• Non ci sono risultati.

L’evoluzione del rapporto genitori-figli dalla potestà alla

Capitolo 2: La condizione giuridica del minore

2. L’evoluzione del rapporto genitori-figli dalla potestà alla

Abbiamo detto che il minore è considerato titolare di diritti che devono essere tutelati in primo luogo all’interno della famiglia, concepita oggi come una struttura aperta in cui ogni membro può dare il suo contributo autonomo e responsabile. L’impegno educativo dei genitori deve essere volto a valorizzare la libertà e l’autodeterminazione del minore, coinvolgendolo nelle decisioni che lo riguardano, tenuto conto della sua capacità di discernimento.

È utile ripercorrere come è avvenuta l’evoluzione della famiglia e dei rapporti tra genitori e figli, partendo da una concezione autoritativa di potestà fino ad arrivare all’introduzione della responsabilità genitoriale, passando per il riconoscimento di centralità all’interesse del figlio90.

La patria potestà nasce durante le codificazioni come istituto collegato all’incapacità di agire del minore, per salvaguardare gli interessi principalmente patrimoniali dei terzi da atti pregiudizievoli91. Quando viene

introdotta nel nostro ordinamento, la potestà ha la funzione di garantire l'unità e la solidità della famiglia92 e per fare questo c'è bisogno di una figura su cui concentrare ogni forma di potere: l'uomo come padre, marito e capo della famiglia. Nel codice del 1942 solo alcune disposizioni si occupano dei rapporti personali tra genitori e figli e hanno la propria ratio nella

90 GIARDINA F., I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia,

cit., p. 1352 ss.; PICCINNI M., op. cit., p. 140 ss.; D’ANTONIO V., La potestà dei genitori ed i

diritti e i doveri del figlio dopo l’unificazione dello status filiationis, in

www.comparazionedirittocivile.it, 2013, p. 1 ss.

91 GIARDINA F. op. ult. cit., p. 1354 ss.

92 Secondo un’impostazione fortemente collegata al regime fascista, la famiglia doveva

perseguire un interesse di natura pubblicistica che doveva prevalere sull'interesse dei singoli membri.

36 salvaguardia dell’autorità paterna93, mentre la posizione del figlio rileva solo

quando si intende garantire una corretta amministrazione del patrimonio e un corretto utilizzo della rappresentanza nella cura degli interessi patrimoniali (art. 320 ss. c.c.).

Nel complesso il minore si trova in una posizione di totale soggezione al padre e, secondo la dottrina, non c’è alcuno spazio per la sua autodeterminazione, addirittura sono limitate le possibilità di intervento del giudice a tutela del suo interesse. Infatti, gli artt. 330 e 333 c.c., norme preordinate alla tutela del minore in caso di condotta pregiudizievole del padre, avrebbero dovuto limitare la soggezione del figlio fino a comportare la decadenza del padre dalla potestà, ma venivano dimenticate o interpretate in senso restrittivo per evitare ogni ingerenza esterna nel governo della famiglia94.

I giudici danno avvio a una fase di rivisitazione nell’applicazione delle norme sulla potestà e iniziano a modificare il proprio orientamento, conferendo predominanza all’interesse del minore e ai suoi diritti personali95. A partire dalle norme costituzionali (artt. 2 e 30 Cost.), le corti

formulano dei limiti alla patria potestà e iniziano a costruire un rapporto personale tra genitore e figlio orientato al rispetto della personalità di questo.

Si arriva, così, alla legge di riforma del diritto di famiglia del 197596: il figlio

continua ad essere soggetto alla potestà fino alla maggiore età o all’emancipazione, ma la più importante innovazione è che l’esercizio della potestà avviene di comune accordo da parte di entrambi i genitori97 (art. 316

93 Artt. 318 (Abbandono della casa del genitore) e 319 (cattiva condotta del figlio), se il

figlio non si adeguava ai suoi precetti, il padre poteva addirittura pretendere che l'autorità giudiziaria ne disponesse il collocamento in un istituto di correzione. L’art. 319 è stato abrogato con la l. 19 maggio 1975 n. 151.

94 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1362 (nota 30). 95 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1357 ss.

96 L. 19 maggio 1975 n. 151, che deriva da un progetto di revisione della disciplina del

diritto di famiglia per adeguarla ai principi costituzionali.

37 comma 2 c.c.). Per questo, viene introdotta anche una disciplina per la risoluzione degli eventuali “contrasti su questioni di particolare importanza” (art. 316 commi 3 e 5 c.c.). E’ il giudice che può essere chiamato a intervenire per suggerire la soluzione che ritiene più in linea con l’interesse del figlio oppure, se il conflitto permane, ad attribuire il potere di decisione a uno dei due genitori. Si tenta di coinvolgere anche il figlio ultraquattordicenne, prescrivendo che sia sentito dal giudice, ma con la principale finalità di risolvere il conflitto tra i genitori, piuttosto che di creargli autonomi spazi espressivi98.

Al di fuori della disciplina della potestà, il ruolo dei figli risulta comunque rinnovato dalla modifica dell’art. 147 c.c., che nell’imporre ai coniugi i doveri verso i figli li obbliga a tenere conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Si tratta di una piccola rivoluzione, perché segna il passaggio dall’impostazione tradizionale della potestà incentrata sui due poli della soggezione/autorità a una nuova considerazione come ufficio di diritto privato funzionalizzato alla realizzazione dell’interesse del minore99. In

particolare, si vuole superare l’identificazione, radicata nella giurisprudenza, dell’interesse del minore con il modello educativo imposto dai genitori o dal giudice, in contrasto con la volontà o i legittimi comportamenti del minore.

Nel testo originario dell’art. 147100 i genitori erano tenuti a conformare le

modalità educative ad un modello morale oggettivo e socialmente accettato, mentre adesso queste sono orientate da criteri soggettivi incentrati sulla persona singola del minore e sul rispetto della sua identità. Inoltre, la nuova formulazione dell’art. 147 introduce il dialogo e il reciproco scambio di posizioni tra genitori e figli, quindi crea concrete possibilità

98 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1360.

99 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1363 ss.; BALLARANI G., La capacità autodeterminativa del minore nelle scelte esistenziali, Giuffrè editore, Milano, 2008, pp. 44-45; D’ANTONIO V., op.

cit., pp. 4-5.

100 Il comma 2 in origine recitava “L’educazione e l’istruzione devono essere conformi ai

38 espressive per il minore e allo stesso tempo ammette possibilità di conflitto, che potranno essere risolte dando nuovo valore agli artt. 330 e 333 c.c.101

Nel codice riformato troviamo altre disposizioni che consentono al minore, di solito ultra-sedicenne, di esprimere la propria opinione e di intervenire direttamente, anche con un ruolo decisivo, nelle decisioni relative alla vita familiare e, in particolare, nelle scelte che lo riguardano. È evidente l’intenzione del legislatore di dare nuova centralità all’interesse del minore e di consentire che sia lui stesso a concorrere con i genitori nel determinarlo102. Ad esempio, in caso di disaccordo tra i coniugi sull’indirizzo

della vita familiare (art. 145 c.c.), il giudice può sentire le opinioni dei figli che abbiano compiuto sedici anni ed è richiesto il consenso del figlio sedicenne nel caso di inserimento nella famiglia del figlio naturale103 (art.

252 comma 2 c.c.).

La linea evolutiva della riforma del 1975 ha avuto seguito con l’ultima grande riforma del diritto di famiglia attuata in due step successivi nel 2012 e nel 2013104. La legge 10 dicembre 2012 n. 219 stabilisce l’unicità dello stato

di figlio, completando la parificazione della condizione dei figli legittimi e naturali, che adesso vengono definiti semplicemente figli nati dentro e fuori il matrimonio. L’aspetto più interessante, però, è il mutamento sostanziale

101 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1364. 102 GIARDINA F., op. ult. cit., p. 1365 ss.

103 Oggi “figlio nato fuori dal matrimonio” come afferma l’art. 252 modificato dal d. lgs.

28 dicembre 2013, n. 154 o semplicemente “figlio” come stabilisce l’art. 315 c.c.

104 Cfr. GRAZIOSI A., Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. dir., 2013, III, pp. 263-278; D’ANTONIO V., op. cit., p. 5

ss. ; SESTA M., L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam.

dir., 2013, III, pp. 236-238; Id., Filiazione (diritto civile), in Enc. del dir., Annali VIII, 2015, pp.

445-455; AL MUREDEN E., La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e

pluralità di modelli familiari, in Fam. dir., 2014, V, pp. 466-479; SCHLESINGER P., Il D.LGS. N. 154 DEL 2013 completa la riforma della filiazione, in Fam. dir., 2014, V, pp. 443-447; CARBONE

V., Il d.lgs. n. 154/2013 sulla revisione delle disposizioni vigenti in tema di filiazione, in Fam.

dir., 2014, V, pp. 447-451; CIAN G., TRABUCCHI A., Commentario breve al Codice Civile, 12

39 di prospettiva nella disciplina della potestà, a partire dalla modifica della rubrica del titolo IX del libro I: “Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio”105. Emerge da subito la volontà di porre al centro il figlio con i suoi

diritti, in una maniera prima sconosciuta al legislatore nazionale, ma già affermatasi in giurisprudenza e in ambito internazionale. Infatti, viene introdotto nel codice civile l’art. 315 bis. che al comma 1 riprende i contenuti dell'art. 147, ma dal punto di vista del figlio, riconoscendogli un vero e proprio statuto di diritti: “Il figlio ha il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Non si parla più soltanto di doveri dei genitori, ma di diritti del figlio riconosciuti nei confronti degli stessi genitori e viene introdotto il diritto all’assistenza morale, che dà un rilievo specifico al profilo della cura dei figli e alla necessità di provvedere alle loro esigenze con un significato più ampio rispetto al diritto al mantenimento, collegato agli aspetti economici106.

Tutto ciò rende possibile registrare il tramonto definitivo della potestà come diritto soggettivo dei genitori e del figlio come oggetto del potere altrui, idee inconciliabili con il riconoscimento del figlio minore come persona a tutti gli effetti, titolare di proprie posizioni giuridiche soggettive, che completano e contribuiscono a definire i contenuti della potestà dei genitori107.

In questo senso, è importante sottolineare, da una parte, il fatto che i diritti del minore sono anteposti ai doveri, visto che i primi si trovano al 1 comma, mentre i secondi solo al 4 comma dell’art. 315 bis; dall’altra parte, c’è una maggiore attenzione alla personalità del minore anche nell’utilizzo del verbo “rispettare” piuttosto che del verbo “tenere di conto” (art. 147)108. I genitori non si possono sostituire al minore nelle espressioni della propria

105 In precedenza, denominato “Della potestà dei genitori”. 106 SESTA M., Filiazione , cit., p. 452.

107 D’ANTONIO V., op. cit., p. 5. 108 GRAZIOSI A., op. cit., p. 264.

40 personalità, né sono autorizzati a plasmarla secondo le proprie aspirazioni: devono esaltare la capacità di autodeterminazione del figlio e guidarlo nel compimento di scelte consapevoli che siano espressione della sua soggettività, garantendogli le migliori condizioni di vita e difendendolo da ingerenze esterne o interne alla famiglia109.

Questa impostazione è confermata dal comma 3 dell’art. 315 bis, dove viene esplicitato il diritto del figlio minore di essere ascoltato “in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Anche se già riconosciuto in giurisprudenza e nelle convenzioni internazionali, finalmente viene enunciato in maniera diretta dal legislatore e assurge al grado di diritto soggettivo inviolabile tutelato dall’art. 2 Cost.110 L’ascolto del minore è legato al suo essere persona ed è fondamentale nelle situazioni in cui è necessario prendere decisioni che avranno conseguenze sulla sua vita futura, negarlo vorrebbe dire non riconoscergli dignità di persona. Inoltre, la portata della norma è molto ampia, perché, utilizzando termini generici111, il diritto all’ascolto può esplicarsi non solo sul versante della tutela giurisdizionale, ma prima ancora all’interno della famiglia e diventare un vero e proprio criterio pedagogico che i genitori devono seguire nella relazione educativa con i figli per guidarli nelle varie fasi di vita, promuovendone il benessere psico-fisico e l’acquisizione di autonomia112.

La legge n. 219 del 2012 attribuisce anche la delega al governo per adottare un decreto che completi la revisione della disciplina, dando luogo al d. lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, la cui principale innovazione è la sostituzione del termine “potestà” con “responsabilità genitoriale” per superare definitivamente la concezione autoritativa del rapporto tra genitori e figli. In realtà, nelle indicazioni della legge delega non era imposta tale sostituzione, anzi si muoveva dalla conservazione della nozione di potestà,

109 D’ANTONIO V., op. cit., p. 8. 110 GRAZIOSI A., op. cit., p. 275.

111 “Tutte le procedure e le questioni che lo riguardano” 112 SESTA M., op. ult. cit., p. 453.

41 tenendo conto dell’evoluzione che questa aveva subito, e si chiedeva al governo di delimitarne i contenuti per valorizzare e regolamentare al suo interno l’aspetto relativo alla responsabilità genitoriale113.

La scelta di soppiantarla è criticabile, anche perché l’espressione “responsabilità genitoriale” è estranea al nostro ordinamento e importata dalle fonti europee114. Il concetto di parental responsibility nell’ordinamento inglese esprime la stessa sintesi di poteri, diritti e doveri del genitore nei confronti del figlio che nel nostro ordinamento corrisponde alla potestà come ufficio, mentre, per il sistema interno, il concetto di responsabilità ha un significato diverso: indica l'obbligo di tenere o non tenere un determinato comportamento, la cui trasgressione comporta conseguenze sanzionatorie115.

In ogni caso, la Relazione illustrativa della riforma chiarisce che è stato abbandonato il concetto di potestà “in considerazione dell’evoluzione socio- culturale dei rapporti tra genitori e figli” 116 e per valorizzare il profilo della “assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio”. Viene, così, evidenziato il cambiamento di prospettiva avvenuto nel corso degli anni: il rapporto genitori-figli non deve essere focalizzato sul punto di vista dei genitori, ma su quello dei figli, ponendo al centro il loro interesse e i loro diritti.

Le regole relative alla responsabilità genitoriale sono riorganizzate nel Titolo IX (“Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”) del Libro I, ma si omette di definire i contenuti di questa nuova nozione per conferirle maggiore elasticità e consentire il suo adattamento all’evoluzione

113 La legge n. 219 del 2012 prevedeva che il legislatore delegato dovesse provvedere alla

“unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e doveri dei genitori nei confronti dei figli […], delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale” (art. 2, comma 1, lett. h)).

114 Regolamento CE n. 220 del 2003. 115 SCHLESINGER P., op. cit., pp. 445-446. 116 Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, p. 16.

42 dei tempi117. Nella Relazione, però, viene precisato che si tratta di una “situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà”118.

Un elemento importante che differenzia la responsabilità genitoriale dalla potestà è l’assenza di una limitazione temporale: essa esaurisce la propria funzione non al raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma al conseguimento della sua indipendenza economica119. È stata, perciò, eliminata la precisazione sulla durata contenuta nel comma 1 dell’art. 316 (“Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o alla emancipazione”), mentre dei limiti temporali sono stati inseriti solo dove necessario per la connessione tra responsabilità genitoriale e incapacità di agire del minore, ad esempio all’art. 320 relativo a “Rappresentanza e amministrazione”.

La regola dell’esercizio condiviso120 della responsabilità genitoriale da parte dei genitori è divenuta di applicazione generale, sia nel caso in cui siano uniti in matrimonio, convivano o abbiano convissuto, sia nel caso in cui non abbiano mai convissuto, sia in tutte le ipotesi di crisi e rottura della coppia (separazione, divorzio o annullamento), grazie al combinato disposto degli artt. 316 comma 4, 337 ter comma 3 e 337 quater c.c. E’ manifesta l’intenzione del legislatore di garantire la partecipazione costante dei genitori nella vita dei figli e di regolare il loro rapporto in maniera uniforme, indipendentemente dal legame tra i genitori, prendendo atto dei diversi modelli familiari esistenti121.

117 AL MUREDEN E., op. cit., p. 467.

118 Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, p. 144. 119 AL MUREDEN E., op. cit., p. 467.

120 L’art. 316 comma 1 recita: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che

è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio”.

43 Tale volontà emerge anche nella riorganizzazione sistematica delle disposizioni che regolano i rapporti genitori-figli in caso di rottura dell’unione tra i genitori, prima collocate nel contesto dei rapporti tra coniugi122 (artt. 155-155 sexies c.c.), adesso si trovano agli artt. 337 bis-337 octies c.c. del Capo II123 del Titolo IX. Addirittura, l’art. 337 ter al comma 3 precisa che “le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.

In tale contesto, se tra i genitori (coniugati, conviventi o meno) nasce un contrasto rispetto all’esercizio della responsabilità genitoriale si applica l'art. 316 comma 2 c.c., perciò ciascuno di essi può ricorrere al giudice senza formalità, indicando la decisione che ritiene più idonea per il figlio. Si tratta di uno strumento fino ad ora desueto nella pratica, ma che forse potrà acquistare nuova vita, grazie alla sua generalizzata applicazione ad ogni rapporto di filiazione e non più solo a quello inserito in un modello familiare fondato sul matrimonio124.

È stata, invece, eliminata la disposizione, contenuta nel comma 3 dell’art. 316, che prevedeva l’attribuzione al padre di una posizione di preminenza nell’adottare provvedimenti urgenti e indifferibili nel caso di pericolo di un grave pregiudizio per il figlio. Tali provvedimenti potranno essere adottati indifferentemente da ciascuno dei genitori che ha l’esercizio pieno della responsabilità genitoriale sul figlio.

122 Al Capo V denominato “Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei

coniugi” del Titolo VI “Del matrimonio”.

123 Denominato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione,

scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”.

44

3. Natura e contenuti della responsabilità genitoriale