista la piena

capacità rispetto al compimento di quell’atto.

Grazie anche alle riflessioni di tali interpreti69, il sistema incentrato

sull’incapacità assoluta del minore collegata a una condizione di assoluta soggezione nei confronti dei genitori, è stato oggetto di una revisione critica, perché ritenuto non più coerente con la posizione del minore nella società70.

Il legislatore ha voluto dare valore preminente all’interesse del minore e alla sua partecipazione alla vita familiare con una serie di interventi di riforma del diritto di famiglia, a partire dal 1975. Il punto di partenza è stato la constatazione che l’incapacità di agire del minore è differente da quella dell’interdetto e dell’inabilitato, perché è collegata non a un’infermità mentale, ma ad una qualità di soggetto che deve completare la propria maturazione e la formazione della propria personalità71. Questa differenza

di condizioni emerge già nella tutela degli interessi patrimoniali, poiché, il codice civile prevede che il contratto non possa essere annullato se il minore lo ha stipulato occultando la sua età con raggiri (art. 1426), quindi ingannando volontariamente la controparte. Inoltre, l’azione di annullamento può essere promossa dai genitori solo previa autorizzazione del giudice tutelare e sempre che l’annullamento del contratto corrisponda a “necessità o utilità evidente del figlio” (art. 320 comma 3). Questo significa

68 La disposizione è stata modificata più volte dal legislatore, l’ultima con la riforma della

filiazione del 2012 (l. 10 dicembre 2012 n. 219) che ha introdotto la possibilità del riconoscimento del figlio anche per i minori infra-sedicenni con l’autorizzazione del giudice e il riguardo per l’interesse del figlio.

69 BUSNELLI F. D., op. cit., p. 56 ss.; GIARDINA F., op. ult. cit., p. 189 ss. 70 MOSCATI E., op. cit., p. 1149 ss.

30 che la minore età non è una causa automatica di annullabilità del contratto, come l’incapacità legale o giudiziale dell’interdetto, perché se manca una delle condizioni previste dalla legge, ad esempio l’autorizzazione del giudice, il contratto continuerà a produrre i suoi effetti. Si tratta di una prova eloquente del fatto che l’annullabilità del contratto stipulato dal minore non è una semplice misura protettiva, ma è una misura che trova la sua ragion d’essere nel perseguimento dell’esclusivo interesse del minore. Anche nella disciplina del matrimonio la minore età è trattata diversamente dalle altre cause di incapacità, poiché il minore di sedici anni può essere autorizzato dal tribunale a sposarsi, mentre l’interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio in nessun caso (art. 85).

Il dogma del minore come indifferenziato “oggetto di protezione” è stato progressivamente superato dal legislatore, che è arrivato a considerare il minore soggetto di diritti nel presente e non solo in divenire, portatore di interessi rilevanti da far valere nel mondo giuridico72. Sono state prima

introdotte ipotesi in cui il minore deve essere sentito con riferimento a decisioni che lo riguardano spettanti a terzi, ad esempio nell’adozione del minore che abbia compiuto dodici anni73, e altre in cui l’assenso o il consenso

del minore è determinante per la produzione degli effetti dell’atto, come nel riconoscimento del figlio quattordicenne74 da parte del genitore naturale

(art. 250 comma 2 c.c.). Il legislatore ha riconosciuto una presenza sempre più attiva del minore nelle vicende familiari, arrivando ad introdurre un diritto generale all’ascolto del minore sia all’interno della famiglia che nei procedimenti in materia familiare (art. 315 bis comma 3 c.c.)75. Il medesimo

procedimento è avvenuto negli ambiti esterni alla famiglia, dove è stato

72 MOSCATI E., op. cit., p. 1151 ss.

73 Art. 7 comma 3 della l. 4 maggio 1983, n. 184, così sostituito dall'art. 7, l. 28 marzo

2001, n. 149.

74 L’articolo è stato modificato con la l. 10 dicembre 2012 n. 219, in precedenza l’età

prevista era di sedici anni.

75 Introdotto dalla legge del 2012 citata nella nota precedente, sarà trattato

31 riconosciuto ampio spazio all’autodeterminazione del minore, ad esempio dalla legge 22 dicembre 1975, che ha consentito al minore (senza distinzioni di età) di richiedere personalmente gli interventi terapeutici e riabilitativi collegati all’uso di sostanze stupefacenti (art. 95). È utile menzionare anche la legge sull’interruzione della gravidanza76, che consente alla donna minore

di età di abortire nei primi 90 giorni dal concepimento senza il consenso dei genitori e contro il loro volere, con l’autorizzazione del giudice.

La tutela del minore nel diritto privato tende a concretizzarsi sempre di più nel riconoscimento di situazioni soggettive direttamente esercitabili dal minore, in particolare se collegate a vicende esistenziali77.

L’evoluzione del minore come soggetto dell’ordinamento si è prodotta in costanza delle norme che continuano a prevedere la sua incapacità legale, impedendo di creare un sistema razionale di strumenti di protezione del minore, diversificati a seconda degli interessi da tutelare78. L’incapacità

d’agire, infatti, continua ad essere concepita come istituto generale e assoluto, in contrasto con gli ampi spazi di autonomia guadagnati dal minore sia all’interno della famiglia che al suo esterno.

In quest’ottica, parte della dottrina79 ha proposto di ridimensionare

l’ambito di operatività della regola dell’art. 2 c.c.: nonostante la sua collocazione all’apertura del codice e la sua formulazione in termini generali, non dovrebbe essere attribuito valore assoluto a questa disposizione. Tale regola andrebbe riferita ai contratti e agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, mentre per gli atti tra vivi a contenuto personale non esisterebbe nel codice una regola espressa. Per questi atti, che sono espressione della personalità del soggetto, una regola sarebbe ricavabile dall’art. 2 della Costituzione, che riconoscendo a ogni individuo i diritti inviolabili, impone di considerare anche il minore come soggetto dotato della piena capacità di esercitare i propri diritti personali, quando abbia

76 L. 22 Maggio 1978, n. 194. 77 BUSNELLI F. D., op. cit., p. 58. 78 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 65 ss. 79 BUSNELLI F. D., op. cit., p. 60 ss.

32 raggiunto una sufficiente maturità di giudizio. Argomentare diversamente sulla base dell’art. 2 c.c., significherebbe non riconoscere al minore i diritti e le libertà inviolabili o dissociarne titolarità ed esercizio, in aperta contraddizione con gli artt. 2 e 3 Cost. , che non operano distinzioni in ragione dell’età80. Pertanto, il minore, capace di comprenderne l’importanza

e dotato di sufficiente maturità di giudizio, potrebbe compiere atti di natura personale strumentali all’esercizio di diritti e libertà fondamentali e i suoi legali rappresentanti non potrebbero sostituirsi ad esso, considerando le sue scelte autonome giuridicamente irrilevanti o soccombenti rispetto alle proprie.

Tuttavia, finché il minore è incapace di intendere e di volere, i genitori dovrebbero attuare interventi protettivi per tutelare i suoi diritti, come quello alla salute (“attività di cura della persona” 81)82. Nel compimento di

questi atti, però, i genitori non agirebbero come rappresentanti legali del minore, sostituendosi a lui nell’esercizio di un diritto o libertà, ma ottemperando al dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.). Acquisita la capacità di intendere e di volere da parte del minore, gli interventi dei genitori diventerebbero educativi e si instaurerebbe un rapporto di diritti e doveri reciproci tra genitori e figli83. La capacità piena ed

esclusiva del minore di compiere atti di natura personale troverebbe il proprio limite nel rispetto dei vincoli educativi dei genitori (art. 315 bis comma 484). I genitori, invece, avrebbero il diritto di educare il figlio come

ritengono preferibile, ma nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni (art. 147 c.c.) e senza pregiudicare i suoi diritti e libertà fondamentali.

80 BUSNELLI F. D., op. cit., p. 59.

81 Formula usata dall’art. 357 c.c. con riferimento al tutore. 82 BUSNELLI F. D., op. cit., p. 64 ss.

83 Ivi, pp. 64-65.

84 L’art. impone ai figli di rispettare i genitori, specialmente in quanto educatori. Questo

33 Questa lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 c.c. fatica ad affermarsi, perciò permane l’applicazione dell’istituto della rappresentanza anche per gli atti di natura personale, generando occasioni di conflitto, specialmente con riferimento a vicende esistenziali come la gestione del corpo e la tutela della salute85.

Un’autrice F. Giardina86 propone di diversificare gli strumenti di tutela

per soddisfare le molteplici esigenze di protezione del minore (patrimoniale, personale e all’interno della famiglia). Ritiene che a questa stessa ipotesi ricostruttiva si pervenga sia seguendo la tendenza ad abbandonare la concezione dell’incapacità come centro verso cui convergono i diversi strumenti di protezione del minore, sia continuando a considerare l’art. 2 c.c. punto di riferimento per una protezione del minore al massimo grado. Nel primo caso si segue l’idea dell’istituto dell’incapacità di agire come viziato da un’immutabilità storica, visto che alle origini la misura era collegata al negozio giuridico e ad esigenze di certezza degli scambi. La tutela degli interessi patrimoniali rientrerebbe, quindi, per tradizione nell’art. 2 c.c., mentre quella relativa ad altri interessi ed attività in cui si esprime la personalità del minore si dovrebbe sviluppare al di fuori dell’istituto con regole nuove e diverse. Nel secondo caso, l’istituto dell’incapacità di agire rappresenta la sintesi di strumenti e regimi di protezione diversi a seconda dell’interesse da tutelare e dell’atto posto in essere.

L’ipotesi di F. Giardina è di collegare la tutela degli atti tipici sia patrimoniali che non patrimoniali all’incapacità legale di agire (art. 2 c.c.), ma con gli effetti diversi stabiliti dalla legge, a seconda della tipologia di atto87. Ad esempio, ai minori non è vietata la stipulazione di contratti, ma

nell’eventualità possono essere annullati, mentre per gli atti personali tipizzati, come il matrimonio, è necessario verificare se possono essere compiuti con una valutazione più ampia della maturità del soggetto e degli

85 THIENE A., Riservatezza e autodeterminazione del minore nelle scelte esistenziali, in Fam. dir., 2017, II, p. 173.

86 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 189 ss. 87 Ivi, p. 193 ss.

34 interessi coinvolti. Invece per gli atti personali che non hanno un’espressa disciplina normativa viene proposta la ricerca di un equilibrio tra autonomia e protezione del minore, attraverso una valutazione della sua maturità con riferimento al concetto di incapacità naturale (art. 428). Come meglio vedremo nel corso del capitolo, questa ricostruzione si è evoluta, sostituendo al riferimento all’incapacità naturale il concetto di capacità di discernimento, che è stato adottato anche dal legislatore come riferimento al coinvolgimento del minore in una serie di atti collegati a vicende esistenziali, tra cui il consenso al trattamento sanitario.

Infine, per la protezione del minore all’interno della famiglia, F. Giardina propone l’utilizzo degli strumenti disciplinati dall’art. 333 c.c., nel caso di comportamento pregiudizievole tenuto da uno o da entrambi i genitori88.

Vedremo come l’art. 333 c.c. è stato utilizzato dalla giurisprudenza proprio a tutela del diritto alla salute del minore.

In ogni caso, alcuni interpreti89 condividono la convinzione secondo cui

bisognerebbe modificare l’impostazione tradizionale in base alla quale l’incapacità di agire sarebbe la regola rispetto alla minore età e di conseguenza ogni riferimento all’autonomia del minore un’anticipazione della capacità di agire. Gli artt. 2 e 3 Cost. ci impongono di affermare che libertà espressiva e capacità devono essere la regola per tutte le persone e ogni forma di incapacità deve essere solo un’eccezione, una misura speciale destinata ad avere una stretta interpretazione.

88 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 197 ss.

89 GIARDINA F., I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia,

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2. L’evoluzione del rapporto genitori-figli dalla potestà