pienamente compiuta
Resta inteso che il richiamo ai profili civil-costituzionali del principio dello sviluppo sostenibile, nella peculiare prospettiva del definitivo superamento della (falsa) alternativa tra lavoro e ambiente, dovrebbe implicare l’apertura
(167) M.PENNASILICO, Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, in Rassegna di Diritto Civile, 2014, n. 3, 765.
(168) V.PEPE, op. cit., 54.
(169) Così M.PENNASILICO, Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, cit., 768.
di una riflessione sul tema dei c.d. beni comuni (170), articolato dentro il più vasto argomento della proprietà (171), che non a caso è emerso a più riprese nel primo capitolo del libro ed è riaffiorato, quasi come un imperativo me-todologico, nel terzo paragrafo di questo capitolo, dove si è affrontato il nodo critico del raccordo tra libera iniziativa economica e utilità sociale.
La presa contemporanea dei beni comuni in contrapposizione alle formule più estrattive e invasive del capitalismo post-industriale non si comprende-rebbe, nella prospettiva giuslavoristica, senza tener presenti le profonde tra-sformazioni delle modalità di produzione e distribuzione del valore messe in evidenza nella posizione del problema di questo scritto. Modalità di fare im-presa e organizzare il lavoro che, non di rado, moltiplicano «i meccanismi di estrazione del lavoro» ben oltre «il plusvalore prodotto all’interno del tempo di lavoro di fabbrica» (172), richiamando l’immagine delle primordiali forme di accumulazione capitalistica (le c.d. enclosures), difronte alla quale la pro-spettiva dei c.d. commons si pone non sono e non tanto quale baluardo della difesa della persona nella sua essenziale vocazione solidaristica e relazionale, ma come terreno di coltura per rendere concreta e attuale la proposta di uno sviluppo sostenibile del sistema socio-economico nel suo complesso.
È chiaro d’altro canto che interessi collettivi e retroterra non proprietario sono, parafrasando il titolo del capolavoro di Paolo Grossi, l’unico modo di possedere (173) (o non possedere) (174) affinché la saldatura tra lavoro e am-biente possa dirsi pienamente compiuta, in ragione della intrinseca struttura solidaristica e partecipativa che conforma gli assetti proprietari, della diffu-sione delle possibilità di accesso, uso e alienazione e, solo secondariamente, della loro diretta funzionalizzazione alla tutela dei beni comuni per le gene-razioni di oggi e di quelle future (175).
(170) L.RAMPA, Q.CAMERLENGO, I beni comuni tra diritto ed economia: davvero un tertium genus?, in PD, 2014, n. 2, 253 ss.; M.R.MARELLA, Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, in Rivista Critica del Diritto Privato, 2011, n. 1, 110 ss.; nonché U.MATTEI, Beni comuni. Un mani-festo, Laterza, 2011.
(171) S.RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, cit., e S.DEAKIN, The Corporation as Commons: Rethinking Property Rights, Governance and Sustainability in the Busi-ness Enterprise, in Queen’s Law Journal, 2012, 37, 339-381.
(172) A.AMENDOLA, Diritto proprietario, beni comuni, comune: tra sperimentazioni istituzionali e tra-sformazione costituente, in Rivista critica del diritto privato, 2017, n. 4, 527. In argomento, per i profili relativi al tempo di lavoro, d’obbligo il rinvio a V.BAVARO, Il tempo nel contratto di la-voro subordinato. Critica sulla de-oggettivazione del tempo lala-voro, Cacucci, 2008, spec. cap. 1.
(173) P.GROSSI, op. cit.
(174) Cfr. J.BOYLE, Foreword: The Opposite of Property?, in Law and Contemporary Problems, 2003, vol. 66, n. 1-2, 32, e A.QUARTA, Non-proprietà. Teoria e prassi dell’accesso ai beni, ESI, 2016.
(175) S.DEAKIN, op. cit.; L.NIVARRA, La funzione sociale della proprietà: dalla strategia alla tattica, in Rivista Critica del Diritto Privato, 2013, n. 4, 503-530; U.MATTEI, Una primavera di movimento
Si tratta di una quadratura del cerchio difficile da realizzare alle condizioni attuali, stante come noto l’assenza nel nostro ordine costituzionale di una terra di mezzo tra proprietà pubblica e privata (176), tra Stato e mercato (177), dentro cui, in una parola, ricondurre il tema della giuridicità alla sintesi per-fetta tra soggetto e oggetto (178). La stessa previsione di cui all’articolo 43 Cost. (179) incontra il suo principale limite nell’essere una eccezione alla re-gola (180), quest’ultima rappresentata da quelle coppie oppositive – pubblico-privato, Stato-mercato – che hanno plasmato la tutela del lavoro e quella dell’ambiente nel Novecento industriale (181).
È questo un dato non poco problematico per il discorso di nostro interesse se solo si considera che ad Elinor Ostrom è stato assegnato il Premio Nobel per avere dimostrato che «né lo Stato né il mercato sono in grado di mettere gli individui nelle condizioni di sostenere in maniera efficiente e nel lungo termine l’utilizzo delle risorse naturali» (182). E peraltro si converrà che la
per la “funzione sociale della proprietà”, in Rivista Critica del Diritto Privato, 2013, n. 4, 531-550;
M.R.MARELLA, La funzione sociale oltre la proprietà, ivi, 551-568.
(176) A partire dal dato costituzionale, in forza del quale «La proprietà è pubblica o privata»
(art. 42, primo comma, Cost.). Sul punto, cfr. ampiamente M.R.MARELLA (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre Corte, 2012.
(177) D.BOLLIER, S.HELFRICH (a cura di), The Wealth of the Commons. A World Beyond Market
& State, Levellers Press, 2012.
(178) M.ROSENFELD, Rethinking the boundaries between public law and private law for the twenty first century: An introduction, in International Journal of Constitutional Law, 2013, vol. 11, n. 1, 125-128, e gli altri articoli dello special issue, spec. A.SUPIOT, The public-private relation in the context of today’s refeudalization, 129-145.
(179) Cfr. S.RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, cit., 461-462, secondo il quale una “terza dimensione” tra pubblico e privato emerge nell’art. 43 Cost., laddove si prevede che possano essere affidate «a comunità di lavoratori o di utenti deter-minate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Sul tema, cfr. U.MATTEI,A.QUARTA, Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto pri-vato. Dal capitale ai beni comuni, Aboca, 2018, spec. 123-125.
(180) Sulle riserve pubbliche di attività di cui all’art. 43 cfr., ex multis, A.LUCARELLI, Art. 43, in R.BIFULCO, A.CELOTTO, M.OLIVETTI (a cura di), op. cit., 883 ss.; G.DI GASPARE, Ap-proccio teorico al diritto dell’economia tra common law e civil law, in Jus, 2005, n. 3, 361-393; A.
PREDIERI, voce Collettivizzazione, in Enc. Dir., 1960, VII, 393 ss.; S.CASSESE, Legge di riserva e art. 43 della Costituzione, in GCost, 1960, n. 2, 1332 ss.; F.GALGANO, Art. 43, in G.BRANCA
(a cura di), op. cit.
(181) Sulla opportunità di un superamento delle coppie oppositive che hanno plasmato l’idea del lavoro e del relativo statuto protettivo (pubblico/privato; Stato/mercato; individua-le/collettivo), si veda P.TULLINI, Postfazione: un repertorio di immagini sul lavoro, in P.TULLINI (a cura di), Il lavoro. Valore, significato, identità, regole, Zanichelli, 2009, 211-212.
(182) E.OSTROM, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cam-bridge University Press, 1990, 1. Cfr. ampiamente U.MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, cit.
prospettiva dei beni comuni, allo stato attuale limitata, prevalentemente, a fenomeni collettivi e di protesta spesso confinati ai margini della legalità (183), implicherebbe un profondo ripensamento della funzione stessa del di-ritto del lavoro, in particolare della sua categoria fondamentale – la subordi-nazione – e della connessa ricostruzione del contratto di lavoro come con-tratto di scambio, per il semplice fatto che soggetto e oggetto della relazione e i relativi rapporti di forza verrebbero a costituirsi in un «reciproco atto ge-nerativo» (184).
Ma tutto ciò non esclude che, messa al riparo dalla tentazione nostalgica di un ritorno al passato (185), la «ragionevole follia dei beni comuni» (186) possa assurgere a modello idealtipico con cui misurarsi e da cui trarre spunti utili per la riflessione sul rapporto tra lavoro e ambiente, da ordinare in sintonia con quella prospettiva trasformativa della società promossa dalla Costitu-zione di cui la nostra disciplina è debitrice al pari di quanto lo sia verso il di-ritto civile. È in questa prospettiva che deve essere inquadrata, ad esempio, la evoluzione di fatto dei rapporti tra pubblico e privato che, per il tramite di iniziative promosse dalle autonomie e dalle comunità locali, vede una cre-scente valorizzazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale at-traverso pratiche di c.d. baratto amministrativo (187) o la conclusione di patti
(183) Ma vedi la ricostruzione di sistema dei frammenti normativi e della giurisprudenza of-ferta da G.FIDONE, Proprietà pubblica e beni comuni, ETS, 2017.
(184) Così N.LIPARI, Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, cit., 18, il qua-le riqua-leva come ancora appaiano fortemente radicate nella cultura giuridica qua-le categorie con-cettuali di soggetto e oggetto. E radicata appare altresì «la sensazione di una loro originaria indipendenza, anzi di una loro irriducibile antitesi» (ivi, 16).
(185) S.RODOTÀ, Vivere la democrazia, Laterza, 2018, spec. 103-107.
(186) F.CASSANO, Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo, 2004.
(187) Introdotto dall’art. 24 del d.l. n. 133/2014 (c.d. decreto “sblocca Italia”), convertito con modificazioni dalla l. n. 164/2014, il c.d. baratto amministrativo riconosce ai Comuni la possibilità di accordare ai cittadini sgravi fiscali, esenzioni sui tributi o compensazioni di debiti pregressi a patto che svolgessero prestazioni socialmente utili. La disposizione, rubri-cata Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio, recita: «I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pu-lizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di deco-ro urbano, di recupedeco-ro e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o ex-traurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L’esenzione è con-cessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e
giu-per la disciplina di forme di collaborazione tra i cittadini e l’amministrazione per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani e rurali, dando in particolare attuazione agli articoli 118, comma 4, 114, com-ma 2, e 117, comcom-ma 6, Cost. (188). Non si tratta, in definitiva, di costruire una “controlegalità” (189), quanto di mettere in evidenza come il riferimento ai beni comuni «abbia già manifestato una sua “virtù trasformativa” di cate-gorie che appaiono consolidate: in primo luogo quelle […] della sovranità e della proprietà» (190).
ridicamente riconosciute». In argomento, cfr. T.PULA, Il baratto amministrativo: profili giuslavo-ristici, in DRI, 2017, n. 2, 336-362.
(188) Vedi, a mero titolo esemplificativo, il modello di Regolamento sulla collaborazione tra citta-dini e amministrazioni per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani elabo-rato dall’associazione Labsus, il Laboelabo-ratorio per la sussidiarietà (www.labsus.org), e oggi recepito in 390 patti di ambito comunale (LABSUS, Rapporto Labsus 2017 – Sull’amministrazione condivi-sa dei beni comuni, 2017).
(189) Più radicale, sul punto, è la posizione di U.MATTEI,A.QUARTA, op. cit.
(190) S.RODOTÀ, Vivere la democrazia, cit., 130.
Sezione II
RILETTURA IN CHIAVE DI SOSTENIBILITÀ E DI CAPABILITY DEL RAPPORTO
TRA LAVORO E AMBIENTE NELLA COSTITUZIONE
Quando lo Stato, vicino alla sua fine, non sussiste più se non in una forma fitti-zia e vuota, quando il legame sociale è infranto in tutti gli animi, quando il più meschino interesse si abbellisce sfacciatamente con il sacro nome di bene pubblico, allora la volontà generale diviene muta; tutti, guidati da motivi segreti, non espri-mono più i loro pareri come Cittadini, quasi che lo Stato non fosse mai esistito, e si fanno passare ingannevolmente, con il nome di Leggi, decreti iniqui, i quali non hanno altro obiettivo che l’interesse particolare
J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Feltrinelli, 2014, libro IV, cap. I
1. Tecnica del contemperamento e presupposti giuridici del