• Non ci sono risultati.

Introduzione

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 93-106)

Interrogarsi sul rapporto tra lavoro e ambiente sul piano costituzionale im-plica, innanzitutto, ripercorrere le tappe dell’evoluzione dottrinale e giuri-sprudenziale che, a partire dagli anni Settanta, ha accompagnato l’insorgere e l’aggravarsi della questione ambientale attraverso una complessa opera di qualificazione giuridica della nozione di ambiente in funzione della sua pro-tezione alla stregua di un bene unitariamente inteso. Storicizzare il fenome-no giuridico oggetto di indagine, riconducendolo nel solco dei rapporti sto-rico-materiali in funzione dei quali ha preso forma e si è evoluto nell’ordinamento, si rende necessario in quanto ogni processo di individua-zione dei diritti della personalità – quale è il diritto all’ambiente – deve tene-re conto di quelle indicazioni provenienti dalla coscienza sociale, mutevole

nel tempo, le quali consentono di individuare gli interessi la cui tutela pare essenziale (1).

Dalla materializzazione della questione ambientale sul piano costituzionale scaturiranno, inoltre, alcune scelte interpretative e di politica del diritto in potenziale conflitto con l’idea della sostenibilità come valore giuridico tra-sversale, ascrivibile al principio di legalità, il quale implicherebbe il necessa-rio raccordo della salvaguardia ambientale con ogni singolo aspetto dell’esperienza giuridica, vale a dire con l’unità logica e assiologica dell’intero sistema ordinamentale (2). La questione assume rilievo, nondimeno, in rela-zione al principio di offensività, in forza del quale non c’è reato senza offesa ad un bene giuridico di rilevanza costituzionale (3). Per cui la identificazione del bene ambiente come bene giuridico unitariamente inteso è funzionale allo sviluppo delle tesi che saranno presentate, in particolare, nel capitolo terzo dell’elaborato, dove si analizzerà il raccordo tra tutela ambientale e profili prevenzionistici in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Si consideri infine che l’impostazione conoscitiva che si intende seguire in-contra, a monte dell’indagine, il limite metodologico rappresentato dell’emersione nel campo del diritto ambientale delle teorie sulla deumanizza-zione dei diritti (4), le quali hanno messo in discussione il principio che con-tribuisce alla stessa individuazione dell’ambiente come oggetto di tutela giu-ridica sul piano costituzionale attraverso l’opzione di fondo in esso contenu-ta: la centralità della persona umana (5). In dottrina è stato rilevato, infatti,

(1) S.PATTI, La tutela civile dell’ambiente, Cedam, 1979, 27.

(2) D’obbligo il rinvio all’intera produzione scientifica di Pietro Perlingieri. Ma si veda, ex multis, P.PERLINGIERI, Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, ESI, 2012, 73-110. La configurazione dell’ambiente come valore costituzionale, peraltro, ha notevoli conseguenze «sia perché può formare oggetto di un principio per dirigere l’interpretazione delle leggi, sia perché in quanto valore rappresenta uno degli elementi por-tanti della società e della sua evoluzione» (G.D’ALFONSO, La tutela dell’ambiente quale «valore costituzionale primario» prima e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in F.LUCARELLI (a cura di), Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, ESI, 2006, 12).

(3) V.MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneu-tico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, 2005.

(4) A.PISANÒ, Diritti deumanizzati. Animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, 2012, 91 ss.

(5) La stessa dottrina gius-ambientale che aderisce in modo convinto alla prospettiva antro-pocentrica – recuperandone però una versione corretta, fondata cioè su una autentica cen-tralità dell’uomo nel creato e non sulla contrapposizione utilitaristica – non ha mancato di rilevare come il principio dell’antropocentrismo traspaia sì in modo evidente nella giuri-sprudenza delle Corti costituzionali nazionali così come nell’ordinamento comunitario, ma sempre in termini piuttosto impliciti, quasi scontati e, comunque, mai con un’indicazione netta del significato di fondo da attribuirgli (M.CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela dell’ambientale come “diritto dell’ambiente”, in Federalismi.it, 2006, n. 25).

come l’ipotetica obiezione all’inclusione del tema dell’ambiente di lavoro nel tema ambientale in senso lato, fondata sul carattere artificiale del primo in contrapposizione alla dimensione naturale del secondo, sarebbe valida sol-tanto se il diritto ambientale fosse andato oltre l’antropocentrismo (6). Per cui la prospettiva di analisi prescelta, salvo non volere ridisegnare integral-mente i confini epistemologici della nostra materia (7), deve necessariamente collocarsi a metà tra la visione antropocentrica dell’uomo come “padrone”

della natura (capitalismo utilitaristico) (8), e la concezione ecocentrica che ne declama la mera appartenenza, se non la subalternità, all’ecosistema terrestre (deep ecology) (9). Si deve, in altre parole, accogliere un’interpretazione del rap-porto tra uomo e ambiente che presuppone una visione sistemica del mon-do (10), nella quale l’umanità è collocata all’interno del tutto (11), simbiotica ma non per questo equiparata alle altre componenti dell’universo. Cosicché la centralità del lavoro quale elemento essenziale dello sviluppo umano pos-sa continuare ad essere affermata, ma in un rapporto di sostenibilità rispetto all’ambiente, tale da assumere una rilevanza attuale per il diritto laddove l’oggetto della tutela continui ad identificarsi con l’uomo in quanto persona (che lavora), collocata nel contesto sociale e ambientale in cui è immerso (12) e che lo circonda (13).

(6) Cfr. R.DEL PUNTA, Tutela della sicurezza sul lavoro e questione ambientale, in DRI, 1999, n. 2, 152.

(7) D.J.DOOREY, A Law of Just Transition? Putting Labor Law to Work on Climate Change, Os-goode Hall Law School Legal Studies Research Paper, 2016, n. 35.

(8) Sui diversi paradigmi di filosofie ambientali, si veda P.PAGANO, Antropocentrismo, biocen-trismo, ecocentrismo: una panoramica di filosofia ambientale, in Energia, Ambiente e Innovazione, 2004, n. 2, 72-86.

(9) M.ANDREOZZI, Verso una Prospettiva Ecocentrica. Ecologia profonda e pensiero a rete, LED, 2011; M.UEBEL, voce Ecocentrism, in J.NEWMAN (a cura di), Green Ethics and Philosophy. An A-to-Z Guide, Sage, 2011, 133 ss.; E.KATZ, A.LIGHT, D.ROTHENBERG, Beneath the Surface.

Critical Essays in the Philosophy of Deep Ecology, MIT Press, 2000; J.A.PASSMORE, Man’s Respon-sibility for Nature. Ecological Problems and Western Tradition, Duckworth, 1974.

(10) F.CAPRA, U.MATTEI, Ecologia del diritto. Scienza, politica, beni comuni, Aboca, 2017; F.

CAPRA, P.L.LUISI, The Systems View of Life. A Unifying Vision, Cambridge University Press, 2014.

(11) «L’uomo è parte della natura, non fuori o sopra di essa, per cui l’ambiente non può es-sere configurato come una relazione esteriore di dominio, essendo un valore interiorizzato dalla personalità umana: il diritto all’ambiente impegna al più alto livello la dignità e la re-sponsabilità personale» (A.POSTIGLIONE, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in RTD-Pub, 1985, n. 1, 44).

(12) G.CLÉMENT, L’Alternativa ambiente, Quodlibet, 2014, 33.

(13) È questa la prospettiva di analisi accolta dalla dottrina maggioritaria nel campo del dirit-to dell’ambiente tandirit-to a livello nazionale (cfr. B.CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, 2005) quanto internazionale (cfr. D.BODANSKY, J.BRUNNÉE, E.HEY (a cura di), The Ox-ford Handbook of International Environmental Law, OxOx-ford University Press, 2012, 15 ss.).

2. La materializzazione della questione ambientale sul piano costi-tuzionale. Contributo allo studio del ruolo del sindacato nella evoluzione della tutela dell’ambiente

In questa direzione di ricerca va innanzitutto rilevato che, sul piano giuridi-co, il termine “ambiente” indica un concetto «tendenzialmente macroscopi-co e di difficile determinazione, che manifesta una intrinseca macroscopi-complessità strutturale dovuta, in particolare, al suo carattere poliedrico e multidimen-sionale» (14). Un concetto rimasto, per lungo tempo, estraneo alla tradizione normativa italiana (e non solo): nel 1970 Ugo Pototschnig riportava come l’unico dato certo fosse la sua caratterizzazione in senso negativo, derivante dalla differenziazione «fra bene singolo e insieme ambientale» (15). Tanto che quando la questione ambientale cominciò a porsi in maniera evidente, la le-gislazione vigente si occupava esclusivamente delle risorse naturali suscetti-bili di proprietà (16), mentre nessuna regolamentazione protettiva esisteva per taluni beni che, pur rivestendo un interesse primario, avevano «la sfor-tuna di non avere proprietario» (17).

Gli osservatori più radicali non hanno mancato di annotare come l’assenza di una espressa previsione costituzionale in materia di tutela dell’ambiente testimoniasse la scarsa attenzione dei costituenti al significato e all’importanza del problema della conservazione della natura, alle sue impli-cazioni urbanistiche e sociali, ai suoi rapporti con la salute pubblica, all’impiego del tempo libero, alla conservazione del suolo (18). In realtà, co-me vedremo subito, questo dato giuridico è stato forteco-mente condizionato, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, da quello economico-sociale e, se-gnatamente, dalla necessità di dare al Paese «un assetto istituzionale consono a una moderna democrazia, temi la cui risoluzione era davvero impellente»

(19).

In Italia, Paese di industrializzazione tardiva e diseguale, il formarsi di una consapevolezza ambientale sul piano politico e sociale tardò a maturare. La stessa coscienza che il diritto alla salute rappresentasse un connotato della persona fisica e fosse, perciò, «un bene irrinunciabile e inalienabile»

nell’ambito dei rapporti interprivati di scambio, maturò con qualche ritardo

(14) M.CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Giuffrè, 2000, 1.

(15) U.POTOTSCHNIG, Strumenti giuridici per la difesa della natura, in FA, 1970, n. 9, III, 461.

(16) Ibidem.

(17) Ivi, 466. Il riferimento era all’aria, alla fauna e alla flora.

(18) A.CEDERNA, Saggio sulla distruzione della natura in Italia, in AA.VV., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, Vallecchi, 1969, 58.

(19) S.LUZZI, Il virus del benessere. Ambiente, salute, sviluppo nell’Italia repubblicana, Laterza, 2009, 24.

nel movimento sindacale (20). Nella fase della ricostruzione le conseguenze ambientali dei nuovi modelli di produzione non erano contemplate nelle strategie di azione sindacale, o comunque erano ritenute «un sacrificio mi-nimale che valeva la pena pagare sull’altare dell’industrializzazione» (21). E tantomeno la cittadinanza e i movimenti collettivi potevano avvertire la que-stione delle ricadute sull’ambiente e sulla salute pubblica dello sviluppo in-dustriale del Paese: in un momento in cui le imprese avevano scatenato una forte controffensiva verso i diritti dei lavoratori (22), difronte alla grande di-sponibilità di manodopera a basso costo conseguente all’esodo agricolo (23), la priorità non solo era la tutela della salute interna alle fabbriche (24), ma la elaborazione di una strategia di rappresentanza che fosse in grado di dare risposta a un bisogno reale delle masse operaie e contadine che prima di tut-to volevano e dovevano essere garantite quantut-to ai loro mezzi elementari di sussistenza (25).

Il paradigma dello sviluppo, inteso come percorso di fuoriuscita dalla condi-zione rurale, vissuta come condicondi-zione di scarsità materiale in un contesto sociale e culturale arretrato, è stato dominante nella fase del miracolo eco-nomico e in un certo senso si poneva in continuità con le politiche indu-striali del ventennio fascista (26). Specularmente allo stereotipo del cittadino subalterno, stava il modello del lavoratore «rassegnato e fatalista», che accet-ta, senza discutere, «i dogmi più spinti del taylorismo razionalizzante» (27).

Fu difatti quel paradigma, ancora privo di riferimenti alla dimensione della sostenibilità dello sviluppo, e per certi versi antitetico all’ideale di progresso

(20) L.MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Franco Angeli, 1976, 11.

(21) Ivi, 42. Sul punto, cfr. K.CALAVITA, Worker Safety, Law, and Social Change: The Italian Ca-se, in Law & Society Review, 1986, vol. 20, n. 2, 189-228; F.CARNEVALE, A.BALDASSERONI, Mal da lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Laterza, 1999, spec. 147-229.

(22) P.ICHINO, I primi due decenni del diritto del lavoro repubblicano, in RIDL, 2007, n. 1, 221-247, spec. 237.

(23) C.FALASCA, Lavoro e ambiente. La Cgil e la transizione alla sostenibilità, Ediesse, 2006, 46.

(24) S.LUZZI, op. cit., 41.

(25) F.FERRAROTTI, L’ambiguità politica della contrattazione aziendale, in F.FERRAROTTI, Idee per una nuova società, Vallecchi, 1974, 283.

(26) In argomento, F.DE FELICE, Nazione e sviluppo: un nodo non sciolto, in F.BARBAGALLO (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana. Volume secondo. La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squi-libri, Einaudi, 1995, tomo 1, 838, ha osservato come, «accanto e dentro la permanenza del modello “militarizzato”, si sviluppa un altro modello di nazionalizzazione che privilegia gli elementi “acquisitivi”; la possibilità di accesso al benessere comporta l’accettazione del meccanismo che ne crea le condizioni; il coinvolgimento in esso è condizione per un am-pliamento delle possibilità. Per usare una formula fortunata, il nuovo modello di naziona-lizzazione è fondato sulle “aspettative crescenti”». Sul rapporto tra sviluppo industriale, la-voro e ambiente nel primo Dopoguerra, si veda altresì C.FALASCA, op. cit., 39-42.

(27) L.MONTUSCHI, op. cit., 12.

(28), ad alimentare il consenso politico e sociale intorno a quelle «iniziative imprenditoriali che, nei primi decenni postbellici, riplasmarono radicalmen-te, e per lo più irreversibilmenradicalmen-te, gli assetti ambientali di vasti territori del paese» (29).

Sollecitato da uno sviluppo tumultuoso e in larga parte sregolato della indu-strializzazione postbellica, il tema della tutela dell’ambiente comincia ad af-fiorare, già dalla seconda metà degli anni Sessanta, nel dibattito civilistico sulla teoria dei beni, nei termini di una mutata considerazione del rapporto tra l’uomo e la natura, tra la persona e il “mondo” (30). A differenza delle prime ricostruzioni dottrinali sul conflitto tra proprietà fondiaria e iniziativa economica industriale, tendenti in linea generale a favorire l’attività produt-tiva, gli interessi alla conservazione e alla difesa dell’ambiente si affacciano all’attenzione del giurista prima, e del legislatore nazionale dopo, in relazio-ne all’aspiraziorelazio-ne a una «migliore condiziorelazio-ne della vita» (31). Pietro Rescigno fu tra i primi a rilevare come la propensione incoraggiata dalle leggi e dai giudici «a tradurre in cose le energie, il lavoro, l’iniziativa e perfino i senti-menti e le sofferenze e le passioni degli uomini», cominciasse a cedere ad una visione in cui il mondo diviene «materia di pretese individuali o di gruppi privati, dirette a difendere la natura ed a promuoverne lo sviluppo»

(32).

Se inizialmente le scelte politiche e giudiziarie si indirizzarono unicamente alla massimizzazione della crescita industriale e del benessere materiale, dalla fine degli anni Sessanta, su quasi tutto il territorio nazionale, la contiguità tra industria e residenza è, in effetti, condizione scatenante di proteste e denun-ce da parte delle comunità locali e del sindacato. Nel 1972 Cgil, Cisl e Uil della provincia di Cremona si oppongono fermamente all’ulteriore amplia-mento dell’impianto della Amoco Corporation, la raffineria di petrolio dive-nuta successivamente proprietà della Tamoil (33). Del 1974 è la riunione

(28) Cfr. M.L.RIGHI, Le lotte per l’ambiente di lavoro dal dopoguerra ad oggi, in Studi Storici, 1992, n. 2-3, 619, secondo cui «I termini “progresso” e “sviluppo”, con i quali si connota solita-mente la fase espansiva del capitalismo italiano, non sembrano i più appropriati, se riferiti alle condizioni di vita e di lavoro degli operai negli anni Cinquanta e Sessanta».

(29) S.ADORNO, S.NERI SERNERI, Per una storia ambientale delle aree industriali in Italia. Introdu-zione, in S.ADORNO, S.NERI SERNERI (a cura di), Industria, ambiente e territorio. Per una storia ambientale delle aree industriali in Italia, Il Mulino, 2009, 25.

(30) Così P. RESCIGNO nel saggio Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni fiorenti-ni, 1976-1977, II, 861 ss., qui 877, citato da G.RESTA, I rifiuti come beni in senso giuridico, in Rivista critica del diritto privato, 2018, n. 2, 207.

(31) P.RESCIGNO, op. cit., 878.

(32) Ivi, 879.

(33) S.RAVELLI, Morire di petrolio. Trent’anni di lotte radicali a Cremona contro l’inquinamento am-bientale, economico, sociale e politico, Reality Book, 2014, 11.

dacale in cui a un gruppo di lavoratori venne per la prima volta esplicitata la pericolosità della sostanza lavorata in alcuni stabilimenti del Petrolchimico di Porto Marghera per le popolazioni residenti nelle zone limitrofe all’impianto (34). Sul piano della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il “ri-sveglio” è propiziato dalla rapida crescita politica dei lavoratori (35). Quella breve ma intensa esperienza di contrattazione delle condizioni ambientali del lavoro che coinvolse migliaia di lavoratori tra l’autunno caldo e i primi anni Settanta, oltre a ridurre sensibilmente la nocività nelle fabbriche, costi-tuì uno dei momenti più significativi di partecipazione collettiva «a una di-versa progettazione dell’organizzazione del lavoro» (36).

Al difuori dei confini della fabbrica, i problemi delle grandi città, l’inquinamento, i trasporti urbani e suburbani emersero come un motivo di denuncia nei confronti di una società che affrettatamente cercava di «porsi sul binario della acquisizione di mete del benessere», pur essendone ancora profondamente distante (37). E infatti, la questione ambientale poté afferma-re il proprio potenziale di contestazione radicale nei confronti dei modelli più estrattivi di sviluppo, basati sull’industrializzazione selvaggia e sull’abusivismo edilizio, solo quando il modello delle “aspettative crescenti”

(38) entrò in crisi per ragioni proprie (39), al punto da erodere la capacità stes-sa delle aree industriali contigue agli insediamenti abitativi di sostenere non solo l’occupazione e i redditi delle comunità locali, ma anche le aspettative di benessere delle generazioni future. Il diffondersi di una coscienza am-bientale nella cittadinanza e nei lavoratori si accompagna alla crisi e talvolta al venir meno delle motivazioni economiche e occupazionali che avevano reso socialmente e ambientalmente sostenibile la localizzazione degli im-pianti industriali in prossimità delle aree urbane (40).

È in questo contesto che matureranno le premesse per le prime sostanziali forme di giuridificazione nel campo della normativa ambientale, in risposta pur ancora ad esigenze sporadiche e marcatamente settoriali (41). Gli studi di

(34) F.CASSON, La fabbrica dei veleni. Storie e segreti di Porto Marghera, Sperling & Kupfer, 2007, 27.

(35) L.MONTUSCHI, op. cit., 12.

(36) M.L.RIGHI, op. cit., 619.

(37) Così G.GIUGNI, Sindacato: anni ‘70, in G.GIUGNI, Il sindacato fra contratti e riforme. 1969-1973, De Donato, 1969-1973, 106, ma già in EL, 1972, n. 2, 169-188.

(38) F.DE FELICE, op. cit., 838.

(39) Così S.ADORNO, S.NERI SERNERI, op. cit., 27.

(40) M.NUCIFORA, Pianificazione e politiche per l’ambiente. Le aree industriali italiane nel secondo No-vecento, in S.ADORNO, S.NERI SERNERI (a cura di), op. cit., 317.

(41) La manualistica in materia considera come prima normativa propriamente ambientale la l. n. 615/1966, concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico (c.d. legge “anti-smog”), seguita dalla legge sulle sostanze pericolose (l. n. 256/1974), dalla legge Merli

diritto dell’ambiente e gli orientamenti giurisprudenziali tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta saranno influenzati dallo scritto di Massimo Severo Gian-nini Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici (42). I capisaldi di questa dot-trina possono essere così schematizzati: l’ambiente è concepito come un bene; il concetto di ambiente non è una nozione giuridica, ma soltanto la somma di una pluralità di profili giuridicamente rilevanti che incrociano la dimensione naturalistica (paesaggio, beni culturali, bellezze naturali, parchi floro-faunistici, ecc.), urbanistica (sanità, igiene del suolo, difesa delle risorse idriche, difesa dell’atmosfera, ecc.) e dell’inquinamento; gli strumenti legisla-tivi del presente e del futuro per la difesa del bene ambiente non sono che gli strumenti del passato, con dei perfezionamenti applicativi. Questa tesi ruotava attorno al convincimento che all’ambiente dovessero attribuirsi di-mensioni multiformi e che, per poterne cogliere i tratti distintivi, le relative discipline normative non potessero che essere settoriali, sebbene già si rico-noscesse come stessero emergendo dei tratti comuni, anticipando quello che sarebbe stato il futuro assetto unitario (43).

Il superamento della tesi pluralista è stato incrementale e ha coinciso, nel suo evolversi, con l’acuirsi della questione ambientale e con i conseguenti aggiustamenti sul piano legislativo, giurisprudenziale, amministrativo e isti-tuzionale. Il disastro dell’Icmesa di Seveso del 10 luglio 1976 fu, in partico-lare, il primo episodio della storia italiana in cui il rischio ambientale palesò il suo potenziale distruttivo, consentendo un cambio di atteggiamento nei confronti del rapporto tra fabbrica e ambiente, anche a livello di legislazione comunitaria. La drammaticità di quell’evento segnò lo spartiacque tra due momenti (44): quello in cui centrale era la questione della salute dei lavoratori nella fabbrica, e quello nel quale la dimensione pubblicistica del problema

“salute e lavoro” si allarga a uno scenario più ampio e complesso in cui la nocività ambientale è subita dalle comunità circostanti l’insediamento indu-striale e dall’ambiente inteso in senso lato. L’idea secondo la quale ciò che accadeva all’interno delle fabbriche non avesse ricadute sostanziali sull’ambiente naturale e sulle comunità dimostrò la sua fallacia (45). Con il disastro ambientale di Seveso, a cui seguì di lì a poco quello della Anic

sull’inquinamento idrico (l. n. 319/1976) e dal decreto legislativo sui rifiuti (d.P.R. n.

915/1982). Cfr. G.ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, 2015, 13.

(42) M.S.GIANNINI, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in RTDPub, 1973, n. 1.

(43) Ivi, 25.

(44) Così C.FALASCA, op. cit., 61.

(45) Cfr. S.LUZZI, op. cit., 148, il quale sul punto cita anche il volume di N.PENELOPE, Seve-so. 1976-2006, Nuova Iniziativa Editoriale, 2006, 36-37. In argomento, cfr. altresì L.

CENTEMERI, Ritorno a Seveso. Il danno ambientale, il suo riconoscimento, la sua riparazione, Bruno Mondadori, 2006.

chem) di Manfredonia (il 26 settembre 1976) (46), si sgretolò non solo una convinzione popolare, ma una forma mentis che caratterizzava l’atteggiamento dei sindacati, della politica e della magistratura.

Difronte a simili accadimenti, la dottrina civilistica, intenta a ricostruire la nozione unitaria di ambiente a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non mancò di rimarcare l’insufficienza dell’azione dei singoli per la tutela ambientale, ricomprendendo nel novero degli interventi dei gruppi e delle

Difronte a simili accadimenti, la dottrina civilistica, intenta a ricostruire la nozione unitaria di ambiente a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non mancò di rimarcare l’insufficienza dell’azione dei singoli per la tutela ambientale, ricomprendendo nel novero degli interventi dei gruppi e delle

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 93-106)