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categoria concettuale di “infedeltà”, non solo rientrano in una passi usuale all’epoca 182 , ma dimostrano altresì una salda coerenza con il programma di intenti da cui hanno origine.

L’arbitrio della traduttrice interviene sui testi affinché la loro rappresentazione sia attuabile

sulle scene venete

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. Talvolta, inoltre, le modifiche apportate sono il risultato di motivazioni

tali da indurla a ritenerne opportuno il mantenimento anche nella fase di trasposizione

scritta per la pubblicazione. Ne è caso emblematico il Disertore di Mercier, opera che,

malgrado il successo coevo da parte del pubblico nonché la lodevole approvazione

dell’autore stesso, è stata più volte chiamata in causa quale prova degli scarsi meriti della

traduttrice. Spiega la Caminer:

Nell’eseguire le traduzioni che in questo Volume sono racchiuse io non ho sempre creduto necessario lo stare servilmente attaccata all’Originale. […] Il Disertore è meritatamente una delle più fortunate composizioni teatrali che siano state fatte giammai a Venezia, dove lo feci rappresentare l’anno scorso, fu replicato per 23 sere consecutive, e per quasi tutta l’Italia ebbe un eguale incontro. Io ho però dovuto cangiarne il fine. Noi non siamo avvezzi alla durezza sanguinaria pell’ordinario e implacabile della legge di morte contro a quegl’infelici che disertano: lo scopo politico non avea dunque luogo fra noi, e nello scopo morale bastavano le angosce che soffre l’infelice Disertore. V’ebbe chi sindacò il

182 Caso analogo è quello della traduzione di Albergati Capacelli dell’Iphigénie di Racine (Ifigenia), del 1764: “l’Albergati ha pensato, che «sul Teatro Italiano non riuscisse troppo bene il terminar la tragedia come l’Autor Francese la termina». E ha modificato la catastrofe, aggiungendo una scena finale e chiudendo l’opera con le nozza di Ifigenia con Achille”: Luigi Ferrari, Le traduzioni italiane del teatro tragico…, cit., p. 136. Già Fulvio Francesco Maria Grati, nella sua traduzione del 1728 aveva avuto lo stesso accorgimento: “Non si notano grandi novità nella partizione delle scene o dei personaggi […]. Ma lo sviluppo della favola è stato modificato sostanzialmente. Si finge che Ulisse, grazie alle sue risorse, riesca a persuadere Ifigenia a rassegnarsi al sacrificio (a. V, sc. 1), ma che questo non possa effettuarsi, perché preceduto dall’unione con Achille, mutandosi così la catastrofe in Lieta”: Ivi, p. 133. Differente invece la traduzione di Gian Pietro Riva, del 1735, di cui il Ferrari non annota alcun cambiamento in merito al finale: “Buona traduzione in verso sciolto, quasi letterale. L’anonimo traduttore è il p. G. Pietro Riva (1696-1785)”: Ivi, p. 134. In merito a quest’ultimo cfr. l’interessante studio di Laura Maggi Notarangelo, Gian Pietro Riva traduttore di Molière, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 1990. Che la prassi fosse usuale all’epoca è cosa nota; si noti ad esempio quanto scrive Giuseppe Gattei in merito alla traduzione del Sonnambulo di Albergati Capacelli: “Dopo di lui [Francesco Albergati Capacelli] anche l’erudita signora Elisabetta Caminer Turra si diede a una traduzione che, quantunque sia stata accolta con favore, a noi però sembra che gareggiar non possa coll’originale come gareggia la presente, nella quale il traduttore altra libertà non si è presa che quella di fingere l’azione, anziché in Francia, in Italia, e di cangiare per conseguenza i nomi dei personaggi francesi in italiani”: Giuseppe Gattei, “Notizie storico-critiche sopra Il Sonnambulo”, in

Teatro moderno applaudito ossia raccolta delle più scelte tragedie commedie, Venezia, Gattei, 1797, vol. IX, p.

40.

183 Scrive Georges Mounin in proposito: “la traduzione teatrale,, quando non è scritta per un’edizione scolastica, universitaria o critica, bensì per la recitazione [deve] trattare il testo in modo da poter essere considerata tanto un adattamento quanto una traduzione. Prima della fedeltà al vocabolario, alla grammatica, alla sintassi e persino allo stile di ogni singola frase del testo, deve venire la fedeltà a quel che, nel paese d’origine, ha fatto di quell’opera un successo teatrale. Bisogna tradurre il valore teatrale prima di preoccuparsi di rendere i valori letterari o poetici, e se fra quello e questi si crea un conflitto, bisognerà scegliere il primo contro i secondi. […] Ecco perché il traduttore di un’opera teatrale – e più spesso si parla di adattamento – farà quasi sempre ricorso ai procedimenti di traduzione meno letteralmente fedeli […]; perché non deve soltanto tradurre enunciati bensì anche contesi e situazioni, in modo che sia possibile comprenderli tanto immediatamente da poterne ridere e piangere”: Georges Mounin, Teoria e storia della traduzione, cit., p. 155. Corsivo nel testo.

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cambiamento, e molto più causticamente fui accusata io medesima per aver messo mano nell’opera del Signor Mercier. Io non poteva far bandire dal pubblico Trombetta che l’Autore n’era stato contento (a). Io ho cercato di condurre il lieto fine nella migliore e più giustificabile maniera. Dopo sedici sere che questo Dramma erasi rappresentato, fui pregata dai Comici a farvi ancora un altro cambiamento, a far vedere cioè in azione quello che prima si sapea per racconto. Io cedetti alle istanze di que’ valorosi Attori, che aveano contribuito a fissare l’incontro col Disertore coll’eseguire eccellentemente le parti loro.

(a) Ecco quello ch’ei mi scrisse a questo proposito: Cette mort a deplu en France come en Italie. Je

voulois donner à ma pièce un but politique, èclairer ma Nation sur l’honneur de cette loi inhumaine qui dispose si froidement de la vie d’un homme qui ose rentrer dans le droit naturel. J’ai cru la disposer à rejetter la loi, en lui en offrant le tableau. Elle n’a pu souffrir en peinture ce qu’ elle admet en realitè. C’est un nouve au remerciente que je vous dois pour avoir changè cette sanglante catastrophe etc.184

184 ElisabettaCaminer Turra, “Prefazione della traduttrice”, cit., pp. 10-11. Corsivi nel testo e grassetti miei. Si noti come lo stesso Gozzi, censore di molti degli interventi della Caminer, approfitti di parte della “Prefazione” al Fajel per spiegare alcune delle sue “alterazioni” rispetto al testo originale: “Io non avrò giammai il ridicolo vapore di giudicarmi autore d’un’opera non mia, e quando sperassi di possedere abbastanza la facoltà di ben tradurre nella mia lingua l’opera d’un estero averei al più libero il cuore dal rimorso di pregiudicarla. Veramente da tal rimorso non mi trovo libero affatto, e sapendo quanto difficile sia l’arte del ben tradurre, spezialmente in versi, auguro agli esteri che gli italiani, i quali si accingono alla servile fatica del tradurre le opere loro, abbiano un intero possesso de’ termini, delle frasi, delle eleganze, delle grazie, e delle bellezze della nostra lingua, e quella trepidazione medesima ch’io sento di diformare un originale […] Ho tratto dal francese il suo Fajel con quella fedeltà che è permessa dal linguaggio de’ nostri Teatri, e si troveranno nella mia traduzione le seguenti alterazioni che mi credo in debito di palesare, non facendo conto di alcune minute sostituzioni, ch’io credei necessarie. Ho espurgata l’opera dalle espressioni correlative alle Crociate de’ tempi di Fajel, perché il saggio, e religioso governo non avesse difficoltà a licenziarla per il Teatro. Non ho avuto l’animo del Signor d’Arnaud, né di Fajel per far mangiare il cuore di Cucì a Gabriella. Oltre a ciò, siccome io penso fuori di natura, ho creduto che Gabriella (possiamo dire agonizzante) non fosse in grado di mangiare un cuore, per quanto foss’egli ben condito dal cuoco il più eccellente. Dove Fajel avverte Gabriella di aver mangiato il cuore di Cucì, mi sono attenuto all’idea del Signor Belloy, di far recare a Gabriella in un vaso il cuore dell’amante. Ella lo crede veleno, si inorridisce vedendo un cuore; ed ecco come io fo parlare Fajel con qualche arbitrio. Ommetto la risposta di Gabriella, pure arbitraria, e che si può vedere nella Tragedia. […] Parvemi per tal modo di scemare alquanto di quell’orrore di cui quella Tragedia è pur troppo sparsa, e di cui l’Uditorio nostro non è punto vago, e il condannare Gabriella ad avere dinanzi agl’occhi nelle sue stanze per sempre il cuore dell’amante, mi sembra decreto proporzionato al carattere del nostro barbaro, e brutale geloso. Si troveranno nel fine della Tragedia tradotti que’ frammenti che ho troncati nel quinto atto, sicché i lettori abbiano la intera Tragedia del Signor d’Arnaud, e acciocché i Comici possano rappresentarla in quel modo che meglio sembrasse loro. Aveva disposizione di troncare alcuni sentimenti del bilioso Fajel replicatissimi nel suo furioso desiderio di vendetta, ma ebbi dello scrupolo. Il Signor d’Arnaud, che studia la verità, sa che un uomo infuriato, in natura, cade spesso nelle medesime espressioni. Non ho dunque pregiudicato il Signor d’Arnaud in questa bella imitazione della natura, ma prego l’Uditorio a sofferire senza annoiarsi, i difetti della natura imitata, per conto del Signor d’Arnaud”: Carlo Gozzi, “Prefazione…”, cit. Grassetti miei. Molte delle motivazioni addotte da Gozzi, oltre a quella della censura (“perché il saggio, e religioso governo non avesse difficoltà a licenziarla per il Teatro”) non sembrano poi così distanti da quelle che animano le traduzioni della Caminer: in

primis la fedeltà al “linguaggio de’ nostri Teatri”; a questo si aggiunge poi un certo moralismo nella volontà di

preservare il pubblico da “quell’orrore di cui quella Tragedia è pur troppo sparsa, e di cui l’Uditorio nostro non è punto vago”, non troppo dissimile da quel “noi non siamo avvezzi alla durezza sanguinaria pell’ordinario e implacabile della legge di morte contro a quegl’infelici che disertano” dichiarato dalla Caminer quale giustificazione della scelta, da Gozzi tanto biasimata, di cambiare il finale del Disertore; c’è poi lo “scrupolo” nel cassare alcuni passi ritenuti eccessivi che ancora una volta richiama il “molto più causticamente fui accusata io medesima” con cui la Caminer fa ammissione di colpa per essere intervenuta in modo tanto personale sul testo del Mercier; infine, come Gozzi avverte la necessità di riportare nella pubblicazione anche “que’ frammenti che ho troncati”, anche la Caminer, la quale per la rappresentazione scenica aveva spostato a Venezia l’azione de I

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Se da un lato, come nel caso de I Due amici, è evidente il ruolo che hanno gli attori e le

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