• Non ci sono risultati.

Il caso Ilva di Taranto al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo 120

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 142-156)

In termini diversi da quelli adottati dalla Corte costituzionale italiana è de-stinata a porsi la impostazione del problema e, conseguentemente, a

prosecuzione dell’attività d’impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unila-terale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati. Il legisla-tore concede un termine di trenta giorni per la predisposizione del piano, il quale peraltro può anche essere provvisorio: dunque, manca del tutto la richiesta di misure immediate e tempestive atte a rimuovere prontamente la situazione di pericolo per l’incolumità dei lavo-ratori. Tale mancanza è tanto più grave in considerazione del fatto che durante la pendenza del termine è espressamente consentita la prosecuzione dell’attività d’impresa “senza solu-zione di continuità”, sicché anche gli impianti sottoposti a sequestro preventivo possono continuare ad operare senza modifiche in attesa della predisposizione del piano e, quindi, senza che neppure il piano sia adottato. L’unico limite temporale effettivo è posto al com-ma 2, che stabilisce che l’attività di impresa non può protrarsi per un periodo di tempo su-periore a dodici mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro» (C. cost. 23 marzo 2018, n. 58).

(47) Coerentemente con questa linea interpretativa, il predetto decreto veniva adottato dal Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2015 e firmato dal Presidente della Repubblica il giorno seguente, con il chiaro ed esplicito intento di evitare che le vicende penali riguardanti l’Ilva di Taranto e la Fincantieri di Monfalcone comportassero la perdita di posti di lavoro e di fatturato per queste importanti realtà produttive. Un’ordinanza del tribunale di Gorizia nel giugno 2015 aveva disposto infatti il sequestro di quattro aree dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone destinate alla cernita e allo stoccaggio di rifiuti prodotti da scarti di lavora-zione, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione che accogliendo il ricorso del procuratore, confermava il reato di c.d. deposito incontrollato nella gestione dei rifiuti, san-zionato ai sensi dell’art. 256 del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. “Codice ambientale”). Ritenendo le quattro aree strategiche per il regolare svolgimento del ciclo produttivo, i vertici della Fin-cantieri rilasciavano all’indomani dell’ordinanza di sequestro un comunicato stampa in cui si precisava che, «ferma restando l’intenzione di assumere con urgenza tutte le opportune iniziative in sede giudiziaria al fine di ottenere la revoca di detta misura, che considera parti-colarmente gravosa anche in ragione dei danni che il permanere degli effetti della stessa po-trebbe provocare, [la società] è costretta, in ottemperanza al predetto provvedimento del Tribunale, a disporre a far data da oggi la sospensione dell’attività lavorativa di tutto il per-sonale coinvolto nel ciclo produttivo del cantiere di Monfalcone».

gurarsi la relativa soluzione che verrà elaborata dalla Corte europea dei dirit-ti dell’uomo (EDU), la quale, con comunicazione del 27 aprile 2016, ha ac-colto due ricorsi sul caso Ilva contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) e dell’articolo 8 (diritto alla vita privata e fa-miliare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (48). Lo Stato italiano è accusato di non avere adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la salute dei cittadini, in particolare alla luce dei ri-sultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conser-vativo degli impianti di Taranto e dei c.d. rapporti Sentieri (49). In particolare, le autorità nazionali e locali avrebbero omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti grave-mente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento pro-dotto dal complesso dell’Ilva, nonché la violazione del diritto al rispetto del-la vita privata e familiare, anche in conseguenza dei ripetuti decreti “salva Ilva” con cui il governo ha mantenuto in funzione l’impianto sotto la pro-pria gestione, senza di fatto alterare le modalità di funzionamento del ciclo produttivo e procrastinando interventi di carattere strutturale, necessari alla decarbonizzazione degli impianti con tecnologie che riducessero più netta-mente le emissioni inquinanti.

Va preliminarmente rilevato che la CEDU non riconosce esplicitamente un vero e proprio diritto dell’uomo all’ambiente. La Corte di Strasburgo ha tut-tavia elaborato una giurisprudenza secondo cui la protezione ambientale è considerata propedeutica ed imprescindibile ad assicurare il rispetto degli altri diritti inviolabili riconosciuti dalla Convenzione. Al pari di quanto av-venuto a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta in Italia (supra, § 2), la Corte EDU ha sviluppato, nel tempo, una interpretazione estensiva delle di-sposizioni convenzionali al fine di ricondurre la tutela ambientale nel campo di applicazione oggettivo dell’articolo 2 e dell’articolo 8 CEDU.

Nel merito, l’articolo 2 CEDU, a norma del quale «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge», è stato interpretato nel senso che in capo agli Stati vige non soltanto un obbligo negativo di astenersi dal privare in-tenzionalmente della vita una persona, ma altresì un obbligo positivo di por-re in essepor-re tutte le misupor-re ppor-reventive affinché la vita umana non sia messa in pericolo. In forza di tale interpretazione, la violazione dell’articolo 2 della Convenzione è stata riscontrata per negligenza delle autorità, ad esempio,

(48) Si tratta dei ricorsi n. 54414/13 e 54264/15 presentati rispettivamente il 29 luglio 2013 e il 21 ottobre 2015.

(49) AA.VV. (a cura di), Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento (SENTIERI). Valutazione della evidenza epidemiologica, supplemento a Epidemiologia & Prevenzione, 2010, n. 5-6.

nel prevenire la morte di cittadini a causa di un’esplosione all’interno di una discarica, rilevandosi una violazione sostanziale della disposizione perché lo Stato in questione, pur conscio di un pericolo imminente e concreto, non ha compiuto gli sforzi necessari per prevenire una esplosione e la conseguente morte di vite umane (50). Analogo discorso è valso in relazione alle situazioni di inquinamento ambientale, rispetto alle quali la Corte non ha mancato di chiarire come la conduzione di attività industriali pericolose può causare violazioni del diritto alla vita, riconoscendo la sussistenza di obblighi positivi di protezione e prevenzione anche e soprattutto laddove l’iniziativa econo-mica sia condotta da soggetti privati.

Ma l’elaborazione più significativa offerta dalla Corte EDU ha interessato l’articolo 8 CEDU, che tutela il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e del proprio domicilio. Anche in questo caso, l’interpretazione estensiva della disposizione ha condotto, a partire dalla pronuncia Lopez Ostra c. Spagna (9 dicembre 1994), a riconoscere come l’evacuazione di alcu-ni residenti nella località di Lorca, presso Murcia, in conseguenza di un inci-dente avvenuto presso l’impianto di smaltimento rifiuti, costruito su suolo pubblico, con un sussidio dello Stato spagnolo ma privo di licenza, costi-tuisse una violazione dell’articolo 8 CEDU. Nella sentenza del 19 febbraio 1998, sul caso Guerra e altri c. Italia, la Corte ha sancito l’obbligo positivo per lo Stato di fornire ai singoli informazioni essenziali al fine di valutare i rischi per l’ambiente e la salute. Ancora, la questione dell’applicabilità dell’articolo 8 CEDU a casi di inquinamento atmosferico è stata affrontata dalla Corte nel caso Hatton c. Regno Unito (2 ottobre 2001), in cui il diritto ad un ambien-te salubre, privo di pericoli per la inambien-tegrità psico-fisica della persona, è stato ricondotto a pieno titolo al diritto al rispetto per la vita privata e familiare.

Fu lo stesso articolo 8 a consentire alla Corte di Strasburgo di condannare l’Italia per la cattiva gestione del servizio di raccolta, trattamento ed elimina-zione dei rifiuti in Campania. Con sentenza 10 gennaio 2012, ricorso n.

30765/08, di Sarno e altri c. Italia, la Corte EDU ha precisato che i gravi danni ambientali possono incidere sul benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio in modo da nuocere alla loro vita privata e familiare. Si sottolinea, in particolare, che l’articolo 8 non si limita a costrin-gere lo Stato ad astenersi da incostrin-gerenze arbitrarie: a questo impegno negativo possono sommarsi obblighi positivi concernenti il rispetto effettivo della vi-ta privavi-ta delle persone. Con la conseguenza che sugli Svi-tati grava anzitutto

«l’obbligo positivo, in particolare nel caso di un’attività pericolosa, di mette-re in atto una mette-regolamentazione idonea alle specificità di detta attività, so-prattutto a livello del rischio che potrebbe derivarne». E questo obbligo

(50) Sentenza 30 novembre 2004, Öneryildiz c. Turchia, n. 48939/99.

ve regolare «l’autorizzazione, la messa in funzione, l’esercizio, la sicurezza e il controllo dell’attività in questione, nonché imporre a qualsiasi persona in-teressata da tale attività l’adozione di misure di ordine pratico idonee ad as-sicurare una protezione effettiva dei cittadini la cui vita rischia di essere esposta ai pericoli inerenti al campo in causa».

Va precisato inoltre che l’articolo 8 contiene una serie di obblighi procedu-rali in materia di rispetto del diritto della collettività, lavoratori, cittadinanza, istituzioni locali, a ricevere informazioni che consentano di valutare adegua-tamente e tempestivamente i rischi derivanti dall’esposizione a fattori tossici o nocivi per la salute, nonché il diritto di ricorrere avverso decisioni, atti od omissioni che non abbiano debitamente tenuto in considerazione le posi-zioni delle comunità interessate o che abbiano violato i loro diritti. Si tratta di un insieme di disposizioni che vanno lette in combinato disposto con quei principi fondamentali sanciti dalla Convenzione di Aarhus del 25 giu-gno 1998 – che per la prima volta ha previsto nei suoi articoli 4 e 5 un ob-bligo per gli organi pubblici di raccogliere e mettere a disposizione di chi ne faccia richiesta le informazioni ambientali (51) – nonché con la raccomanda-zione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ai Governi degli Stati membri di salvaguardare il diritto individuale di accedere alle informa-zioni, alla partecipazione pubblica nel processo decisionale e all’accesso alla giustizia nelle questioni ambientali.

Significativa in tal senso è stata la citata sentenza Di Sarno e altri c. Italia, lad-dove è stata ravvisata una violazione dell’articolo 13 CEDU, perché nel si-stema italiano mancava (e tuttora manca) un rimedio giurisdizionale effetti-vo a fronte di situazioni di rischio ambientale: in particolare, l’esperimento dell’azione risarcitoria in sede civile non avrebbe consentito ai ricorrenti di ottenere la rimozione dei rifiuti dalle strade, mentre era quantomeno dubbio che i residenti nelle aree colpite dalla crisi dei rifiuti potessero costituirsi par-ti civili nel processo penale intentato nei confronpar-ti dei presunpar-ti responsabili.

Alla luce di questo consolidato orientamento giurisprudenziale è verosimile supporre che la condotta delle autorità pubbliche italiane sarà censurata dal-la Corte di Strasburgo per via del palese inadempimento dell’articolo 8 nel suo aspetto sostanziale e procedurale. Le pubbliche autorità italiane, infatti, non solo hanno omesso di adempiere gli obblighi positivi di prevenzione, ma, annullando le decisioni della magistratura volte a sospendere le attività inquinanti, hanno finito per impedire ai cittadini di ricorrere avverso il

(51) La Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, sull’accesso alle informazioni, la parte-cipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, elaborata dalla Commissione economica delle Nazioni unite per l’Europa, è ora applicata anche alle istituzioni dell’Unione dal regolamento (CE) n. 1367/2006.

cato rispetto della normativa ambientale, violando così i doveri di cui all’articolo 8 CEDU.

Il punto di critica di questa ricostruzione potrebbe attestarsi, da parte della CEDU, sul richiamo alla dottrina del c.d. “margine di apprezzamento” se-condo cui agli Stati deve essere riconosciuta la necessaria applicazione fles-sibile delle regole formalizzate nella Convenzione al fine di bilanciare l’adempimento degli obblighi pattizi con la tutela di altre esigenze statali (52).

La Corte di Strasburgo, infatti, nell’accertare il rispetto da parte degli Stati dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione, lascia un margine di de-roga per consentire agli stessi il perseguimento di altri interessi statali, non-ché uno spazio di scelta e valutazione di questi ultimi. In questo senso, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso il necessario bilan-ciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potreb-bero essere incisi dall’espansione di una singola tutela. Il richiamo al «margi-ne di apprezzamento» nazionale − elaborato dalla stessa Corte di Strasbur-go, e rilevante come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea − deve essere sempre presente nelle valutazioni del giudice costitu-zionale nacostitu-zionale, cui non sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro (53).

(52) Tra le varie definizioni che sono state fornite di margine di apprezzamento possiamo richiamare quella di Y.ARAI-TAKAHASHI, The defensibility of the margin of appreciation doctrine in the ECHR: Value-pluralism in the European integration, in Revue Européenne de Droit Public, 2001, vol. 13, n. 3, 1162 ss., per cui esso può essere descritto come «la misura di discrezione rico-nosciuta agli Stati membri circa le modalità attraverso cui attuano gli standard della Con-venzione, considerando le specifiche condizioni e circostanze nazionali». Similmente, se-condo R.ST.J.MACDONALD, The margin of appreciation in the jurisprudence of the European Court of Human Rights, in A.CLAPHAM, F.EMMERT (a cura di), The Protection of Human Rights in Eu-rope, 1990, Kluwer, 95 ss., la dottrina sul margine di apprezzamento identifica l’approccio della Corte europea dei diritti umani rispetto al «delicato compito di bilanciare la sovranità delle parti contraenti con gli obblighi derivanti dalla Convenzione».

(53) Come già chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 24 otto-bre 2007.

3. Decostruzione del conflitto lavoro-ambiente ed emersione del nesso tra crisi ambientale, vulnerabilità sociali e crisi della rap-presentanza politico-sindacale

Non può revocarsi in dubbio, d’altro canto, che il contesto delle vicende in commento abbia avuto un peso rilevante nel bilanciamento effettuato dalla Corte costituzionale. Emblematicamente, Vallebona ha affermato che non è

«una gran soddisfazione evitare qualche morte per inquinamento inducendo molte morti, civili e fisiche, per disoccupazione» (54). Le drammatiche con-seguenze che la chiusura di uno stabilimento comporta sulla produzione e sull’occupazione non possono mai essere ignorate. Conseguenze la cui drammaticità tende ad acuirsi nelle aree geografiche caratterizzate da un alto tasso di depressione economico-sociale, nelle quali si registrano picchi stori-ci di disoccupazione e sottoimpiego, esclusione sostori-ciale e degrado ambienta-le. Del tema ha parlato chi si è interrogato del rapporto tra politiche indu-striali e diritto del lavoro, rimarcando come le scelte strategiche per rendere competitivi determinati territori, settori e siti produttivi possano, talvolta, influenzare non solo domanda e offerta di lavoro, ma le stesse condizioni di impiego (55). La questione del come e del quanto questo condizionamento possa ritenersi sostenibile sul piano sociale diviene tuttavia dirimente su quello giuridico.

Al riguardo è stato correttamente osservato che la cifra di ogni costituzione moderna sta nel fatto che «il contesto e il fine non possono giustificare ogni possibile mezzo, pena la stessa dissoluzione della legalità costituzionale» (56).

Nel momento in cui si riconosce «lo squilibrio del sistema» a vantaggio di una sola parte, l’ordinamento «non può ratificarne la persistenza, sia pur provvisoria, senza contraddire la sua stessa funzione ordinante» (57). Sul pia-no della ragionevolezza, quindi, politiche industriali dal carattere compro-missorio possono senza dubbio essere giustificate dalla condizione di emer-genza. Ma la legislazione dell’emergenza diviene criticabile laddove si co-struiscano o tendano a costruire microsistemi spesso destinati a fallire per le loro logiche sostanzialmente contraddittorie, in cui l’eccezione diventa la re-gola: logiche che «potrebbero anche trovare spiegazione per tempi brevi o stati di necessità, ma senza che il sacrificio proposto diventi a tempo

(54) A.VALLEBONA, L’Ilva e la Cina, in MGL, 2012, n. 10, 740.

(55) È la tesi di J.HOWE, The Broad Idea of Labour Law: Industrial Policy, Labour Market Regula-tion, and Decent Work, in G.DAVIDOV, B.LANGILLE (a cura di), The Idea of Labour Law, Ox-ford University Press, 295-314.

(56) A.MORELLI, op. cit., 11.

(57) N.LIPARI, Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, Studium, 2004, 130.

terminato, alimentando non solo scontenti quanto la convinzione che non è la partecipazione democratica il fondamento ultimo dell’ordinamento» (58).

Sul piano della politica del diritto, la scelta della preminenza del dato pro-duttivo e occupazionale sulla tutela dell’ambiente può affermarsi come solu-zione emergenziale e di breve termine – quindi per sua stessa natura, contra-ria al principio di sostenibilità inteso sia in senso sincronico che diacronico (59) – ma solo in quanto circoscritta nel tempo e associata a un programma ben definito di transizione alla normalità, all’interno del quale la questione ambientale possa divenire per le popolazioni locali una chiave di lettura del presente, ma anche uno strumento per costruire nuove possibilità di svilup-po ambientalmente e socialmente sostenibile. Diversamente, anche la prov-visoria sospensione delle regole giuridiche, «sostanzialmente riaffermate nel-la loro valenza nel momento stesso in cui venivano precariamente disattese»

(60), diventa mero strumento di affermazione del «rapporto di forza (che è l’antitesi del diritto) come indice massimo della nuova giuridicità» (61).

Sebbene il legislatore abbia avuto cura di apprestare, da un punto di vista tecnico-convenzionale, dei meccanismi di rientro dalla condizione di non compliance aziendale rispetto agli standard ambientali violati (come si produce), le cui prescrizioni risultano comunque censurabili e in ogni caso mai del tut-to adempiute (62), anche perché oggetto di continue modifiche, un

(58) P.PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, ESI, 2006, tomo I, 28.

(59) Nella prospettiva diacronica di analisi del rapporto tra lavoro e ambiente sul piano del diritto costituzionale (e civile) si dovrebbe peraltro svolgere una riflessione di metodo e di merito su come la salvaguardia integrata dei due beni possa essere garantita anche per le generazioni future di lavoratori e cittadini. E del resto la stessa giurisprudenza della Corte EDU, sebbene nelle prime decisioni in materia di raccordo tra diritto alla vita e tutela am-bientale sembrasse rivolgere l’ambito di applicazione della tutela esclusivamente in senso sincronico, pare più di recente prefigurare una tutela del diritto ad un ambiente sano ed esente da inquinamento il cui orizzonte temporale sia a fortiori proiettato nel futuro e com-prendere anche gli appartenenti alle generazioni future. Così L.TAFARO, Disastri ambientali, tutela dallo sviluppo e nuove concezioni del diritto alla vita nel sistema italo-comunitario, in A.

URICCHIO (a cura di), op. cit., in particolare 80-81. Sul punto, cfr. A.SPADARO, L’amore dei lontani: universalità e intergenerazionalità dei diritti fondamentali fra ragionevolezza e globalizzazione, in R.BIFULCO, A.D’ALOIA (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sosteni-bile e della responsabilità intergenerazionale, Jovene, 2008, sez. III; R.BIFULCO, La responsabilità giuridica verso le generazioni future tra autonomia dalla morale e diritto naturale laico, in Teoria del diritto e dello Stato, 2002, n. 2.

(60) N.LIPARI, op. cit., 90.

(61) Ibidem.

(62) Al punto che, di volta in volta, sono stati necessitati decreti ad hoc per la ridefinizione dei contenuti delle prescrizioni dell’AIA. Da ultimo, cfr. il d.P.C.M. 19 settembre 2017 re-cante approvazione delle modifiche al Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale

cio sistemico all’analisi della vicenda, informato al principio dello sviluppo sostenibile, avrebbe consentito non solo e non tanto di ricondurre l’obiettivo della salvaguardia occupazionale dentro un percorso di sostenibi-lità, e cioè nell’alveo di un progetto di politica industriale (e sociale) il cui orizzonte temporale fosse il medio-lungo termine; quanto di gettare luce sulla dimensione storica e politica della vicenda stessa, la cui drammaticità si è consolidata negli anni come “fatto notorio” (63), districando quella fitta re-te di corresponsabilità tra pubblico e privato che poco o nulla ha avuto a che fare con la difesa dell’occupazione quale interesse generale dei lavoratori e della cittadinanza di Taranto (per cosa e per chi si produce). Appare chiaro piuttosto che a minacciare la produzione e l’occupazione dell’Ilva siano stati

«i frutti avvelenati di una dissennata politica industriale ed urbanistica che, per decenni, facendo leva sul ricatto occupazionale, particolarmente fertile

«i frutti avvelenati di una dissennata politica industriale ed urbanistica che, per decenni, facendo leva sul ricatto occupazionale, particolarmente fertile

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 142-156)