séant”: Carlo Gozzi, Ragionamento ingenuo…, cit., pp. 41-42. Corsivo nel testo, grassetti miei.
100 Carlo Gozzi, Manifesto promozionale, in Id., Opere…, 1772, vol. I. Anche il Manifesto promozionale, la cui finalità è spiegare la scelta di un’edizione integrale delle proprie opere, è per Gozzi pretesto di riproporre alcuni dei suoi leitmotiv costanti, difendendosi da alcune accuse di plagio (in particolar modo in merito a La
principessa filosofa) e non mancando di attaccare direttamente le traduzioni e il giornale della Caminer, anche
in questo caso con citazioni e autocitazioni dirette. Il manifesto si rivela inoltre una prima interessante occasione per introdurre i prossimi “drammi spagnoleschi” quale valida opportunità di riforma dell’oramai degenerato panorama drammaturgico della penisola.
101Carlo Gozzi, Appendice al Ragionamento ingenuo del tomo I, inId., Opere…, cit., vol. IV, pp. 9-78. Gozzi stesso spiega che “Que’ due ragionamenti sono una difesa alla Farsa improvvisa materiale, popolare, allegra, e innocente dell’arte italiana, per i Teatri aperti all’universale, e contro a’ Poeti i quali, parte per fanatismo, parte per venalità, parte per una criminosa malizia rivoluzionaria, la vollero annichilata, col mascherato prestito di introdurre la decenza, e la coltura nei Teatri, e per dirozzare, guarire da’ pregiudizi e illuminare le teste de’popoli”: Carlo Gozzi, Opere edite…, cit., vol. XIV, pp. 160-161. Grassetti miei.
102 Carlo Gozzi, Opere edite…, cit. 103
Mentre la Caminer attribuiva ai francesi il merito dell’allontanamento dai precetti dell’arte antica, non più consoni alla nuova società, parallelamente Gozzi si difendeva dalle accuse di “irregolarità” individuando in tale caratteristica quella necessaria rottura delle norme aristoteliche avviata da tempo da spagnoli e inglesi nonché, sebbene solo tardivamente, francesi: “(a) Chi disse [la nota (a) a piè di pagina riporta: “Giornale Europa
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Il nostro Signor Goldoni, ch’ebbe il merito di sostenere per tanto tempo il Teatro Italiano, divertendo i suoi nazionali, e facendosi ammirare, può dire quali utili abbiano gli Scrittori Teatrali d’Italia, e da chi devano trarli con mortificazione, ed avvilimento. Io non ho cercato che di divertirmi, di spassare i miei concittadini, e di procurare dell’utile a una Truppa, che non ha demeriti con quel Pubblico, a cui ella
Letteraria”], che le mie dieci Fiabe sceniche sono eccellenti, ma prive di regola teatrale, e fuori di natura, disse ciò condotto da una di quelle ragioni, che suggerisce l’impostura. Non accetto né quel bene, né quel male, ch’egli ne dice. Egli le chiama eccellenti per non offendere il Pubblico, a cui piacquero; le chiama irregolari, e fuori di natura per la velenosa brama, ch’egli ha di disprezzarle. […] Le mie dieci Fiabe teatrali sono regolarissime, per quanta regolarità può portare l’indole di quelle rappresentazioni, e devesi porre in conto la natura imitata in esse, se commossero l’uditorio alle lagrime. Elleno si pubblicano in istampa, e il Signor
Floriferis ut apes [sarcastica allusione al motto dell’«Europa letteraria»: Floriferis ut apes in saltibus omnia libant (Lucrezio, De rerum natura, III, 11)] potrà fare le sue dotte censure con maggior agio, e più calma di
spirito sull’irregolarità, e sulla morale di quelle. Le regole lasciateci da’ rigidi maestri antichi sull’opere di Teatro, particolarmente nell’unità della scena, e nel giro di ventiquattr’ore di tempo, non furono, che e per vincolare i talenti a comporre un’opera, che la probabilità, e l’unione delle parti facesse comparire un idoletto di perfetta armonia, proporzione, e interezza. La rispettabile antichità pensava siora le parti d’una composizion teatrale con quelle stesse ristrette, ed austere massime, colle quali il Petrarca, ed il Bembo pensavano sulle parti, che deve avere un sonetto, e nulla risparmiava per istringere gl’ingegni entro un’angusta circonferenza che non gli lasciasse uscire dalla perfezione, e dalla semplicità. La noia ne’ popoli fu una conseguenza di queste ristrette regole, e molti Scrittori teatrali, ostinati in queste, empierono le opere loro di maggiori assurdi, che non le avrieno empiute, se se ne fossero dispensati. Gli Spagnuoli, gl’Inglesi, gl’Italiani furono i primi a spezzare questo legame, per appagare in Teatro i loro popoli. I francesi più delicati poterono conservar le regole più a lungo, ma oggimai non posson durarla. Alessio Pirrone, poeta teatrale Francese, cominciò a lagnarsi di queste regole l’anno millesettecentoventotto, e già si comincia a vedere nel’opere Francesi d’oggidì, sala, prigione, parco, giardino, steccato, tempio con rogo, e piazza con ponte, e varie mutazioni di luogo in una sola rappresentazione”: Carlo Gozzi, Ragionamento ingenuo…, cit., pp. 45-47. Corsivi nel testo, grassetti miei.
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Ivi, p. 5. Grassetti miei. È interessante osservare che anche Gozzi, grande difensore della Commedia dell’arte e delle truppe comiche ingiustamente trattate, al momento del passaggio dal palcoscenico alla stampa, adduca quale prima motivazione ad indurlo alla pubblicazione delle proprie opere proprio la necessità di fissare una versione unica di quelli che ormai proprio lo stravolgimento che gli attori nel corso degli anni avevano ridotto a “mostri illegittimi” per necessità di tipo performativo: “Tra le molte ragioni, colle quali gli amici miei cercarono di persuadermi a dare alle stampe le opere mie teatrali, da me scritte per solo divertimento, e donate alla Truppa Comica, detta del Sacchi, meritevole di sostegno, alcune finalmente m’indussero a risolvermi ad un tal passo. Le paleserò a’ miei Concittadini, perché non si giudichi ch’io mandi le opere mie sotto a’ Torchi presumendo che sieno degne di uscire alla luce, per una mia particolare ambizione. Essendo state da varie Truppe Comiche Italiane, mosse dal buon esito teatrale ch’ebbero coteste opere, rubate nel Teatro del Sacchi, di volo, e assai male, le tessiture delle mie rappresentazioni, vestite queste con dialoghi di scrittorelli meschini, scorrono per i Teatri dell’Italia, mostri illegittimi. Oltre a ciò queste medesime rappresentazioni, che da molti anni si replicano tuttavia dalla Truppa Sacchi con della fortuna, sono però oggidì in molte parti rese diverse da quelle, che furono nel loro nascere. Passando questa Truppa in varie Città nel corso delle stagioni, il bollore della state le fa troncare delle scene, o smembrarle per non tediar gli Ascoltatori, che soffrono mal volentieri il caldo a lungo, rinchiusi in un Teatro. Il necessario cambiamento, che si fa nelle Truppe Comiche di tempo in tempo, di personaggi, fa abbattere in Attori tanto sgraziati, e mal sofferti dagli Uditori, che si prende il partito di troncare, o di mutilare le parti di questi, perché sono mal sostenute, e per il sopraccennato riguardo di riparare alla noia. Scusando il Sacchi, a cui nell’atto di donare le opere mie, ho anche donato l’arbitrio di procurare l’utile suo con queste, in quel modo che meglio a lui torna, posso anche dire l’infallibile verità, che le opere mie ch’egli espone oggidì sulle scene, sono molto differenti da quelle ch’erano nella loro prima comparsa; né, ciò dicendo, ho la menoma intenzione di rimproverare un valente, ed onesto Comico, a cui ho l’obbligo d’un vigoroso sostegno in Teatro delle opere mie tutte e per il valore nell’arte della sua Truppa, e per l’accuratezza, e la splendidezza delle decorazioni. Tutte queste ragioni non mi avrebbero forse indotto a pubblicare in istampa ciò, ch’io scrissi per il Teatro per ispassare la mia Patria, per mio passatempo, e per soccorrere una Truppa comica morigerata, ed esperta”: Carlo Gozzi, Manifesto promozionale, in Id., Opere…, 1772, vol. I.
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serve. Dall’utilità, che hanno le Truppe Comiche Italiane, si può bilanciare qual’utile possano avere gli Scrittori teatrali Italiani, e si può facilmente rilevare, se i talenti della nostra nazione devano esporsi alle facili fischiate, e al pubblico disprezzo per una meschinissima somma di danaro combattuta nella miserabile messe de’ nostri Comici.
[…] La scarsezza della ricolta de’ nostri Comici in Italia, dove si pagano poco i divertimenti teatrali, li ha avvezzati a studiare di uniformarsi un poco troppo al pubblico genio. Si potrà forse per ciò condannare di avarizia i Comici Italiani, che sono a Parigi, dove si pagano considerabilmente gli spettacoli di Teatro; ma in Italia, dove si pagano dieci miserabili soldi all’uscio nella maggior parte delle Città, e dove la metà delle persone hanno privilegio d’entrare a macca, non sono da accusarsi delle povere genti, che per trarre il vitto si adattano a tentare per ogni via non perniciosa di solleticare il pubblico gusto.
L’incostanza del genio, l’ingordigia di novità, il contrasto delle opinioni, quella larva, figliuola dell’insidioso lusso, appellata buon gusto, i partiti divisi, le necessità de’ Comici, furono sempre la corruzione della materia teatrale. Ridotta questa al vero, e alla natura piacque, ma piacque fino al nascere di quella noia, ch’è naturale negli uomini, spezialmente nelle cose di voluttà, e fu necessario il sostituire de’ nuovi generi di mirabile, e di forte passione per riaccendere il concorso al Teatro. In tutte le nazioni ci saranno sempre de’ critici, de’ malcontenti, delle questioni, e de’ partiti sopra la materia teatrale, che correrà ne’ tempi, e sopra i Comici, che la esporranno. Senza cotesti critici, cotesti malcontenti, cotesti partiti, e coteste questioni, sarebbe scarso quel movimento popolare, che fa la fortuna de’ Teatri. La stitica coltura letteraria sarà ognora la più sventurata sulle scene, e trattandosi d’un passatempo voluttuoso, credo che i colti cervelli si riscaldino, e si sdegnino a torto nel veder prevalere le opere teatrali di stravaganze, e caricate alle piane, e naturali, quando reggano gli ammaestramenti, che possono dare i Teatri, il buon costume, e le massime fondamentali.
Sembra in questo secolo che alcuni ingegnosi Scrittori pensino di farsi immortali col rovesciare tutto ciò, che nelle massime fondamentali fu stabilito per il meglio ne’ trascorsi secoli da’ saggi ingegni, dalle osservazioni, e dalla esperienza. Se il nostro secolo fosse illuminato, com’eglino dicono, il secolo non avrebbe abbandonate le letture de’ libri antichi e lo studio, scorgerebbe, che nulla dicono cotesti Scrittori, che non sia stato detto, e rifiutato ne’ tempi, come pernicioso, e non averebbero, secondo il mio debil parere, fautori ciechi, che venerassero quelle ch’io appello imprudenze. Io non sono uomo che possa scemare la gloria loro, ma eglino non saranno giammai capaci di farmi uscire da alcune mie opinioni riguardo alle massime, eglino mi chiameranno pregiudicato, ed io li chiamerò pregiudicati. Il tempo solo può cribrare, e decidere, qual sia pregiudizio della umanità dagli effetti, che cagionano le massime, che si spargono.104