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2. Gli interpreti professionisti e l’interpretazione a distanza

2.1 L’interpretazione e i concetti di presence, remoteness e alienation

2.1.3 Il ruolo della vista

Dal momento che nelle ultime considerazioni fatte è stato menzionato più volte, si propone di seguito una breve analisi del concetto di ―vista‖, una funzione importante per l‘interprete in qualsiasi modalità venga svolto il lavoro.

Come funziona la vista umana? La risposta a questa domanda sembra scontata, ma in realtà non lo è. Per gli interpreti di conferenza, l‘aspetto visivo rappresenta una componente fondamentale del lavoro. L‘interprete, infatti, è un essere umano dotato di un cervello e che effettua delle scelte razionali: non è una macchina che traduce automaticamente parole. Durante lo svolgimento del lavoro, l‘interprete non solo controlla e coordina le varie componenti che gli permettono di comprendere il testo di partenza e di produrre il testo di

arrivo, ma controlla in maniera del tutto volontaria anche il senso della vista. L‘interprete, infatti, durante il lavoro decide di guardare nella sala in cui si svolge lo scambio comunicativo ciò che più gli è funzionale ai fini di una migliore comprensione del testo di partenza e quindi di una produzione migliore del testo di arrivo.

Da ciò ne consegue quanto sia necessario per l‘interprete l‘essere facilitato in questo compito anche nell‘interpretazione a distanza: l‘interprete dovrebbe essere in grado di esercitare la propria capacità visiva proprio come se si trovasse nel mondo reale, e non di fronte ad uno schermo, in modo che possa scegliere di guardare gli elementi a lui più congeniali. Assicurando all‘interprete la possibilità di ―scegliere che cosa guardare‖, dunque, si agevolerebbe anche la qualità della sua prestazione.

Tentiamo ora di rispondere alla domanda che è stata posta all‘inizio di questa sezione. Come funziona la vista umana? La vista ha a disposizione un campo visivo in cui è compresa anche la parte di vista periferica, ovvero la parte esterna del campo visivo; ogni qualvolta si osserva qualcosa su schermi televisivi o su quelli di un computer, la vista periferica viene estremamente limitata (Mouzourakis 2003). E‘ come se venisse improvvisamente a mancare la sensazione di profondità dello spazio o dell‘essere circondati da ciò che si osserva sullo schermo, proprio come quando si va al cinema o si guarda un video sul proprio computer.

L‘interpretazione a distanza, dunque, riduce una componente fondamentale della vista umana. Inoltre, Mouzourakis (ib.) spiega che nella modalità a distanza, che comporta l‘uso di schermi, si elimina completamente un‘altra componente integrante della vista umana, ovvero l‘effetto di parallasse20

:

In RI environments another component of depth perception, parallax, the continuous shift in point of view that we experience as we move our head or even our full body relative to an object […] is also missing.

Questi due aspetti, dunque, vengono a mancare nell‘interpretazione a distanza. Ciò sfavorisce questa modalità e, in particolare, compromette il concetto di presenza menzionato precedentemente. Come è stato osservato, infatti, per assicurare una buona prestazione il grado di presenza dell‘interprete dev‘essere il più alto possibile; purtroppo, la mancanza di due componenti così importanti per la vista umana non gioca a favore del livello di presenza

sperimentato dall‘interprete, che inevitabilmente si sentirà parte di un contesto fittizio, virtuale, e non di un contesto reale.

In aggiunta, è interessante notare un altro aspetto del senso della vista. Generalmente, si concepisce la vista come un senso ―passivo‖: l‘atto di ―vedere‖, infatti, viene considerato un processo in cui l‘intelligenza umana non svolge nessun ruolo e in cui l‘occhio registra semplicemente ciò che ha davanti, lasciando poi al cervello il compito di fornire un senso a quelle immagini. Ciononostante, recenti ricerche in ambito medico hanno smentito questa idea, offrendo un nuovo modello di vista, ―fragmented and selective, emphasizing some aspects of reality at the expense of the rest‖ (Mouzourakis 2003: 3). La vista umana, dunque, è una vista attiva e seleziona ciò che in quel momento l‘uomo ha bisogno di vedere. Infatti, Mouzourakis (2006: 57) afferma: ―human vision is both active and selective and how we look at the scene depends on the problem we are trying to solve‖.

L‘atto di ―vedere‖ è dunque un processo attivo e non passivo:

Human vision does not work like a video camera, passively recording the details of the world around us; rather, it searches for those essential features which allow it to answer specific questions and deal with urgent problems, especially when survival is at stake.

(Mouzourakis 2003: 4)

Da questa considerazione, si comprendono appieno le difficoltà dell‘interprete che lavora a distanza. Diversamente da un‘interpretazione presenziale, l‘interprete a distanza non gode dell‘uso di una vista selettiva e attiva. Infatti, deve sottostare alle immagini offerte dallo schermo e non può usufruire di altri dettagli, parti di realtà o elementi a sua scelta per ricostruire adeguatamente il significato del testo di arrivo (Moser-Mercer 2005).

Purtroppo, le tecnologie di cui attualmente si dispone per supportare un servizio di interpretazione a distanza vengono selezionate ―not on the basis of their adequacy for active information searches, but rather on their entertainment value, i.e. whether they can deliver images that ‗look good‘‖ (Mouzourakis 2003).

In conclusione, si può affermare che la vista rappresenta una componente importante per gli interpreti. Ciononostante, è anche vero che usufruire della vista non è imprescindibile per svolgere un incarico di interpretazione: si pensi, ad esempio, agli interpreti non vedenti.

Pur non avendo la possibilità di vedere ciò che sta accadendo nel contesto comunicativo in cui lavorano, gli interpreti non vedenti dimostrano di poter svolgere adeguatamente il compito richiesto: tale disabilità, nella maggior parte dei casi, non è di impedimento ad una buona prestazione. Come afferma Kelly (2008: 84):

Many interpreters who are visually impaired or legally blind have become outstanding interpreters with superior abilities. To date, no evidence has been provided to support the idea that a blind interpreter‘s lack of ability to process visual cues affects his or her ability to render a high quality interpretation. As with so many other jobs, blind people often rely more heavily on other senses to obtain information that allows them to perform at the same level as sighted people.

Pertanto, anche gli interpreti non vedenti possono fornire una buona qualità nel loro servizio: sono abituati, infatti, ad usare maggiormente la capacità di ascolto selettivo, e sviluppano abilità tali che permettono loro di svolgere il lavoro parimenti agli interpreti vedenti. Lo stesso, secondo Kelly (ib.), è ciò che viene richiesto agli interpreti che lavorano a distanza nella modalità telefonica, i quali, proprio come se fossero non vedenti, devono sviluppare maggiormente gli altri sensi per compensare alla mancanza della vista:

Telephone interpreters are essentially working in the absence of sight. Because they cannot process visual cues, professional telephone interpreters are specially trained to work in the absence of such cues. Telephone interpreters rely heavily on auditory information to pick up on many types of non-verbal cues and are trained specifically in listening skills and various techniques that are not covered in great depth by most training programs for on-site interpreters.

Tornando all‘aspetto della vista nell‘interpretazione in videoconferenza, la soluzione offerta da Mouzourakis (2006) è quella di utilizzare degli schermi 3D per l‘interpretazione a distanza, in quanto rappresenterebbero la modalità migliore per consentire agli interpreti un‘immersione verosimile nell‘ambiente virtuale. Nel caso in cui si utilizzassero schermi 3D, gli interpreti dovrebbero indossare gli occhiali adatti ad usufruire della visione; uno svantaggio, in questo caso, sarebbe l‘affaticamento della vista, in quanto dopo un periodo di

tempo prolungato, l‘uso degli occhialini 3D provoca mal di testa e, in alcuni soggetti, senso di nausea. Oltre a ciò, gli interpreti non potrebbero nemmeno consultare dizionari, glossari o siti internet, in quanto gli occhialini 3D sarebbero un notevole impedimento.

Un‘altra possibile soluzione è quella di fornire dei ―menu‖ sugli schermi (possibilmente touch) con diverse inquadrature disponibili, grazie ai quali l‘interprete possa scegliere l‘angolazione o il particolare all‘interno della stanza della conferenza su cui vuole soffermare il proprio sguardo (Mouzourakis 2006). Eppure, anche questa soluzione presenta un limite: la scelta ―manuale‖ del particolare o dell‘angolazione preferita da osservare richiederebbe agli interpreti troppi sforzi aggiuntivi che andrebbero sicuramente a ridurre gli sforzi necessari per altre componenti del processo di simultanea. Infatti, con questa soluzione verrebbe sostituita, tramite l‘utilizzo di un computer, un‘azione che l‘occhio umano fa per natura automaticamente ed inconsciamente, senza bisogno di sforzi aggiuntivi.

2. 2 Implicazioni psicologiche e fisiologiche per gli interpreti a distanza

Dopo l‘analisi dei fattori che derivano dalla condizione di distanza nella nuova modalità di interpretazione, si propone di seguito la discussione dei risultati di due studi svolti rispettivamente da Moser-Mercer (2003) e da Roziner e Shlesinger (2010).

L‘obiettivo di entrambi gli studi è quello di identificare l‘impatto psicologico e fisiologico dell‘interpretazione a distanza sugli interpreti professionisti; è apparso interessante proporre un raffronto tra i due studi, in quanto i risultati raggiunti sono in netta contrapposizione tra loro. Prima di iniziare, occorre specificare che sia lo studio di Roziner e Shlesinger che lo studio di Moser-Mercer riguardano principalmente il contesto istituzionale: pertanto, non tutte le considerazioni fatte e i risultati raggiunti possono essere generalizzabili o applicati ad altri contesti in cui si utilizza l‘interpretazione a distanza.

Gli studi di Moser-Mercer e Roziner e Shlesinger prendono in considerazione aspetti fisiologici degli interpreti come stress, affaticamento, condizioni psicosomatiche, oltre alle caratteristiche principali dell‘ambiente di lavoro e la qualità delle interpretazioni nel contesto lavorativo a distanza.

Lo studio di Moser-Mercer parte dal seguente presupposto. Nonostante sia lecito riconoscere che l‘interpretazione come disciplina sia nata per soddisfare determinate esigenze, e che si sia poi evoluta nel corso degli anni cambiando anche le modalità di erogazione del

servizio, ma assicurandone di continuo un‘alta qualità, non si può analogamente affermare che un completo ripensamento del mondo del lavoro in seguito all‘introduzione delle nuove tecnologie equivalga necessariamente ad un miglioramento della prestazione del servizio. Nei contesti lavorativi attuali, infatti, vanno considerati molti fattori in gioco, diversamente dai cambiamenti, decisamente meno complessi, che la professione dell‘interpretazione ha subìto negli anni passati.

Per questo, secondo Moser-Mercer (2003), prima di ripensare completamente al modo di svolgere il lavoro di interpretazione, occorre studiare e definire i termini in cui il nuovo assetto lavorativo, cambiato dall‘introduzione delle nuove tecnologie, sostituirà le mansioni tradizionalmente svolte dall‘uomo, quali nuovi limiti porrà e quali opportunità in più sarà in grado di fornire. Questa considerazione può essere applicata a qualsiasi tipo di lavoro in cui, al giorno d‘oggi, si stia introducendo lentamente l‘uso delle nuove tecnologie che vanno a cambiare modalità di lavoro tradizionali o a soppiantare mansioni da sempre svolte da esseri umani. E‘ da queste basi che parte lo studio di Moser-Mercer, volto a definire i cambiamenti significativi del lavoro degli interpreti in seguito all‘introduzione dell‘interpretazione a distanza in modalità simultanea.

Lo studio di Roziner e Shlesinger (2010) condivide in parte l‘obiettivo dello studio di Moser-Mercer: studiare la fattibilità e le implicazioni dell‘uso dell‘interpretazione a distanza. Roziner e Shlesinger si concentrano sulle prestazioni degli interpreti nel contesto del Parlamento Europeo. Inoltre, lo spunto iniziale dello studio è fornito da una considerazione citata precedentemente: ―the concept of presence [...] could serve as the unifying metaphor for a more general approach to RI, embedding RI research within a wider discipline (the study of human performance in virtual environment)‖, (Mouzourakis 2006: 58).

Roziner e Shlesinger partono dal riconoscimento che l‘interpretazione a distanza in ambito istituzionale sia stata accolta con uno scetticismo generale da parte degli interpreti professionisti, sia dipendenti che freelance, dagli studiosi (gli esempi più indicativi in questo lavoro sono rappresentati da Moser-Mercer e Mouzourakis) ed in particolare dalle associazioni professionali (si ricorda l‘AIIC 2000). Eppure, è sempre più diffusa l‘accettazione della pratica di interpretazione a distanza e delle sue ragioni da parte degli interpreti professionisti e dei clienti stessi (in questo caso, le istituzioni internazionali); le stesse istituzioni, coscienti delle implicazioni che questo cambiamento comporta nella vita degli interpreti, e al fine di garantire dei servizi di interpretazione di ottima qualità, sembrano

voler assumersi il compito di trovare un modo ―to facilitate this major change in interpreter‘s working life, particularly as this concerns the many who work in the large international bodies‖ (Roziner e Shlesinger 2010: 218).

Da queste premesse sono stati avviati i due studi a quasi dieci anni di distanza l‘uno dall‘altro.