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2. Gli interpreti professionisti e l’interpretazione a distanza

2.1 L’interpretazione e i concetti di presence, remoteness e alienation

2.1.1 Il concetto di presenza (presence)

E‘ stato affermato che l‘interprete, nella modalità a distanza, non è più ―presente‖ nel luogo dello scambio comunicativo.

Il presupposto per definire adeguatamente il concetto di presenza è fornito da Moser- Mercer (2005: 727):

Research has convincingly demonstrated that comprehension and communication in a monolingual setting usually succeed when listeners integrate information from several sources in an optimal way.

In questa definizione, Moser-Mercer si riferisce a conversazioni monolingue, in cui l‘interlocutore, per poter comprendere adeguatamente i messaggi dello scambio comunicativo, deve integrare tutte le informazioni che i sensi di cui dispone riescono a recepire: principalmente, la vista, l‘udito, l‘olfatto e il tatto.

Si pensi ad una classica conversazione tra due interlocutori che si trovano in uno stesso ambiente: per comprendere adeguatamente il messaggio, i partecipanti hanno a disposizione non solo le parole scambiate, che riescono a sentire, ma usufruiscono anche di una chiara percezione dell‘ambiente in cui si trovano, di una buona visuale del volto dell‘interlocutore e del suo linguaggio non verbale, oltre ad eventuali contatti fisici durante la comunicazione. Questi aspetti, a prima vista insignificanti, sono in realtà parte integrante dell‘informazione e sono, dunque, fondamentali per la buona riuscita di uno scambio comunicativo. La validità di questa constatazione emerge se si pensa alle differenze che intercorrono tra una conversazione tra due persone in uno stesso ambiente e una conversazione tra due persone al telefono: se ci si sofferma un secondo a pensare alle esperienze quotidiane, è possibile rendersi conto di quanto una conversazione in cui si condivide lo stesso ambiente sia più scorrevole, chiara e ―reale‖.

La comunicazione tra interlocutori nello stesso ambiente facilita il contatto visivo tra i parlanti. Inoltre, consente ai partecipanti di recepire una serie di ―segnali‖: gesti, ovvero il modo in cui i parlanti utilizzano braccia e mani per sostenere o esplicitare quello che stanno dicendo; espressione facciale, che comprende i movimenti di occhi, sopracciglia, labbra e fronte del parlante; postura, ovvero la posizione che l‘interlocutore assume con la parte

superiore del proprio corpo mentre pronuncia un enunciato (Poyatos 2002; Moser-Mercer 2005).

L‘affermazione di Moser-Mercer può essere facilmente applicata anche a conversazioni dove la lingua parlata dai due partecipanti non sia la stessa: in questi casi, a maggior ragione saranno fondamentali tutte le fonti di informazione affinché la comprensione del messaggio avvenga con minori difficoltà possibili e in maniera completa. Per questo motivo, sono estremamente importanti non solo le parole e il contesto comunicativo, ma anche il linguaggio non verbale, i movimenti del corpo, l‘intonazione, eventuali gesti e la prosodia dell‘oratore.

Applicando queste considerazioni ai casi in cui è richiesta la presenza di un interprete ne deriva che, al fine di svolgere una prestazione adeguata, egli debba, per quanto possibile, avere sempre pieno accesso a queste componenti dello scambio comunicativo. Ciò non riguarda soltanto l‘interpretazione dialogica, ma anche l‘interpretazione di conferenza in modalità simultanea: si può, infatti, affermare che ―seeing a speaker‘s face makes the spoken message far easier to understand‖ (Sumby e Pollack, in Moser-Mercer 2005). La stessa opinione è condivisa dall‘Associazione Internazionale degli Interpreti di Conferenza AIIC (http://aiic.net/page/3590/).

Definire il concetto di partecipazione dell‘interprete allo scambio comunicativo, o ―presenza‖, può essere d‘aiuto per stabilire l‘importanza o meno per l‘interprete di trovarsi nel luogo dello scambio.

Il concetto di presenza può essere definito come ―the subjective experience of being in one place or environment, even when one is physically situated in another‖ (Witmer e Singer, in Moser-Mercer 2005). Questa definizione potrebbe risultare inconsueta rispetto a quello che normalmente ci si aspetterebbe. La definizione, infatti, oltre ad indicare l‘essere fisicamente presenti in un determinato ambiente, include, più in generale, il senso di partecipazione ad un evento, anche quando ci si trovi in un ambiente distante: questa sensazione sembra essere resa possibile dalle nuove tecnologie.

Si pensi, ad esempio, a quando si effettua una chiamata tramite Skype. Pur non essendo fisicamente presenti nello stesso luogo, gli interlocutori riescono a comunicare, ad interagire e a portare a termine una conversazione, proprio come se si trovassero nello stesso ambiente; questo non avviene, ad esempio, in una conversazione che si svolge via telefono, dove il ―muro‖ della distanza tra i due ambienti è insuperabile. Sembra, quindi, che le

possibilità offerte da strumenti che coniugano l‘uso di video e audio possano ridurre le connotazioni del concetto di distanza; anzi, sembra che riescano ad aggiungere connotazioni al concetto di presenza, in quanto cambia il modo in cui è stato concepito finora.

La domanda che sorge spontanea è, dunque, la seguente: in quale misura le nuove tecnologie riescono a garantire agli interpreti questa sensazione di presenza, di partecipazione all‘evento comunicativo e sono, di conseguenza, in grado di garantire la buona qualità del servizio di interpretazione?

In letteratura, si annoverano alcuni studi condotti con l‘obiettivo di definire se la modalità di interpretazione a distanza, attraverso l‘uso delle nuove tecnologie, abbia aumentato o diminuito per gli interpreti il concetto di presenza, e più nello specifico, di presenza nel nuovo ambiente di lavoro: l‘ambiente virtuale.

A questo proposito, si ricorda che il settore dell‘interpretazione non è l‘unico in cui, recentemente, si sono creati nuovi ambienti virtuali in cui viene svolto il lavoro. Esistono, infatti, molti altri lavori ―a distanza‖, per cui la tecnologia moderna ha giocato un ruolo fondamentale:

Fire fighters using remotely operated vehicles to handle dangerous situations such as fire in a nuclear reactor; surgeons operating with special miniature tools at the end of a cable equipped with equally miniscule video cameras [...]; remote control of robots engaged in deep sea and volcanic exploration as well as space exploration.

(Mouzourakis 2003: 3)

Torniamo al concetto di ―presenza‖ nell‘interpretazione dialogica e di conferenza. L‘ambiente virtuale che si crea condiziona il lavoro e la qualità delle rese degli interpreti: dagli studi effettuati, infatti, emerge che la qualità del lavoro degli interpreti dipende imprescindibilmente dalla sensazione di partecipazione all‘evento comunicativo (ib.).

Afferma, infatti, Mouzourakis (ib.):

Both task performance and the degree of physical and psychological comfort experienced by the human operator crucially depend on his/her sense of ‗being there‘, of presence, or the ‗perceptual illusion of nonmediation‘ within that virtual environment.

Dagli studi svolti finora e dai questionari rivolti ai partecipanti nel contesto istituzionale, si può notare che gli interpreti si lamentavano del fatto che non si sentissero partecipi, che non fossero sufficientemente presenti nell‘ambiente in cui si svolgeva la conferenza. La sensazione di distanza e separazione fisica si esplicitava poi in sintomi particolari, ad esempio in una ridotta capacità di concentrazione e in una maggiore quantità di errori nelle rese (ib.). La sensazione di presenza, dunque, non è soltanto un corollario, ma diventa uno dei parametri fondamentali per valutare l‘efficienza o meno del sistema diinterpretazione a distanza utilizzato.

Con ulteriori studi e ricerche si potrebbero persino definire e creare degli ambienti virtuali differenziati in base al grado di presenza che offrono agli interpreti. In questo modo, nella costruzione di nuovi impianti e cabine per l‘interpretazione a distanza, occorrerebbe tenere in considerazione non soltanto il costo dell‘impianto e il design tecnico della cabina, ma anche quanto le nuove cabine siano in grado di ridurre la sensazione di estraneità e allontanamento sperimentata dagli interpreti (Mouzourakis 2006).

Rispetto al tema della comunicazione non verbale, strettamente connessa al concetto di presenza, è utile ricordare l‘influenza che il feedback dell‘ascoltatore ha sulla comprensione del messaggio da parte dell‘interprete. Nel caso di una conferenza, l‘interprete deve essere sempre in grado di osservare i movimenti del pubblico: infatti, attraverso i feedback del pubblico, come ad esempio un cenno con la testa in seguito ad una parte complessa del discorso, l‘interprete è in grado di assicurarsi che il messaggio tradotto sia adeguatamente compreso. Il pubblico, a sua volta, tiene costantemente sotto controllo i gesti, la prosodia e i movimenti dell‘oratore sul palco per comprendere meglio il messaggio: in questo modo, il pubblico integra la componente uditiva che proviene dall‘interprete con la componente visiva dell‘oratore che è l‘originale produttore del messaggio (Moser-Mercer 2005). Tutti gli aspetti, dunque, anche i più insignificanti, possono essere indizi preziosi per completare adeguatamente la comprensione del messaggio.

Si pensi, inoltre, all‘importanza dei feedback degli interlocutori in una conversazione monolingue: grazie all‘uso del linguaggio non verbale, si è in grado di capire il livello di attenzione, noia, interesse o distrazione del proprio destinatario. Il feedback è, dunque, uno strumento fondamentale per gli interpreti, che permette loro di verificare che la resa, e di conseguenza i concetti espressi dall‘oratore, abbiano raggiunto il pubblico adeguatamente.

Analogamente, attraverso il controllo del feedback, gli interpreti verificano la corretta decodifica inferenziale del testo di partenza prima di produrre il testo di arrivo e di avere, in altre parole, tradotto correttamente il senso dell‘enunciato evitando controsensi o errori di significato. Moser-Mercer sostiene, a questo proposito, che con il proprio feedback il pubblico accetta la resa dell‘interprete e implicitamente coglie l‘intenzione comunicativa dell‘oratore. Moser-Mercer (ib.: 730) sottolinea in questo modo l‘importanza del feedback:

Feedback processes [...] are crucial to the fast-paced flow of simultaneous interpreting. They are largely responsible for successful semantic anticipation in ongoing discourse without which both the consecutive and simultaneous interpreters‘ task becomes much more demanding.

Torniamo ora ad occuparci del concetto di presenza per gli interpreti che lavorano a distanza nella modalità di interpretazione simultanea. Prima di passare in rassegna i fattori che creano la sensazione di presenza nell‘ambiente virtuale, occorre fare una premessa.

Il semplice fatto di trovarsi a lavorare in un ambiente virtuale causa fin da subito nell‘interprete a distanza una divisione dell‘attenzione. Da un lato, infatti, una parte della sua attenzione è dedicata a controllare e recepire gli stimoli che riceve dall‘ambiente in cui si trova, ovvero la cabina. Dall‘altro, l‘interprete asseconda gli stimoli che provengono dall‘ambiente virtuale, ovvero la sala conferenze in cui si svolge l‘incontro. Il grado di presenza dell‘interprete nella comunicazione dipenderà dalla sua concentrazione, da quanto egli sia in grado di assecondare gli stimoli che riceve dall‘ambiente virtuale, e dai possibili fattori di distrazione presenti nell‘ambiente fisico in cui si trova.

Moser-Mercer (2005) divide i fattori che compongono il senso di partecipazione e di presenza dell‘inteprete in diverse categorie.

In primo luogo, si annoverano i fattori detti di controllo, che comprendono il grado di capacità di influenza dell‘interprete sull‘ambiente virtuale. Per controllo si intende la capacità dell‘interprete di coordinare e gestire la comunicazione, intervenire quando necessario, essere parte attiva nel processo comunicativo. Più controllo riesce ad avere l‘interprete sull‘ambiente virtuale, maggiore sarà il grado di presenza sperimentato. Occorre specificare che tra queste caratteristiche bisogna anche aggiungere l‘essere in grado di anticipare e prevedere quello che sta per accadere nello scambio comunicativo (Held e Durlach, in Moser-Mercer 2005).

In secondo luogo, si annoverano i fattori detti sensoriali: i sensi che solitamente si utilizzano in una conversazione presenziale dovrebbero essere sollecitati analogamente dall‘ambiente virtuale ai fini di consentire un‘immersione perfetta nella comunicazione in corso. Nell‘ambiente virtuale, i sensi dell‘interprete più stimolati sono la vista e l‘udito; è importante che l‘interprete non riceva segnali discordanti dai due sensi al fine di non creare confusione e di richiedere sforzi aggiuntivi per la decodifica del messaggio. Per questo motivo, va assolutamente evitata la mancanza di sincronizzazione tra le labbra e la voce del parlante.

In terzo luogo, Moser-Mercer descrive i fattori detti di distrazione. Questi ultimi provengono dal mondo reale, quindi dall‘interno e dall‘esterno della cabina; questi fattori devono essere necessariamente ridotti al minimo affinché l‘interprete resti completamente isolato e si concentri soltanto sugli input provenienti dall‘ambiente virtuale.

Infine, si annoverano i fattori detti di realismo dell‘ambiente virtuale, ovvero, quanto l‘ambiente virtuale appaia reale per l‘interprete al lavoro. Per aumentare il livello di ―realtà‖ dell‘ambiente virtuale occorre utilizzare impianti sofisticati che forniscano immagini ad alta definizione, in modo da riprodurre nella maniera più accurata possibile tutto ciò che avviene nella sala conferenze (ib.). Paradossalmente, ―this realism might [...] also have its drawbacks as some users of VEs have experienced disorientation after leaving the virtual world‖ (Witmer e Singer, in Moser-Mercer 2005: 732). L‘essere troppo immersi in un ambiente virtuale, dunque, potrebbe anche comportare degli svantaggi, in quanto alcuni interpreti potrebbero sentirsi disorientati dopo un‘intera giornata passata a lavorare a distanza.

Moser-Mercer fornisce, dunque, una precisa descrizione dei fattori che aiutano gli interpreti a sviluppare e incrementare la loro presenza. Dall‘analisi dei risultati di alcuni studi condotti in seno all‘ONU, all‘UNESCO e alle istituzioni dell‘Unione Europea, emerge che raramente gli interpreti riescono a sviluppare un livello adeguato di presenza nell‘ambiente virtuale, soprattutto a causa della mancanza di una visuale completa sulla sala conferenze (UNESCO 1976; Moser-Mercer 2003; Moser-Mercer 2005).

Anche per questo motivo, secondo Moser-Mercer (2005) con l‘uso della videoconferenza è impossibile replicare al cento per cento lo stesso effetto generato nella comunicazione presenziale. Secondo Moser-Mercer, infatti, alcune parti di informazione e componenti del linguaggio non verbale non possono essere trasmesse tramite l‘uso delle TIC; ad esempio, ciò che Moser-Mercer definisce la parte emotiva dell‘informazione (affective

information), ovvero lo status emotivo dei partecipanti alla conversazione, è impossibile da

riprodurre e da recepire accuratamente, a meno che non ci si trovi fisicamente nella sala della conferenza.

E‘ interessante, a questo proposito, notare che, anche nel lontano esperimento svolto in seno all‘UNESCO (1976) per mettere in collegamento Parigi e Nairobi attraverso l‘uso del satellite Symphonie, in occasione della diciannovesima conferenza generale dell‘organizzazione, nelle considerazioni rispetto all‘ interpretazione simultanea si sia rilevato che:

A lack of the supporting and guiding elements which come from presence in the meeting room does make interpreting much more difficult and requires a far greater degree of concentration resulting in either a drop in quality, or a sharp increase in stress and fatigue.

(UNESCO 1976: 31)

La separazione fisica dell‘interprete, dunque, comporterebbe una maggiore difficoltà e un maggiore impiego di sforzi per gli interpreti, oltre ad un declino nella qualità delle interpretazioni.

A maggior ragione, appare fondamentale svolgere ulteriori ricerche per approfondire il concetto di presenza e per definire gli standard tecnici adeguati affinché gli interpreti possano sentirsi partecipi dello scambio comunicativo in corso. Il concetto e il grado di presenza rappresentano, secondo Mouzourakis (2006), uno dei punti di partenza per le future ricerche e per il miglioramento degli impianti di interpretazione a distanza. Non solo: approfondire lo studio del concetto di presenza potrebbe condurre ad un ―more general approach to RI [remote interpreting], embedding RI research within a wider discipline (the study of human performance in virtual environments)‖ (ib.: 58).

Mouzourakis suggerisce che, per aumentare il grado di presenza dell‘interprete nell‘ambiente virtuale, occorre aumentare le possibilità interattive offerte all‘interprete sugli schermi; inoltre, bisognerebbe offrire un campo visivo più ampio in modo da consentire una totale immersione nell‘ambiente virtuale. Secondo Mouzourakis (2003: 4), ne consegue che:

The use of sophisticated, necessarily expensive technology, with all its attendant complexity, might help in restoring a certain sense of presence, thus alleviating some of the interpreter‘s discomfort.

Indubbiamente, l‘utilizzo di impianti adatti a soddisfare suddette richieste comporterebbe dei costi di produzione non indifferenti. Alla luce di tutto ciò, sorge spontanea una domanda: come si possono conciliare l‘investimento monetario necessario alla modernizzazione tecnologica, con le necessità di risparmio economico che avevano inizialmente spinto la creazione di questa nuova tecnica interpretativa?

2.1.2 Distanza (remoteness) ed estraneità (alienation)

All‘opposto del concetto di presence vi è il concetto di remoteness, o distanza: con essa si intende la separazione fisica dell‘interprete dall‘ambiente in cui si svolge la situazione comunicativa. La conseguenza diretta della distanza dell‘interprete è la denominata

alienation, di cui si propone di seguito un‘analisi.

La sensazione di alienation, o estraneità, è la sensazione registrata dagli interpreti quando svolgono il lavoro nella modalità di interpretazione a distanza (Viaggio 2011; Moser- Mercer 2005; Mouzourakis 2003, 2005).

Una considerazione tratta da un test condotto in seno all‘ONU (1999) riportata in Moser-Mercer (2005: 735) aiuta a comprendere meglio che cosa intendano gli interpreti quando si definiscono alienated:

Interpreters felt alienated from the reality they were being asked to interpret. They lost their motivation and felt that their performance was not as good as it normally is. This in turn contributed to the stress, anxiety and overall loss of motivation.

Il senso di estraneità, dunque, dipende dalla misura in cui l‘interprete si sente più o meno partecipe allo scambio comunicativo a distanza. Più l‘interprete si sente presente, minore sarà il grado di estraneità. La considerazione tratta dai risultati del test dell‘ONU del 1999 è significativa, in quanto consente di identificare le tre dirette conseguenze della sensazione di estraneità. In primo luogo, sentendosi estraneo alla comunicazione, l‘interprete

è meno motivato a svolgere il proprio lavoro. In secondo luogo, l‘estraneità comporta un degrado della prestazione dell‘interprete; infine, l‘interprete è più affaticato e stressato rispetto ad un‘interpretazione presenziale.

Queste considerazioni sono accreditate anche da Mouzourakis (in Buck 2000): secondo lo studioso, gli interpreti, oltre a sperimentare un senso di estraneità, che non permette loro di stabilire un‘empatia con l‘oratore e di essere partecipi in toto all‘evento comunicativo, sono vittime di incertezza e insicurezza. Come mostrato in precedenza, infatti, la difficoltà di ricezione dei feedback degli interlocutori non permette all‘interprete di cogliere se il messaggio sia stato adeguatamente compreso e se il suo lavoro si stia svolgendo in maniera appropriata. Inoltre, secondo Mouzourakis (ib.) gli interpreti sperimentano una insufficiente carica adrenalinica e motivazionale; l‘adrenalina in corpo prima e durante il lavoro di interpretazione permette ai professionisti di ottenere delle prestazioni migliori, in quanto più attenti e più ricettivi a tutto ciò che succede. L‘autore sostiene che, per un interprete, svolgere il proprio mestiere vedendo qualcuno in carne ed ossa al di là del vetro della cabina, qualcuno la cui comprensione dell‘evento comunicativo dipende dalla sua traduzione, sia completamente diverso rispetto allo svolgere il mestiere di fronte ad uno schermo che di per sé comporta un distacco con il proprio cliente. Nella modalità a distanza, dunque, implicitamente si riduce il senso di responsabilità dell‘interprete e, di conseguenza, si riduce la quantità di adrenalina in corpo: la conseguenza finale coincide con un calo della qualità della resa.

Da queste poche considerazioni effettuate, si può facilmente constatare che le sensazioni degli interpreti sperimentate nella modalità di lavoro a distanza siano indubbiamente fondamentali per la buona riuscita o meno del lavoro e, di conseguenza, per il successo o il fallimento comunicativo19.

19 A questo proposito, occorre segnalare che, nel caso di IET (interpretación de escuchas telefónicas) o interpretazione di intercettazioni telefoniche, le considerazioni fatte finora non sono applicabili in toto. Infatti, l‘interpretazione di intercettazioni telefoniche, pur presentando le componenti di distanza e alienazione, non è classificabile secondo i criteri esposti in questa sezione, poiché è un ibrido tra interpretazione bilaterale presenziale (l‘interprete si trova sempre con l‘agente di polizia) e interpretazione telefonica (l‘interprete riassume e traduce ciò che ascolta dalla conversazione in corso tra due parlanti al telefono). In questo caso, però, la comunicazione che avviene per via telefonica è distante e non viene controllata dall‘interprete. Sottolinea, a questo proposito, González Rodríguez:

En el caso de escuchas, el intérprete ha de trabajar con una situación comunicativa en la que ‗no está‘, que no le pertenece, que no gestiona, que no controla, que no orquesta, algo absolutamente innatural, o incluso antinatural para un profesional de la interpretación. Para afrontar una situación de este tipo, el

Anche Mouzourakis (2006) e Moser-Mercer (2005) suggeriscono che la condizione di estraneità e di un senso ridotto di presenza stiano, molto probabilmente, alla base della maggior parte dei problemi che solitamente si riscontrano nell‘interpretazione a distanza