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Diritto del lavoro e questione ambientale

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 57-0)

«Figlio indesiderato della società industriale» (63), il diritto del lavoro non si è mai posto il problema del cosa produrre, del perché produrre e soprattutto per chi produrre (64). L’idea del diritto del lavoro quale sistema normativo chiuso, centrato sull’obiettivo di un accrescimento dei livelli di tutela del la-voratore subordinato (65), anziché essere rivolto al riequilibrio sostanziale o parziale delle posizioni di potere tra le parti del rapporto (66), ha contribuito a rinsaldare, in forma latente, una dialettica compromissoria tra lavoro, con-sumi e crescita costante del capitale, a discapito della terza dimensione dello sviluppo sostenibile (67). Il dato della responsabilità ambientale è stato

parte del ceto medio. In questo item l’accento è posto non sui beni di consumo che si desi-dererebbe acquistare, bensì sulle motivazioni che spingono all’acquisto».

(62) F.FERRAROTTI, op. cit., 142.

(63) U.ROMAGNOLI, Alle origini del diritto del lavoro: l’età pre-industriale, in RIDL, 1985, n. 1, I, 515.

(64) Così, testualmente, M.NAPOLI, La filosofia del diritto del lavoro, cit., 58.

(65) Nell’apertura del suo storico saggio su autonomia collettiva e occupazione, Liso osservava come fino agli anni Ottanta il diritto del lavoro si fosse venuto costruendo «sulla base mate-riale di un sistema economico del quale ottimisticamente si riteneva che fosse in espansione continua, capace di metabolizzare rigidità crescenti sul versante del lavoro, concepite anche come pungolo necessario allo stesso progresso tecnico ed allo sviluppo» (F.LISO, Autono-mia collettiva e occupazione, in AA.VV., Autonomia collettiva e occupazione. Atti del 12° Congresso na-zionale di diritto del lavoro. Milano, 23-25 maggio 1997, Giuffrè, 1998, 4).

(66) La letteratura italiana e internazionale su questo specifico argomento è vastissima e sa-rebbe inopportuno, nella economia di questo scritto, richiamarla in modo sistematico. Sul tema, oltre al volume monografico M.MAGNANI, Il diritto del lavoro e le sue categorie. Valori e tecniche nel diritto del lavoro, Cedam, 2006, sono comparsi tre recenti saggi che possono valere a inquadrare non solo la letteratura classica, ma anche lo stato dell’arte e le prospettive evo-lutive di questa funzione storica del diritto del lavoro: R. DEL PUNTA, Verso l’individualizzazione dei rapporti di lavoro?, in L.CORAZZA,R.ROMEI (a cura di), Diritto del lavoro in trasformazione, Il Mulino, 2014; L.ZOPPOLI, Giustizia distributiva, giustizia commutativa e con-tratti di lavoro, in DLM, 2017, n. 2, 279 ss.; A.PERULLI, La “soggettivazione regolativa” nel diritto del lavoro, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona” – IT, 2018, n. 365.

(67) La denuncia di Antonio Vallebona, sul punto, è durissima: «le democrazie occidentali poggiano sul ferreo fondamentalismo dell’opulenza di massa, incarnato nella ricerca di un continuo aumento del PIL, attuale totem di classi dirigenti incapaci di guidare l’evoluzione culturale necessaria per la condivisione di un progetto sociale alternativo all’egoismo con-sumistico. Fondamentalismo che non assicura aumento dell’occupazione e vero progresso

plicemente rimosso» dal suo statuto epistemico e assiologico, preferendosi inseguire – populisticamente – il sogno di una quadratura del cerchio fra

«aumento della ricchezza, aumento dell’occupazione, e preservazione asso-luta dell’ambiente» (68).

Se si guarda al tradizionale approccio attraverso cui la relazione tra ambiente e lavoro è stata studiata dai lavoristi, ci s’imbatte in un percorso di ricerca a senso unico, orientato cioè alla sola analisi delle norme tese ad evitare l’esposizione dei lavoratori ad alcune condizioni insalubri derivanti dal con-testo ambientale alterato o degradato in cui il lavoro viene svolto (69). Con un riflesso inevitabile di questa cesura sul piano dei rispettivi settori discipli-nari (70), tanto da aver portato autorevole dottrina ad escludere esplicitamen-te la maesplicitamen-teria della saluesplicitamen-te e della sicurezza sul lavoro dall’area d’inesplicitamen-teresse del diritto ambientale (71). E ciò in ragione del fatto che la concezione sistemica di ambiente male si attaglia alla realtà del lavoro (di ieri), caratterizzata da una unità di luogo confinata – l’organizzazione aziendale e l’unità produttiva – il cui carattere artificiale rispetto all’ecosistema in cui si inserisce giustifi-cherebbe una tutela differenziata del suo oggetto sul piano del diritto positi-vo, di cui il contratto di lavoro definisce i contorni e i relativi vincoli solida-ristici.

La realtà è che nel sistema economico che il diritto del lavoro giustifica, le risorse naturali e la manodopera sono, in proporzione ai bisogni potenzial-mente illimitati delle persone, fattori scarsi (o comunque scarsapotenzial-mente utiliz-zabili), e di conseguenza la natura concorrenziale del mercato impone di di-stribuirli e usarli nella maniera più efficiente (72). Compiuta in funzione di

per l’individuo, ma significa sovente distruzione di civiltà e di risorse ambientali con sacrifi-cio delle generazioni future […]» (A.VALLEBONA, Breviario di diritto del lavoro, Giappichelli, 2009, 37).

(68) R.DEL PUNTA, Tutela della sicurezza sul lavoro e questione ambientale, in DRI, 1999, n. 2, 159.

(69) Non sembra revocabile in dubbio, all’opposto, che «il punto più alto degli inquinamen-ti, la trasformazione più radicale rispetto all’ambiente di vita tradizionale, l’incidenza mag-giore sull’uomo di fattori psicologici connessi a certi tipi di attività, e la somma più scon-volgente di tutti questi fattori, hanno luogo generalmente nell’ambiente di lavoro e già quando certi equilibri ambientali più complessi ancora non sono sostanzialmente scossi»

(AA.VV., L’ambiente di lavoro come problema, in QRS, 1971, n. 28, 46).

(70) In Italia come in altri Paesi è vero che «gli studiosi di diritto ambientale raramente si confrontano con i colleghi giuslavoristi. Pubblicano in riviste differenti, partecipano a di-versi convegni, compaiono di fronte a tribunali didi-versi» (D.J.DOOREY, A Law of Just Transi-tion? Putting Labor Law to Work on Climate Change, Osgoode Hall Law School Legal Studies Research Paper, 2016, n. 35, 5).

(71) B.CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, 2005, 25.

(72) B.KAUFMAN, Il contributo al diritto del lavoro della analisi economica secondo l’approccio neoclassico e istituzionale, in DRI, 2009, n. 2, 276.

minimizzare i costi di produzione (e dunque il costo del prodotto/servizio sul mercato), la scelta allocativa degli investimenti in capitale tecnologico, ricerca e sviluppo, implica sovente un trade-off tra lavoro e risorse materiali (naturali ed energetiche) (73), rispetto al quale i costi relativi dei due fattori produttivi vengono a influenzare le scelte aziendali circa la loro rispettiva distribuzione (74). La teoria economica classica, infatti, postula che non sia possibile risparmiare su tutti e tre gli elementi necessari alla produzione: ri-sorse naturali, capitale (macchinari e tecnologia) e riri-sorse umane. Dalla valu-tazione dei costi complessivi della produzione dipendono le decisioni (75):

scegliere di ridurre le risorse per le materie prime e gli investimenti tecnolo-gici, farà emergere il bisogno di disporre di una forza-lavoro estremamente preparata, collaborativa, coordinata ed efficiente. Questioni rilevantissime per il diritto del lavoro, ma oggetto di forti resistenze sul piano dottrinale e della prassi delle relazioni industriali.

Le implicazioni ambientali di una tensione alla sostenibilità giocata solamen-te sul piano della dialettica binaria tra capitale e lavoro sono nosolamen-te in letsolamen-tera- lettera-tura (76). Nei Paesi occidentali, il diritto del lavoro e la rappresentanza degli

(73) T.JACKSON, Prosperity without Growth: Foundations for the Economy of Tomorrow, Routledge, 2017; T.JACKSON, Prosperity without growth? The transition to a sustainable economy, Sustainable Development Commission, 2009. Ne parla anche O.DESCHENES, Environmental regulations and labor markets. Balancing the benefits of environmental regulations for everyone and the costs to workers and firms, IZA World of Labour, 2018, n. 22.

(74) Questa dinamica può apparire sfuggente in prima battuta, specie se l’angolazione di analisi è quella dei suoi effetti macro-economici. Si pensi, tuttavia, al rilievo che essa assume sul piano micro-economico, ad esempio nell’ambito della compilazione di un capitolato di appalto, in cui l’azienda in concorso per l’aggiudicazione della commessa è tenuta ad indica-re il costo dei materiali che verranno utilizzati unitamente al costo della manodopera impie-gata nella lavorazione. Essendo questi costi assunti come valore di riferimento per la valu-tazione economica, è comprensibile che un investimento per l’utilizzo di materiali ecoso-stenibili o di migliore qualità possa comportare la necessità di adottare misure di conteni-mento del costo del lavoro o di efficientaconteni-mento della relativa organizzazione al fine di man-tenere l’offerta competitiva. Del pari, l’applicazione di un contratto collettivo con livelli re-tributivi comparativamente maggiori può implicare la necessità di ridurre le previsioni di spesa connesse all’utilizzo, ad esempio, di energie rinnovabili.

(75) S.BECHER, Human capital: a theoretical and empirical analysis, Columbia University Press, 1964; P.CIPOLLONE,P.SESTITO, Il capitale umano, Il Mulino, 2010.

(76) Ve ne è traccia anche in alcuni testi classici della teoria economica sulla regolazione del lavoro: «Gli adattamenti escogitati dall’imprenditore nel suo sforzo di sfuggire alla regola-zione del lavoro sono precisamente dello stesso genere di quelli che egli introduce per ri-durre al minimo gli effetti della penuria naturale: i cattivi raccolti o l’esaurimento delle mi-niere. Nella sua azione i due generi di adattamenti sono indissolubilmente legati insieme, ed un sistema nel quale i primi fossero impediti si troverebbe seriamente svantaggiato nei ten-tativi di introdurre i secondi» (J.R.HICKS, La teoria dei salari, in C.ARENA (a cura di), op. cit., 513).

interessi hanno introiettato nel loro DNA l’etica del capitalismo (77), contri-buendo alla ipervalorizzazione sociale e culturale del lavoro, nonché alla in-differenza rispetto alle implicazioni ambientali della crescita economica (78).

La centralità del lavoro (di ieri), deresponsabilizzato e deresponsabilizzante, era tutt’altro che esente da difetti, in quanto implicava sia un’assenza di limi-ti nel produrre (ad esempio nei confronlimi-ti dell’ambiente), sia un’influenza sui comportamenti esterni al lavoro (ad esempio verso i consumi) (79). Massimo Luciani ci ricorda che perfino difronte alla presenza diffusa e profonda del lavoro nel testo costituzionale, rischia di impallidire l’attenzione agli altri

(77) Condivisibili le considerazioni di chi ha ritenuto che «il puro rivendicazionismo dei par-titi di sinistra e dei sindacati occidentali, lungi dall’indicare una linea di sviluppo delle per-sone e delle strutture alternativa a quella borghese in senso deteriore, si limita a farla pro-pria e ad estenderla alle masse; non si tratta di una critica di valori, ma di una rivendicazione ugualitaria di valori borghesi deteriori ormai completamente introiettati, così che le masse operaie e impiegatizie occidentali (o, se si preferisce, “settentrionali”, perché la differenza tra paesi a economia di mercato e paesi socialisti va riducendosi) assumono sempre più, so-prattutto viste dai paesi sottosviluppati, la fisionomia di “borghesi del mondo” se non addi-rittura di nemico n. 1 del Terzo Mondo» (L.LOMBARDI VALLAURI, Marginalità civilistiche, in N.LIPARI (a cura di), Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Laterza, 1974, 572-573. In ar-gomento, si vedano anche le considerazioni di Umberto Romagnoli sulle origini pre-industriali del diritto del lavoro: «la povertà laboriosa dell’Europa pre-industriale è più preoccupata di allontanarsi, nella reputazione sociale, dalla povertà mendicante che non di avvicinarsi alla classe dei mercanti. Ed è proprio il possesso di un mestiere che, in mancan-za di meglio, costituisce la soglia minima oltre la quale è dato acquistare uno status che si colloca nello strato inferiore della classe mercantile e dunque ne fa parte» (U.ROMAGNOLI, Alle origini del diritto del lavoro: l’età pre-industriale, cit., 516-517).

(78) Secondo Del Punta, il diritto del lavoro è nato e si è sviluppato come vincolo alla libertà di iniziativa economica, «ma ha introiettato profondamente, nel suo codice genetico, l’ideologia produttivistica del capitalismo moderno, che non a caso, sin dal secolo scorso, si è fondata anche sull’ipervalorizzazione sociale e culturale del lavoro» (R.DEL PUNTA, Tutela della sicurezza sul lavoro e questione ambientale, cit., 159. Sulla ipervalorizzazione del lavoro, si vedano invece C.PISANI, op. cit., 104-110, e J.A.CHAMBERLAIN, Undoing Work, Rethinking Community. A Critique of the Social Function of Work, Cornell University Press, 2018). In aperta critica al modello economico capitalistico, ha espresso il medesimo concetto Juan Escriba-no Gutiérrez: da un lato, concepire il lavoro come un costo ulteriore che, per poter essere sostenuto, deve essere ottimizzato (vale a dire contenuto) conduce già di per sé a conside-rare le risorse naturali in termini competitivi; dall’altro, la salvaguardia ambientale e i relativi costi (inclusi quelli per la tutela della salute al di fuori del luogo di lavoro) possono incidere negativamente sull’occupazione e, per tale ragione, sono guardati con diffidenza dai settori sociali potenzialmente interessati (J.ESCRIBANO GUTIÉRREZ, Lavoro e ambiente, le prospettive giuslavoristiche, in DRI, 2016, n. 3, 680).

(79) S.ANTONIAZZI, Cambia il lavoro, cambia il sindacato, Bibliolavoro, 2011, 17. In argomento, cfr. anche D.J.DOOREY, A Law of Just Transition? Putting Labor Law to Work on Climate Chan-ge, cit., 13, secondo il quale, se lavoratori e aziende discutono su come “ripartire la torta”, è normale che si trovino d’accordo nel ritenere migliore una torta più grande.

tori interagenti nella funzione di produzione: l’ambiente e le risorse naturali (80). Con la conseguenza di esporre le autorità pubbliche e la magistratura al rischio di dover prestare il fianco a letture funzionali a preservare il lavoro ad ogni costo, anche a discapito dell’ambiente, e quindi della salute degli stessi lavoratori/cittadini. Mancando così di cogliere e valorizzare l’idea che

«il lavoro non è tutto; il lavoratore deve essere còlto per quello che è, anche al di fuori del mondo della produzione» (81).

Per questa via, tanto nei sistemi civil law che nei sistemi common law, diritto del lavoro e diritto ambientale hanno finito per avere obiettivi ed esiti spes-so in conflitto: il diritto del lavoro si è preoccupato di produrre nuovi e mi-gliori posti di lavoro, un processo spesso guidato da una forte etica del con-sumismo (82). Se dalla metà degli anni Novanta la nostra disciplina comincia

«ad entrare in rotta di collisione con la questione ambientale» (83), ancora oggi si riscontra «una distanza considerevole per giungere a un diritto del la-voro che incorpori pienamente una razionalità ecologica e che tenga conto delle variabili ambientali» (84). In alternativa alla soluzione rivoluzionaria marxista, che proponeva l’eliminazione del capitale privato, la c.d. questione sociale ha legittimato, dunque, l’etica del capitalismo e al tempo stesso diffu-so benessere, adoperando come strumenti il diritto tributario e il diritto del lavoro: ciò ha comportato danno all’ambiente, netto divario con i Paesi po-veri e diffusione dell’edonismo (85).

Nello spazio economico globale, il prezzo della questione sociale è stato al-tissimo per l’ambiente: il diritto del lavoro, con scarso successo, ha tentato di proteggere l’occupazione nei Paesi occidentali mentre le economie emer-genti attiravano le imprese e la conseguente occupazione beneficiando dei minori costi di protezione ambientale (86). A chi oppone che nell’ultimo ventennio le emissioni di gas serra nelle economie avanzate si siano ridotte in conseguenza della deindustrializzazione strutturale e delle normative am-bientali, si contesta che questo è dipeso dal trasferimento dei processi più

(80) M.LUCIANI, La produzione della ricchezza nazionale, in Costituzionalismo.it, 2008, n. 2, 10.

(81) G.GIUGNI, Fondata sul lavoro? Conversazione con Alberto Orioli, Ediesse, 1994, 109-110.

(82) D.J.DOOREY, A Law of Just Transition? Putting Labor Law to Work on Climate Change, cit., 5. (83) R.DEL PUNTA, Tutela della sicurezza sul lavoro e questione ambientale, cit., 154.

(84) M.A.GARCÍA-MUÑOZ ALHAMBRA, Derecho del trabajo y ecología: repensar el trabajo para un cambio de modelo productivo y de civilización que tenga en cuenta la dimensión medioambiental, in L.M.

CABELLO DE ALBA,J.ESCRIBANO GUTIERRÉZ (a cura di), La Ecología del Trabajo. El trabajo que sostiene la vida, Bomarzo, 2015, 50.

(85) A.VALLEBONA, Lavoro e spirito, Giappichelli, 2011, 15-16. Sullo stesso argomento, cfr.

A.VALLEBONA, Breviario di diritto del lavoro, cit., 34-35.

(86) Così, testualmente, A. VALLEBONA, Lavoro e spirito, cit., 16. In tema, vedi anche A.

SUPIOT, A legal perspective on the economic crisis of 2008, cit., 157.

inquinanti della filiera produttiva nei Paesi in via di sviluppo (87). Alle stesse politiche per la Just Transition, per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, e finanche alle politiche in favore dello sviluppo dei green jobs e della circular economy, è stato attribuito di essere rispondenti più a interessi opportunistici che a una reale etica della sostenibilità. Nonostante la promessa trasformati-va che esse veicolano, gli accademici più radicali non hanno mancato di rile-vare come la vera essenza dei modi di produrre non sembri essere messa in discussione dalle politiche economiche e legislative che ne discendono. Nel-la sostanza, ciò che le politiche ambientali internazionali propongono sareb-be null’altro che una rivisitazione in chiave green del modello di capitalismo occidentale (88), portando di fatto a legittimare tutta una serie di micro-comportamenti i quali in forma aggregata contribuiscono al deterioramento dell’ambiente al pari delle azioni macroscopiche dell’uomo sulla natura (89).

Sottoposta al vaglio dell’analisi economica del diritto (90), la questione trove-rebbe spiegazione nel teorema di Coase per cui, in presenza di costi di tran-sazione, la regolazione segmentata di un diritto può produrre effetti collate-rali (c.d. esternalità negative) sulla tutela di un altro diritto, bene o interesse giuridicamente rilevante (91). Si è inverato, più semplicemente, il monito di

(87) M.JACOBS,M.MAZZUCATO, Rethinking Capitalism: An Introduction, in M.JACOBS, M.

MAZZUCATO (a cura di), Rethinking Capitalism. Economics and Policy for Sustainable and Inclusive Growth, Wiley-Blackwell, 2016, 10.

(88) È il tema del c.d. greenwashing, termine coniato in America nei primi anni Novanta per descrivere il comportamento di alcune grandi aziende che avevano associato la propria im-magine alle tematiche ambientali per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle responsabilità derivanti dall’inquinamento causato dalle proprie attività produttive. Cfr. C.

WICHTERICH, Contesting green growth, connecting care, commons and enough, in W.HARCOURT,I.L.

NELSON (a cura di), Practising feminist political ecologies: Moving beyond the green economy, Zed Books, 2015, 72; G. CLÉMENT, L’Alternativa ambiente, Quodiblet, 2014, spec. 15 ss.; J.

GOODMAN,A.SALLEH, The Green Economy: Class hegemony and counter-hegemony, in Globaliza-tions, 2013, vol. 10, n. 3, 411-424; K.MCAFEE, Nature in the Market-World: Social and Develop-ment Consequences and Alternatives, paper presentato alla conferenza UNRISD, Green Economy and Sustainable Development: Bringing Back the Social Dimension, 10-11 ottobre 2011, Ginevra; N.

CASTREE, Neoliberalizing nature: The Logics of Deregulation and Reregulation, in Environment and Planning A: Economy and Space, 2008, vol. 40, n. 1, 131-173.

(89) Cfr. K.FISHER KUH, An Unnatural Divide: How Law Obscures Individual Environmental Harms, in K.H.HIROKAWA (a cura di), op. cit., 28-29.

(90) P.ICHINO, Lezioni di diritto del lavoro: un approccio di labour law and economics, Giuffrè, 2004.

Per un contributo ricostruttivo dei diversi approcci di law and economics del diritto nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, cfr. B.KAUFMAN, Il contributo al diritto del lavoro della analisi economica secondo l’approccio neoclassico e istituzionale, cit. e M.MAGNANI, op. cit.,

§§ 10-12.

(91) R.H.COASE, The problem of social cost, in The Journal of Law & Economics, 1960, vol. 3, 1-44.

In tema di esternalità negative, si veda anche W.K.KAPP, The social costs of private enterprise, Schocken Books, 1971 (ma 1950).

chi, nel prendere atto dei limiti delle forme tradizionali di responsabilità so-ciale d’impresa, ha ritenuto che «lo status di lavoratore subordinato non pos-sa più essere invocato, nelle presenti condizioni storiche, come pretepos-sa ad una tutela smisuratamente privilegiata rispetto ad altre figure e categorie (o ri-spetto ad altri beni, come l’ambiente) meritevoli di protezione» (92).

Non si può d’altro canto rifuggire dal constatare la preponderanza che il momento conflittuale ha assunto nei processi sociali di acquisizione, tra-sformazione e distribuzione delle risorse, in contrapposizione a una conce-zione istituzionale d’impresa fondata sull’idea di condivisione di obiettivi di carattere generale (93), più compatibile con i principi di una collaborazione circolare funzionale ad una crescita economica di tipo qualitativo e generati-vo. Non stupisce che la critica mossa alla configurazione del contratto di la-voro come contratto a causa associativa – per cui lo svolgimento di un’attività lavorativa (in posizione subordinata) sarebbe destinato a soddi-sfare un interesse comune al datore e al prestatore di lavoro – si regga sul presupposto che «la coscienza sociale e quella delle parti interessate, riflessa nella legge, escludano categoricamente siffatto interesse» (94), essendo capi-tale e lavoro sempre valutati dall’ordinamento in termini oppositivi. È del resto la dottrina pluralista del diritto del lavoro (95) ad aver riconosciuto nel

(92) R.DEL PUNTA, Responsabilità sociale dell’impresa e diritto del lavoro, in LD, 2006, n. 1, 60. In termini sostanzialmente analoghi, ma senza il riferimento esplicito al bene ambiente, si è espresso Raffaele De Luca Tamajo, costatando che «a fronte di alcuni disposti legislativi che “incarnano” esigenze e valori di carattere permanente e universale dell’uomo che lavo-ra, tali da non tollerare alcun condizionamento, ve ne sono altri che sottendono interessi suscettibili di gradazioni di tutele e mediazioni circa l’intensità e le modalità della protezio-ne, ampiamente influenzate dalla evoluzione del contesto socio-economico, dalla storicità dei modi di produrre, dai rapporti di forza» (R.DE LUCA TAMAJO, Jobs Act e cultura giuslavo-ristica, cit., 6).

(93) Sulla comparazione tra le teorie contrattualiste e istituzionaliste del contratto di lavoro,

(93) Sulla comparazione tra le teorie contrattualiste e istituzionaliste del contratto di lavoro,

Nel documento Diritto del lavoro e ambiente (pagine 57-0)