3. L’interpretazione telefonica
3.2 La conversazione telefonica
3.2.1 Cenni di analisi conversazionale
L‘analisi conversazionale (AC) è lo studio della conversazione orale tra due interlocutori; questo tipo di studio ha come obiettivo quello di definire ed illustrare i tratti ricorrenti e routinari che avvengono quando due parlanti interagiscono tra di loro, oltre allo studio dei motivi che soggiacciono a suddetti tratti e, di conseguenza, delle motivazioni che portano gli interlocutori ad utilizzare alcuni meccanismi piuttosto che altri. L‘analisi conversazionale si occupa di ogni tipo di conversazione e di ogni contesto in cui essa avvenga, senza alcuna distinzione: pertanto, all‘interno delle conversazioni oggetto di questa
analisi troviamo esempi che appartengono sia a contesti informali, come ad esempio le conversazioni tra due familiari o tra due amici, sia a contesti più formali o anche istituzionali, come, ad esempio, le conversazioni che avvengono tra un medico e un paziente, o tra un cittadino e un funzionario pubblico. Gli studi di Schegloff e Sacks (1973, 1974) rappresentano la base degli studi relativi all‘analisi conversazionale, la quale si propone di studiare ciò che la maggior parte degli studiosi definisce everyday talk (Gavioli 1999).
Il presupposto da cui parte lo studio dell‘analisi conversazionale è il seguente:
[...] Il parlato quotidiano avviene in forma ―ordinata‖ [...], cioè, si parla uno alla volta, con relativamente poche pause e sovrapposizioni. Tale ordine presuppone un‘organizzazione basata su ―meccanismi‖ che vengono messi in atto di volta in volta dai parlanti nel corso della conversazione. In altre parole, i partecipanti a una conversazione ―si mettono d‘accordo‖ su chi parla e in quale punto.
(Gavioli 1999: 43)
Sacks et al. (1974) definiscono questi meccanismi ―turni conversazionali‖: essi compongono, dunque, lo schema che regola le conversazioni tra due parlanti. Per turno si intende ogni intervento considerato completo dai partecipanti ad una conversazione; ogni turno ha, pertanto, un suo inizio e una fine e può precedere la produzione di un enunciato di un altro interlocutore o la fine della conversazione. Ogni turno, inoltre, è formato dalle cosiddette unità costitutive di turno (turn constructional unit) che possono corrispondere, ad esempio, ad unità lessicali o intonative. Le unità costitutive di turno ―vengono negoziate e gestite dai parlanti nel corso della conversazione‖ (Gavioli 1999: 45); inoltre, conclusasi una unità costitutiva si crea un punto di rilevanza transizionale, ossia un momento in cui i partecipanti scelgono chi continuerà a parlare.
E‘ possibile affrontare lo studio e l‘analisi dei meccanismi di gestione ed alternanza dei turni perché sono ―generalizzabili e rendono conto di strutture ricorrenti‖ (Schiffrin in Gavioli 1999). Sacks et al. (ib.: 699), nel loro studio di analisi conversazionale, partono dal seguente presupposto:
have made increasingly plain. It has become obvious that, overwhelmingly, one party talks at a time, though speakers change, and though the size of turns and ordering of turns vary; that transitions are finely coordinated; that techniques are used for allocating turns, whose characterization would be part of any model for describing some turn-taking materials; and that there are techniques for the construction of utterances relevant to their turn status, which bear on the coordination of transfer and on the allocation of speakership.
Gli autori sostengono come la conversazione tra due o più partecipanti venga regolata attraverso dei turni che si alternanto nella maggior parte dei casi in modo ordinato durante lo svolgersi dell‘interazione. Sacks et al (in Gavioli 1999) descrivono i tre possibili modi in cui i parlanti negoziano la fine del turno e stabiliscono l‘inizio del turno successivo, oltre alla scelta dell‘interlocutore che prenderà la parola.
In un primo caso, il parlante può selezionare esplicitamente, alla fine del proprio turno, il parlante successivo; questo avviene, ad esempio, quando durante una conversazione viene interpellato direttamente per nome uno dei parlanti, o quando la conversazione avviene soltanto tra due interlocutori e, di conseguenza, ad una domanda o richiesta di un parlante viene chiamato in causa, inevitabilmente, l‘altro parlante.
In secondo luogo, uno dei parlanti può decidere di prendere il turno di parola autoselezionandosi: questo avviene, ad esempio, quando in un gruppo di persone che stanno conversando uno dei parlanti è convinto di sapere la risposta alla domanda fatta da un altro partecipante ed interviene. A questo proposito, Sacks et al. (ib.) notano che, quando si verifica tale fenomeno, si producono spesso anche sovrapposizioni di turni o inizi di turno simultanei da parte di due partecipanti alla conversazione.
Il terzo caso prevede che il parlante non selezioni esplicitamente nessun altro per continuare a parlare, e che nessun interlocutore si autoselezioni per proseguire il turno: di conseguenza, il parlante che ha appena concluso il proprio turno conversazionale può decidere di continuare a parlare (Gavioli 1999).
Ai fini del presente lavoro, è interessante sottolineare la considerazione di Gavioli (ib.: 49) rispetto all‘alternanza dei turni conversazionali:
parlanti si alternano; [...] si nota che i meccanisimi per l‘alternanza dei turni sono identificabili non solo osservando che i parlanti parlano ricorrentemente uno dopo l‘altro senza di norma produrre pause o sovrapposizioni, ma anche dal fatto che quando le pause e le sovrapposizioni si verificano, si verificano in modo tale da confermare il meccanismo di base.
Secondo Gavioli, dunque, le pause e le sovrapposizioni non fanno parte, solitamente, delle interazioni conversazionali tra due o più parlanti. Eppure, successivamente si osserverà che tale considerazione non può essere applicata in toto alle conversazioni che si producono in via telefonica (cfr. capitolo 5).
Prima di soffermarsi sui tratti tipici della conversazione telefonica, occorre fare una precisazione su due concetti che riguardano l‘interazione dialogica in generale, e che spesso ricorrono anche nelle interazioni via telefono: le coppie adiacenti e la preferenza.
Per coppie adiacenti si intende ―coppie di turni che si trovano ricorrentemente abbinati‖ e che ―sono legate da un rapporto di cosiddetta ‗rilevanza condizionale‘, in quanto la prima parte della coppia rende rilevante la seconda parte‖ (Gavioli 1999).
Un‘altra definizione di coppia adiacente (adjacency pairs) viene fornita da Schegloff e Sacks (1973: 74):
[...] Adjacency pairs consist of sequences which properly have the following features: (1) two utterance length, (2) adjacent positioning of component utterances, (3) different speakers producing each utterance.
Le coppie adiacenti, dunque, sono due turni conversazionali espressi da due parlanti diversi che, solitamente, compaiono insieme; infatti, la comparsa della prima parte della coppia richiede sempre la comparsa della seconda parte. Rientrano in questa definizione, ad esempio, i saluti, i turni di domanda e risposta, o altri turni come: scuse e accettazione, offerta e accettazione, offerta e rifiuto. La caratteristica principale delle coppie adiacenti consiste nel fatto che, se è presente la prima parte deve per forza essere presente anche la seconda, perché conferisce rilevanza alla prima, la quale, se usata da sola, comporterebbe un‘incompletezza nel discorso. Nel caso in cui la seconda parte non ci fosse, inoltre, tale assenza non passerebbe inosservata nella conversazione: anzi, tale assenza viene solitamente giustificata o, in alcuni
casi, compare successivamente nella comunicazione (Gavioli 1999).
In aggiunta, le coppie adiacenti rispettano sempre il medesimo ordine: prima deve essere pronunciata la prima parte (nel caso di domanda e risposta, prima va pronunciata la domanda), e solo in seguito va pronunciata la seconda parte (o, seguendo l‘esempio, la risposta dell‘interlocutore). La scelta relativa al tipo di seconda parte da utilizzare è strettamente legata al tipo di coppia adiacente utilizzato e che viene espresso nella prima parte; la pronuncia della seconda parte della coppia adiacente, dunque, ―requires the recognizability of first pair status‖ (ib.).
La regola generale che sottosta all‘utilizzo di copppie adiacenti, dunque, può essere riassunta nel seguente modo: dopo aver pronunciato la prima parte di una coppia adiacente, occorre che il parlante si fermi ed attenda che l‘altro interlocutore non solo riconosca lo status di prima parte di una coppia adiacente nell‘enunciato appena espresso, ma che produca una seconda parte adatta e conforme alla coppia adiacente utilizzata. Pertanto, nell‘esempio di una domanda posta all‘interlocutore, ci si aspetta che il parlante riconosca il fatto che gli è stata posta una domanda, colleghi la prima parte come appartenente alla coppia adiacente domanda-risposta e formuli, di conseguenza, una risposta adeguata alla domanda che gli è stata posta.
Strettamente interconnesso al fenomeno delle coppie adiacenti è il concetto di preferenza. Le coppie adiacenti, infatti, come è stato osservato, si compongono di due parti che devono essere entrambi presenti nella conversazione, affinché la comunicazione risulti efficace e non si verifichi un‘interruzione o un‘incomprensione nel dialogo. La seconda parte può essere intesa come ―preferita‖ o ―dispreferita‖, a seconda di ciò che viene detto nel turno precedente. Si prenda a titolo d‘esempio il caso in cui un gruppo di amici è riunito a tavola; ad un certo punto, un parlante effettua una considerazione positiva sul piatto che sta mangiando. Nel caso in cui il parlante che prende il turno dopo di lui assecondi la considerazione fatta, la seconda parte della coppia adiacente sarà considerata preferita; nel caso in cui, al contrario, il parlante esprima un disaccordo verso l‘affermazione effettuata, tale seconda parte sarà considerata dispreferita.
Occorre prestare attenzione, in quanto, come sottolinea Gavioli (1999: 55): ―[...] Lo status di ‗preferenza‘ non costituisce una caratteristica permanente di un certo tipo di azione, ma è in stretta relazione con ciò che viene detto nel turno precedente‖. Si consideri, a titolo d‘esempio, l‘accordo espresso da parte di un interlocutore rispetto ad una prima parte
pronunciata da un altro parlante. Nella maggior parte dei casi, l‘essere d‘accordo con una considerazione effettuata precedentemente rappresenta una seconda parte preferita (es. 1); al contrario, nei casi in cui l‘accordo venga espresso in seguito ad una lode fatta dall‘interlocutore, rispetto ad esempio alla simpatia dell‘altro interlocutore, tale seconda parte sarà considerata dispreferita (es. 2).
Prendiamo in considerazione i seguenti due esempi:
(esempio 1)
A: Questo piatto di pasta è davvero buono.
B: Sì, hai ragione. Chi ha cucinato è stato bravissimo.
(esempio 2)
A: Mamma mia, mi fai troppo ridere, ma come fai a fare queste battute? B: Si, effettivamente sono proprio bravo, lo so!
In entrambi i casi, l‘enunciato di B esprime un accordo con la prima parte della coppia adiacente espressa da A. Nel primo caso, l‘accordo rappresenta una parte preferita; nel secondo caso, al contrario, l‘espressione di accordo di B verso la frase appena pronunciata da A rappresenta una dispreferita. Jefferson (in Gavioli 1999: 56) fornisce altri esempi a questo proposito:
Una risata costituisce una seconda parte preferita se segue una battuta di spirito o una barzelletta, una seconda parte dispreferita se segue il racconto di un incidente o di un problema.
Il concetto di preferenza, dunque, non dipende dalla volontà o dai desideri dei parlanti, quanto piuttosto da quello che la prima parte della coppia adiacente vorrebbe che ci fosse a seguire. Inoltre, è stato notato (Pomerantz in Gavioli 1999) che solitamente il concetto di ―dispreferita‖ viene accompagnato da pause ed esitazioni, come se si dovesse giustificare l‘uso di un‘espressione dispreferita. Pause, esitazioni, scuse, giustificazioni: tali atteggiamenti da parte del parlante formano ciò che viene definito ―formato dispreferito del turno‖, attraverso il quale il parlante tenta di porre rimedio alla parte dispreferita da lui pronunciata;
molto spesso, il formato dispreferito precede giustificazionile pause, le esitazioni, le scuse servirebbero dunque al parlante per porre rimedio alla parte dispreferita da lui espressa ed, eventualmente, precederebbero l‘uso di giustificazioni o spiegazioni per il suo atteggiamento assunto.
In conclusione, Gavioli (ib.: 59) afferma:
[...] E‘ il meccanismo del rimedio che segnala la dispreferenza di una certa azione, poiché l‘azione dispreferita è quella che viene sistematicamente rimediata e, per contro, l‘azione preferita è quella che viene sistematicamente ―non rimediata‖. [...] Data una prima parte di una coppia adiacente seguita da una seconda parte dispreferita abbiamo una sequenza di rimedio, se invece è seguita da una seconda parte preferita la sequenza è potenzialmente conclusa.
Per concludere, si può affermare, dunque, che la conversazione tra due interlocutori si svolge seguendo dei meccanismi di alternanza di turni conversazionali; tali meccanismi sono generalizzabili e ricorrono in molti contesti comunicativi dove i parlanti ne usufruiscono per negoziare il loro status e il loro ruolo all‘interno della comunicazione.
E‘ interessante soffermarsi sul modo in cui questi meccanismi funzionano nel caso di conversazioni telefoniche e, a maggior ragione, nelle conversazioni telefoniche mediate da interprete. A tale proposito, occorre ricordare che ―i meccanismi conversazionali sono rivelatori di dinamiche sociali e possono essere utilizzati per descrivere l‘interazione in diverse situazioni, istituzionali o informali, intra- o inter-culturali e così via‖ (Gavioli 1999: 63).
3.2.2 Le aperture
Dopo avere identificato alcuni dei tratti tipici delle conversazioni tra due interlocutori attraverso la disamina di concetti appartenenti all‘analisi conversazionale si propone, nelle prossime due sezioni, l‘analisi di una particolare tipologia di conversazione tra parlanti. Questa tipologia è stata oggetto di molti studi e ricerche in quanto, oltre a presentare e confermare le caratteristiche messe in luce dagli studi di analisi conversazionale, possiede dei tratti propri di cui occorre essere a conoscenza, soprattutto nel nostro caso, poiché nei
prossimi due capitoli verrà proposta la discussione di alcune trascrizioni di conversazioni appartenenti alla tipologia presa in esame in questo capitolo: la conversazione telefonica.
La conversazione telefonica si produce quando due parlanti comunicano attraverso l‘uso di un telefono fisso o mobile. Questo tipo di interazione dialogica ha da sempre interessato vari studiosi, i quali hanno principalmente concentrato le loro ricerche su due momenti specifici dell‘interazione: l‘inizio e la fine, ovvero le aperture e le chiusure delle chiamate/conversazioni. Infatti, tali momenti presentano una struttura che si ripete spesso e che è, quindi, ben identificabile in ogni telefonata. Inoltre, nella fase di apertura i parlanti sono chiamati a definire i ruoli che assumeranno durante la conversazione, oltre a stabilire il
topic o argomento principale della conversazione; nella fase di chiusura, invece, i parlanti
devono ―tirare le somme‖ della conversazione appena avvenuta e devono ―concordare‖ il termine della stessa attraverso meccanismi specifici. Per questi motivi, uno studio approfondito di questi due momenti dell‘interazione è apparso opportuno.
In questa prima sezione si propone, pertanto, l‘analisi delle aperture e, nello specifico, verrà preso in considerazione lo studio effettuato da Varcasia (2006), che ha come oggetto un corpus di conversazioni telefoniche reali avvenute in contesti istituzionali, come ad esempio chiamate ad uffici o ad esercizi commerciali effettuate da utenti per ottenere un determinato tipo di servizio.
Partiamo dalla definizione di apertura in una conversazione telefonica:
L‘apertura è un evento nel quale il tipo di conversazione che viene aperta può essere presentata, accettata, rifiutata, modificata, in una sola parola costruita fin dal primo momento dai partecipanti.
(Schegloff in Varcasia 2006: 1272)
O ancora:
L‘apertura di una telefonata è una routine conversazionale costituita di sequenze di due o tre turni in cui i partecipanti compiono delle mosse caratteristiche e condivise universalmente.
(Varcasia 2006: 1275)
Lo studio preso in considerazione in questa sede svolto da Varcasia (2006) utilizza un corpus creato presso la Facoltà di Lingue di Sassari che comprende conversazioni telefoniche di vario tipo raccolte tra il 2001 e il 2005; le lingue utilizzate nelle interazioni sono l‘inglese, l‘italiano, lo spagnolo, il francese e il tedesco. Le chiamate non prevedevano l‘utilizzo di interpreti, in quanto i due interlocutori condividevano sempre la stessa lingua: pertanto, le considerazioni che verranno effettuate si rivolgono esclusivamente ad un contesto monolingue. L‘obiettivo dello studio condotto da Varcasia è quello di analizzare e definire i tratti ricorrenti delle aperture nelle conversazioni telefoniche, al fine di sistematizzare le pratiche e le mosse maggiormente usate dai parlanti.
Varcasia (2006) riporta le quattro mosse identificate da Schegloff per definire le aperture delle conversazioni telefoniche, in quanto hanno rappresentato il punto di partenza per l‘analisi delle conversazioni presenti nel corpus. Schegloff (in Varcasia, ib.) identifica quattro momenti o ―mosse‖ effettuate dai parlanti all‘inizio di una conversazione telefonica. In primo luogo, in seguito all‘apertura del canale di comunicazione attraverso lo squillo del telefono, il ricevente risponde ed utilizza un segnale fàtico, come ad esempio un ―Pronto‖ nella lingua italiana. Questa fase è, pertanto, costituita dalla coppia adiacente chiamata (rappresentata dallo squillo del telefono) e risposta (la risposta del ricevente che dichiara la propria presenza e la propria disponibilità a parlare). Successivamente, i partecipanti si presentano e riconoscono vicendevolmente i loro ruoli attraverso una breve presentazione. In seguito, i partecipanti si scambiano i saluti; infine, i parlanti producono dei brevi turni conversazionali che costituiscono la cosiddetta fase degli ―interessamenti‖, ovvero la fase in cui gli interlocutori si chiedono, spesso usando frasi di routine ed ordinarie, ―come stai‖, ―come va‖, ―ti disturbo‖.
Altri studiosi, tra cui Bercelli e Pallotti (in Varcasia, ib.) hanno adattato le quattro mosse identificate da Schegloff a seconda della diversità dei contesti in cui esse si producono; in particolare, Bercelli e Pallotti (ib.) osservano che ci sono differenze rispetto alla ripetizione tipica e schematica delle mosse se si considera ciò che avviene in un contesto informale (ad esempio, in una chiacchierata al telefono tra due amici o tra due familiari) e ciò che avviene in un contesto formale o istituzionale (ad esempio, nel dialogo tra medico e paziente).
Il contesto istituzionale è, indubbiamente, il contesto che risulta più interessante ai fini del presente lavoro, pertanto ci soffermeremo su di esso. In tale contesto, secondo Bercelli e Pallotti (ib.) le mosse tipiche delle aperture delle conversazioni sono cinque, e non quattro. Si
verificano, come menzionato in precedenza, la fase di apertura del canale, l‘identificazione reciproca degli interlocutori, la fase dei saluti. La quarta fase, ovvero la fase degli interessamenti, scompare in questo contesto e viene sostituita dall‘offerta di aiuto da parte di uno dei due interlocutori, solitamente da parte del ricevente. Ad esempio, se un utente chiama un‘agenzia di viaggi, l‘operatore, dopo essersi identificato e dopo aver scambiato i saluti utilizzerà frasi del tipo ―in che cosa posso esserle utile?‖, proponendo in questo modo un servizio di cui l‘utente potrà usufruire. Nel contesto istituzionale non si verifica soltanto la sostituzione della quarta mossa: alle mosse analizzate finora, infatti, se ne aggiunge una quinta, in cui gli interlocutori entrano nel merito della conversazione: uno dei due interlocutori, solitamente, spiega il motivo della chiamata e, di conseguenza, quale sarà l‘argomento principale (topic) della conversazione.
Lo studio svolto da Varcasia prende come punto di riferimento le cinque mosse appena descritte, in quanto la maggior parte delle chiamate considerate nello studio erano state effettuate nel contesto istituzionale. Lo studio si è concentrato, in particolare, sulle aperture delle conversazioni e, nello specifico, di due fenomeni che solitamente avvengono in questa fase: le conseguenze della mancata identificazione da parte di uno dei due interlocutori e la fase dei saluti.
Partiamo dalle osservazioni tratte dall‘analisi di ciò che succede nel caso in cui una delle cinque mosse non venga rispettata da uno degli interlocutori: l‘identificazione. Lo studio ha preso come oggetto le reazioni degli interlocutori che si trovano alle prese con tale mancanza di identificazione del parlante. Le alternative riscontrate sono sostanzialmente due: in alcuni casi, l‘interlocutore richiede l‘identificazione del parlante sollecitandolo a fornirgliela, mentre in altri casi l‘interlocutore decide di proseguire la conversazione, tralasciando il fatto che tale mossa non sia stata effettuata dal parlante.
Dall‘analisi delle conseguenze dei due atteggiamenti emergono due necessarie considerazioni. In primis, la mancata identificazione del parlante non si verifica in modo univoco nel confronto tra le lingue analizzate. Infatti, le lingue in cui maggiormente si è verificata una mancata identificazione da parte del parlante sono state, nell‘ordine, l‘italiano, lo spagnolo e il francese; al contrario, le lingue in cui la mancata identificazione è stato un fenomeno piuttosto raro sono state l‘inglese e il tedesco.
Il secondo risultato che emerge dai dati riguarda, invece, la diversità delle reazioni degli interlocutori in seguito alla mancata identificazione dell‘altro parlante. Anche in questo
caso si registrano differenze a seconda della lingua considerata. Per quanto riguarda la lingua italiana e la lingua francese, si è riscontrata una maggiore propensione, da parte del parlante, a