2. Taking action Interventi educativi e sociali rivolti a persone senza dimora
2.1 Educazione e Pedagogia della marginalità
2.1.2 Cenni storici sulla nascita della Pedagogia della marginalità
«Niente più internamento forzato, niente più lettere di denuncia che comportano la carcera- zione senza processo; ma la libertà di morire per strada, alla stazione, tra i rifiuti, di fame o di freddo, per malattia o per mano di qualche folle “giustiziere” notturno. […] Ognuno di questi [disperati] ha una storia da trascinarsi pesantemente sulle spalle, un percorso di falli- mento che ci sgomenta perché potrebbe essere, al primo inciampo, anche il nostro» (Grami- gna, Righetti 2001, p. 49).
In passato la pedagogia si è rivolta all’alterità marginale e deviante in altri termini ri- spetto a quelli finora esplorati. L’approccio tradizionale consisteva nell’abbinare educa- zione e oppressione, educazione e reclusione o educazione e correzione, con obiettivi tutt’altro che inclusivi. Un’eredità pesante da «smascherare», secondo le parole di Pie- rangelo Barone (2011, p. 24), facendo emergere dal discorso educativo quelle funzioni del passato ancora non del tutto rigettate, per poter così definire il campo della pedago- gia della marginalità troppo assimilato alla pratica del controllo sociale attraverso un po- tere normalizzante.
«La diversità, attraverso la pratica dell’internamento, assume dunque il volto della follia, coagulando intorno a tale definizione una molteplicità di soggetti caratterizzati da una so- stanziale eterogeneità: la popolazione che affollava gli spazi degli istituti deputati all’inter- namento era ascrivibile alle più svariate configurazioni sociali di ribelli, fannulloni, bugiar- di, ubriaconi, mendicanti, impudichi, bestemmiatori, profanatori, libertini, deliranti. La pos- sibilità di costringere assieme tante e differenti figure nello spazio coercitivo della reclusio- ne dell’internamento, è data dal cambiamento della percezione sociale intorno al rapporto tra povertà e lavoro e dalla conseguente codificazione morale dei comportamenti riconduci- bili al rifiuto di un ordine economico e sociale che va affermandosi: la dimensione della di- versità si colloca nell’orizzonte economico e morale della necessità del lavoro e della rego- lamentazione di quella popolazione inoperosa che costituisce un costante pericolo per l’ordine pubblico» (Barone 2011, pp. 26-27).
Facendo ampio uso delle riflessioni di Michel Foucault sulla anormalità e sulla diversi- tà, Barone riprende la riflessione sulle comunità coatte nate fra il Seicento e il Settecen- to, quando le società occidentali combinarono i modelli di intervento sviluppati in pre- cedenza nei confronti del lebbroso e dell’appestato. Lebbre e peste, esclusione e control- lo: «l’una è marchiata; l’altra, analizzata e ripartita» (Foucault 2007, p. 216). Esclusione e inclusione dell’anormalità (Barone 2011): con il primo modello si cerca una società pura, separando il corpo sociale dai suoi elementi contagiosi, rinchiusi e segregati altro- ve, attraverso un dispositivo di esclusione; con il secondo modello si cerca una società disciplinata, che eserciti un controllo sociale sui suoi membri contagiosi. Combinando i due modelli nacquero le comunità coatte così come le abbiamo ereditate, case di corre- zione, carceri, manicomi, per fare qualche esempio, istituzioni nelle quali non ci si av- vale esclusivamente di un potere di tipo espulsivo-repressivo, che divide normalità e
anormalità, ma meccanicamente viene utilizzato anche un potere disciplinante che adde- stra e corregge, che «rende praticabile quell’operazione di distribuzione e ripartizione della diversità all’interno delle istituzioni preposte al trattamento specifico dell’anorma- lità » (Barone 2011, p. 29). Il tutto fu progettato per poter esercitare efficaci meccanismi di normalizzazione al fine di «aumentare la produzione, sviluppare l’economia, diffon- dere l’istruzione, elevare il livello della moralità pubblica » (Foucault 2007, p. 226), as- soggettando a questo fine la medicina, la giurisprudenza, ma anche la pedagogia. Così esclusione e inclusione non vennero elise a vicenda, ma furono asservite alla normaliz- zazione dei corpi e delle menti e per decenni lo Stato moderno, attraverso diversi mec- canismi pedagogici, ha investito le istituzioni di un ruolo ideologico-conformativo (Va- lenti 2007).
«Si educa punendo, si educa per correggere, si educa per curare: il castigo, la punizione, la sanzione non appartengono forse, in modo significativo, al lessico pedagogico? » (Barone 2011, p. 46).
Il lento processo che ha portato alla nascita della Pedagogia Speciale (rivolta a persone con disabilità) e della Pedagogia della marginalità o Pedagogia della marginalità e della devianza è passata attraverso diverse fasi che potrebbero avere come nucleo propulsivo iniziale gli approcci clinici sperimentati del medico Jean Marc Gaspard Itard, nella sua particolare esperienza pedagogica con il giovane Victor, “il ragazzo selvaggio” dell’Aveyron, e del medico Édouard Séguin, interessato alla crescita dei minori con de- ficit cognitivi, susseguitisi nel corso dell’Ottocento. In epoca positivista, venne introdot- ta la pedagogia emendativa, con la quale si cercò di attuare quell’ideale di progresso realizzato attraverso la fiducia nella ragione e nel sapere al servizio dell’uomo. Con essa il metodo scientifico, sempre più applicato in ogni campo delle conoscenze umane, en- trò anche nel sapere pedagogico: l’oggetto di studio divenne il comportamento umano e l’osservazione il metodo, così da ottenere un sapere empirico pedagogico, in quanto fondato sull’esperienza e non più frutto di speculazione metafisica. La pedagogia emen- dativa si occupò dell’educazione di minori con disabilità cognitive considerati all’epoca anormali o devianti, assumendo «che l’agire educativo nei riguardi dei minori devianti non richieda interventi pedagogici dissimili alla normalità, ma soltanto più incisivi e più attenti alla specificità dei casi» (Izzo e al. 2003, p. 165). A questa si sono affiancati altri
approcci analoghi, come quello della ortopedagogia e quello della pedagogia curativa, tutte pedagogie con il limite di intendere la diversità, qualunque essa fosse, come qual- cosa correggere, oltre che da capire, mantenendo così nella pratica un’impostazione ete- rodiretta dell’intervento, sebbene questo fosse stato personalizzato.
Nella seconda metà del Novecento si consumò una vera e propria frattura fra il paradig- ma pedagogico e le impostazioni teoriche che fino a quel momento avevano richiesto un’impostazione normalizzante. La «ripresa culturale dei temi sull’emancipazione del soggetto nella società, costituisce il cardine intorno al quale si articolano le diverse pro- spettive pedagogiche» (Barone 2011, p. 100), non solo in pedagogia, ma trasversalmen- te in tutte le discipline scientifiche umanistiche. Viene fatto l’esempio del cambiamento legislativo avvenuto nei Tribunali per i minorenni attraverso il decreto legge 888/1956, con il quale decadde l’idea ottocentesca d’intervento educativo come trattamento corre- zionale del minore, sostituita dal concetto di rieducazione orientata al progressivo rein- serimento nella vita sociale del minore, con l’attenzione alla comprensione psico-sociale del fenomeno e del soggetto (Barone 2011). Crebbe progressivamente una feroce critica a tutte le istituzioni totali, dove le persone ai margini venivano rinchiuse e corrette e, più in generale, di tutte le istituzioni educativamente chiuse. Venne sempre più preso in con- siderazione «un approccio epistemologico capace di restituire i livelli di complessità e di intreccio che sui diversi piani caratterizzano i fenomeni devianti» (Barone 2011, p. 95), come accadde a Bologna con l’impostazione fenomenologica alla devianza minori- le di Piero Bertolini, o come nel caso della pedagogia degli oppressi di Paulo Freire il cui centro di riflessione è l’ingiustizia sociale.
Esclusione, medicalizzazione, inserimento sociale, integrazione e, da ultimo, inclusione: queste le parole chiave che, in estrema sintesi, hanno caratterizzato il processo di cam- biamento paradigmatico svoltosi nel Novecento, all’interno della Pedagogia Speciale, rivolta a persone con disabilità, e della Pedagogia della marginalità, rivolta a soggetti marginali, esclusi e devianti.
2.1.3 Educazione come insieme di ermeneutica e azioni trasformative