tale argomento scritta per piacere di chi la scrisse e pubblicata per chi vuol leggerla dove si lascia stampare anche delle cose che sono vere all’insegna del pregiudizio superato dalla ragione nel declinare del secolo illuminato, Bergamo, Locatelli, 1772, pp. 19-20.
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In merito al successo riscosso da parte della rappresentazione, in una lettera del 16 luglio 1771 Albergati Capacelli scrive: «Alli 7 del corrente recitammo, il Maometto [di Voltaire], che piacque. Alli 10 La Gabriella, che assolutamente rapì gli Ascoltatori, a segno che per gli applausi non potevamo in molti luoghi proseguire. Non si mancò, lodando l’Autore, di esaltare il sommo pregio della Traduzione, e di encomiare la Traduttrice. Non adulo; e forse avrà le stesse informazioni da alcuni Veneziani, che mi hanno onorato della loro presenza. Alli 14, abbiamo rappresentato Il Disertore, il quale ha fatto piangere gli Ascoltatori, noi attori ed il suggeritore ancora che non poteva proseguire. Tuttavolta la vera degradazione dell’incontro di questi drammi è questa: La
Gabriella, che la vince sopra tutto, ma di moltissimo; poscia Il Disertore; indi Il Maometto»: Roberto Trovato, Lettere di Francesco Albergati…, cit., p. 169. Grassetti miei. Tuttavia, secondo i suoi parametri di riferimento
nella valutazione della riuscita di una rappresentazione, a detta di Gozzi il dramma riscosse invece scarso successo: “La Gabriella non ebbe incontro nel Pubblico di Venezia. Cinque sere ch’ella si è recitata, e un picciolo partito che la sostenne, non decidono della sua buona fortuna. Il poco utile che un’opera teatrale porta a’ Comici, è il vero testimonio, che ella non fu accettata da un Pubblico che è numerosissimo”: Carlo Gozzi, “Prefazione del Traduttore”, in Id., Il Fajel. Tragedia del Sig. Baculard d’Arnaud, tradotta in versi sciolti dal Co:
Carlo Gozzi, Venezia, Colombani, 1772, p. 2.
81 Secondo Gozzi è proprio lo scarso merito della traduzione della Gabrielle, tanto scritta quanto rappresentata, ad indurlo a tradurre il Fajel: “Io non avrò giammai il ridicolo vapore di giudicarmi autore d’un’opera non mia, e quando sperassi di possedere abbastanza la facoltà di ben tradurre nella mia lingua l’opera d’un estero, avrei al più, libero il cuore dal rimorso di pregiudicarla. Veramente da tal rimorso non mi trovo libero affatto, e sapendo quanto difficile sia l’arte del ben tradurre, spezialmente in versi, auguro agli esteri che gli italiani, i quali si accingono alla servile fatica del tradurre le opere loro, abbiano un intero possesso de’ termini, delle frasi, delle eleganze, delle grazie, e delle bellezze della nostra lingua, e quella trepidazione medesima ch’io sento di diformare un originale. Ho detto che la Gabriella è una cattiva Tragedia. Tale ella m’è sembrata sulla lettura; tale mi è comparsa sul Teatro benché animata. Dubitava tuttavia d’ingannarmi; ma il danno più che l’utile ricavato da’ Comici di quella Tragedia, mi fece con fermezza discendere ad unirmi col mio Pubblico coraggiosamente”: Carlo Gozzi, “Prefazione…”, cit. Malgrado la doppia colpevolezza di cui Gozzi accusava i traduttori italiani dei drammi flebili quali corruttori del teatro nazionale, ossia da un lato aver contribuito al declino della Commedia dell’arte e dall’altro di aver introdotto il concetto di morale all’interno di un genere che dovrebbe procurare un divertimento passeggero, anch’egli provò più volte a cimentarsi nella traduzione: “Gozzi adatta due tragedie: La Veuve du Malabar di Lemierre (1770) e il Fajel di Baculard d’Arnaud (1772), oltre a realizzare adattamenti di altre opere che non saranno mai pubblicati (la Cena mal apparecchiata, l’Avvocato
raggiratore, il Francese a Londra, il Lacché gentiluomo) e che cita nel suo Manifesto dedicato a’ magnifici signori giornalisti, prefattori, romanzieri, pubblicatori di manifesti e fogli volantisti dell’Adria, Venezia,
Colombani, s. d., ma 1772”: Camilla M. Cederna, “Specchi pericolosi…”, cit., p. 224. Su Gozzi traduttore del teatro francese cfr. Lucie Comparini, “«Cela est trop commode pour être séant». Carlo Gozzi traducteur de tragédies françaises dans la polémique théâtrale de son temps”, in Carlo Gozzi entre dramaturgie..., cit., pp. 209-222.
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“Prefazione” al Fayel venne astutamente fatta pubblicare, presso il Colombani
82, qualche
giorno prima della sua stessa rappresentazione – che ebbe luogo il 30 gennaio del 1772 al
San Salvador – in modo tale da invogliare il pubblico ad accorrere a teatro sfruttando la
rivalità tra i due drammi, i due teatri, le due compagnie, nonché le due prime donne
(Teodora Ricci e Caterina Manzoni)
83. In essa Gozzi, ammettendo apertamente la rivalità tra
le due compagnie, dopo una prima presentazione dell’intreccio del dramma, si esibisce in
un’accorata esaltazione della Commedia dell’arte attaccando invece il dramma borghese
quale causa dell’assenza di validi drammaturghi e attori nazionali
84, difendendo quale finalità
della rappresentazione teatrale il divertimento, in opposizione al “lagrimevole”
85. La
82 Nello stesso anno Paolo Colombani aveva dato alle stampe anche la prima raccolta della Caminer:
Composizioni teatrali moderne tradotte da Elisabetta Caminer. La seconda edizione invece, così come la
successiva raccolta in sei tomi Nuova raccolta di composizioni teatrali tradotte da Elisabetta Caminer Turra (1774-1776), sarà stampata presso il Savioni. Inoltre il Colombani era già stato referente editoriale della Caminer per L’Eufemia nel 1769 e per Il Disertore nel 1771. Appare evidente come la polemica, tesa ad attirare l’attenzione del pubblico, animi l’intera vita culturale veneziana anche fuori dai palcoscenici.
83 Nella stessa prefazione tuttavia Gozzi sostiene in modo antifrastico il contrario di quanto si auspica, ribadendo lo scarso successo della rappresentazione messa in scena dalla Caminer: “Il Fajel dovrà necessariamente avere peggior fortuna della Gabriella. L’aspetto di novità, e l’orrore, che sbalordirono alquanto que’ pochi i quali concorsero alla Gabriella, non possono più favorire il Fajel, che ha per base l’argomento medesimo, tuttoché sia l’orditura sua differente”: Carlo Gozzi, “Prefazione…”, cit., p. 2. Grassetti miei.
84
“Ecco la ragione per cui in Italia dove regna una particolare inclinazione al Teatro, e dove i Teatri, e le Comiche truppe sono abbondanti, da tre secoli, sopra a tutti i Teatri, trionfa in fortuna quello della Commedia improvvisa dell’arte comica. Ella, essendo sempre la stessa, è sempre rinnovata nel suo aspetto, e ne’ suoi dialoghi da novelli bizzarri spiriti che la rappresentano e che meritamente si guadagnano la pubblica grazia, ingentilendo l’arte, i caratteri e i sali, con proporzione a’ secoli dirozzati. Io non ho mai veduti i Comici dell’Italia, che per loro infallibile sciagura hanno abbandonato l’esercizio della Commedia improvvisa dell’arte (particolarità apprezzabile della sola loro nazione) in peggior cimento d’oggidì. Gli vediamo ridotti ormai (dopo la decadenza del Signor Goldoni, che gli sostenne, per disgrazia loro, con qualche merito alquanto tempo) mal consigliati, e peggio soccorsi, ad appoggiare tutta la sorte loro a pochi, e più brutti mostri romanzeschi teatrali che partorisca la Francia, e che si rubano, e si contendono tra di loro, per qualche caso avventurato che videro di concorso accidentale, cagionato dalla scarsezza di produzioni degl’italiani, da un Pubblico in traccia di divertimenti, e bramoso di produzioni novelle. Anche una tal novità è moribonda, ed io compiango l’Italia ne’ suoi Comici, e ne’ suoi Poeti teatrali, i primi ingannati dall’errore, i secondi immersi in una vergognosa indolenza, e fatti schiavi d’una vilissima soggezione degl’esteri scrittori a segno di essersi ridotti a confinare i talenti loro unicamente a razzolare come galline, a fiutare come brachetti, e a tradurre, come sanno, quelle opere de’ francesi che al loro odorato sembrano opportune a sostenere le comiche Truppe dell’Italia, ed a confettare il gusto d’un Uditorio italiano. Ciò dicendo, non sono né ardito né indiscreto a segno di pretendere che l’Italia non deva godere, da buone penne ben trasportate nel suo idioma, e ne’ suoi Teatri, il Gustavo Wasa di Pirone, la Zaira di Voltere, o alcune altre opere de’ francesi, degne di ammirazione; intendo soltanto di animare gli ingegni della nostra Italia a’ parti che sieno italiani, che onorino la loro nazione, e di aprire gli occhi a’ Comici dell’Italia sul loro mestiere”: Ivi. Grassetti miei.
85 “Essendo permessi da’ prudenti Governi i Teatri a fine di divertire i popoli con delle facezie innocenti e de’ specchi di buona morale, se da tre secoli la Commedia improvvisa italiana ben esercitata, sarà un divertimento concesso e adottato dalla nostra nazione, se il Signor Cicognini con altri nel secolo trascorso, se li Signori Goldoni e Chiari in questo secolo, con un diluvio di composizioni, quali si sieno, non poterono dissuadere l’Italia da un tale divertimento, potrò dire francamente a coloro che per fanatismo, o per una vile mercede si sono