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4. Il progetto di ricerca

4.2 Il disegno della ricerca

4.2.6 Metodologia della ricerca e stili di ricerca

Il ricercatore che si approccia a un problema di ricerca in ottica ecologica, cioè analiz- zando la struttura che connette fra loro i fenomeni, e volendo in un qualche modo intera- gire con questi, si trova nella situazione dell’esploratore descritta da Bateson:

«Per la natura stessa delle cose, un esploratore non può mai sapere che cosa stia esplorando finché l’esplorazione non sia stata compiuta» (Bateson 1976, p. 58).

Nonostante ciò l’esploratore deve adottare un qualche modo di procedere, una modalità che dovrà adattare di volta in volta all’esplorazione che sta compiendo. Questa modalità di procedere viene qui definita come metodologia della ricerca, l’approccio generale che la ricerca ha intenzione di seguire. Nel caso specifico di questo progetto di ricerca, sin dall’inizio non è stato assunto un unico stile di ricerca che costituisca la metodologia, ma si è preferito procedere secondo una logica di mixed methods. È stata presa in consi- derazione sin da subito la possibilità, poi attuata, di applicare due diversi stili di ricerca tenendo conto delle necessità dettate dalle peculiarità che distinguono la fase prelimina- re da quella successiva.

L’indagine è stata svolta prevalentemente attraverso un impianto qualitativo. Riprenden- do la classificazione proposta da Coggi e Ricchiardi (2005), questa ricerca potrebbe es- sere considerata di tipo qualitativo con intervento, in quanto, al contrario delle ricerche osservative con scopo principalmente descrittivo e distacco da parte dello studioso, que- sta ricerca prevede «l’introduzione di un cambiamento […] per risolvere, attraverso l’intervento, la situazione problematica» (Coggi, Ricchiardi 2005, p. 22), intervento gui- dato dal ricercatore stesso. La scelta di questo approccio metodologico prende in consi- derazione diverse istanze. Si vuole un approccio di tipo olistico, che rifiuti l’idea di iso- lare singoli elementi per analizzarli in maniera avulsa dal resto del contesto, che si rife- risca alle interazioni interpersonali inquadrate in un preciso contesto sociale, contesto

sociale di cui si cerca una comprensione e non l’astrazione. Si vuole includere nella ri- cerca un importante lavoro sul campo e non esclusivamente l’analisi dei dati. Si vuole procedere in maniera induttiva, attraverso la rilettura continua della realtà, rilettura che continuamente restituisce interpretazioni di quella realtà. Si vuole infine controllare la validità dei risultati ottenuti.

Gli stili, o strategie, di ricerca previsti e messi in atto sono stati due: 1. l’indagine esplorativa;

2. la ricerca-azione.

La fase preliminare della ricerca, necessaria per la definizione delle ipotesi, in particolar modo come conferma alla prima ipotesi (a Bologna alcune persone detenute, al termine

del loro percorso penitenziario, divengono persone senza dimora), si è distinta per una

valutazione dell’esistenza del fenomeno sul territorio di Bologna. L’indagine esplorativa si configura, pertanto, come un momento preparatorio importante per l’intero progetto di ricerca, poiché è servito a fornire materiale utile per i primi momenti della ricerca- azione, nonché è risultato essere un modo per accrescere la familiarità del ricercatore con il problema di ricerca.

In fase di progettazione si è scelto di avvalersi, per l’indagine esplorativa, dello stru- mento formale del questionario con domande dicotomiche o con domande chiuse, rac- colto attraverso l’intervista diretta. Gli attori coinvolti sono stati complessivamente tre: il rilevatore, l’intervistato e il ricercatore. Il ruolo del rilevatore è stato ricoperto da di- versi professionisti in ambito sociale, adeguatamente istruiti sul come porsi con l’inter- vistato rispetto al tema trattato. All’intervistato, persona senza dimora rivoltasi ad un servizio di prossimità durante il “Piano freddo”, è stato sempre garantito l’anonimato. Il questionario, composto da una lista di domande utili a raccogliere le informazioni sul fenomeno, si è fondato su tre principi: chiarezza, semplicità e brevità. Seguendo questi principi nella formulazione delle singole domande, e non solo in riferimento al questio- nario nel suo insieme, si è cercato di evitare eventuali ambiguità e un tempo di compila- zione superiore ai cinque minuti.

1. Lei è mai stato/a in carcere? [sì, no] 2. Quanto tempo fa, l’ultima volta? [anno]

3. Dove, l’ultima volta? [Bologna, Emilia Romagna, altrove in Italia, estero] 4. C’è stato un accompagnamento all’uscita? [sì, no]

Il rilevatore ha formulato a tutti gli intervistati solo la prima di queste quattro domande, ponendo le successive tre soltanto a coloro che hanno risposto affermativamente alla prima domanda. Sono inoltre stati raccolti tre dati anagrafici (nazionalità, anno di nasci- ta e sesso) e un codice identificativo univoco, per evitare di ripetere l’intervista alla stes- sa persona.

Si esplicita che i dati raccolti da questo strumento non hanno valenza di tipo statistico, in quanto non si è seguito un campionamento casuale semplice, né sistematico, né altra forma di campionamento probabilistico. Il fine dell’indagine esplorativa è stato, infatti, quello di mostrare la presenza del fenomeno e non la sua misurazione. La stessa indagi- ne è stata proposta a distanza di dodici mesi, in un’ottica longitudinale.

Essendo il problema oggetto d’indagine poco conosciuto, è stato scelto di approfondire ulteriormente l’argomento attraverso una serie di interviste a persone senza dimora. È stata affiancata alla prima indagine esplorativa una seconda esplorazione qualitativa, fa- cendo ricorso a interviste individuali semistrutturate, svolte con rilevazione diretta da parte del ricercatore, nel ruolo di intervistatore, a faccia a faccia con l’intervistato senza dimora. I partecipanti intervistati sono stati segnalati al ricercatore dai servizi coinvolti nella fase di ricerca-azione, in particolare, dagli operatori del “Progetto dimittendi” e da quelli dei servizi di prossimità, in particolar modo dell’“Help Center” e dell’Unità di strada. Ad ogni intervistato è stato garantito l’anonimato.

Le interviste, cinque in tutto su dieci tentativi, sono state svolte prevalentemente in set-

ting informali (salette appartate messe a disposizione per un’intervista riservata oppure

all’aperto, avendo cura che non ci fossero altre persone in ascolto). Avendo scelto uno strumento semistrutturato, le domande sono state pianificate in precedenza e risultano essere uguali per tutti gli intervistati, benché siano state presentate senza un ordine trop- po rigido, soprattutto lasciando spazio, all’intervistato e al ricercatore intervistatore di

approfondire, ogni qualvolta fosse necessario. Al di là delle generalità riguardanti sesso, età, nazionalità e titolo di studio, le dodici domande poste ad ogni intervistato sono sta- te:

1. Per quanto tempo sei stato in carcere l’ultima volta? 2. Quando sei stato scarcerato?

3. Puoi descrivere gli ultimi mesi di detenzione? 4. Ci sono state carcerazioni precedenti a questa?

5. Che rapporto hai avuto con gli educatori nella tua ultima detenzione? 6. Ogni quanto li incontravi?

7. Di cosa parlavate?

8. Puoi descrivere il supporto che hai ricevuto in preparazione all’uscita dal carce- re?

9. È stata richiesta la tua partecipazione nella costruzione del percorso di uscita dal carcere?

10. Prima di entrare in carcere dove vivevi? 11. Una volta uscito dal carcere dove hai vissuto? 12. Ad oggi come descriveresti la tua situazione?

La seconda fase della ricerca è stata sviluppata secondo una strategia di ricerca-azione (action-research), che «cerca di saldare la scissione che esiste tra ricerca educativa e pratica pedagogico-didattica» (Coggi, Ricchiardi 2005, p. 68), allo scopo di migliorare la qualità degli interventi educativi e sociali previsti all’interno di un determinato conte- sto sociale, cercando di superare la dicotomia tra teoria e pratica. Si è trattato di una ri- cerca-azione partecipativa, costruita secondo una logica ricorsiva dei risultati (valutazio- ne ricorsiva), ovvero strutturata secondo uno schema classico a “spirale di cicli”.

Il gruppo che ha partecipato alla ricerca-azione è stato costituito da rappresentati delle istituzioni presenti al “Tavolo carcere” (Comune di Bologna, ASP Città di Bologna,

Casa circondariale di Bologna e AUSL di Bologna), assieme ad alcuni operatori di spe- cifici servizi rivolti a detenuti (“Progetto Dimittendi” e “Sportello di intermediazione linguistico-culturale”): responsabili di servizi educativi, sociali e sanitari, assieme ad as- sistenti sociali ed educatori. In alcuni momenti specifici, il “Tavolo carcere” è stato al- largato a operatori provenienti da alcuni servizi di prossimità rivolti a persone senza di- mora (“Help Center”, “Servizio Mobile di Sostegno” e “Unità di strada”). Ognuno dal proprio punto di vista, sociale, educativo o sanitario, questi interlocutori hanno presente il problema divenuto oggetto di ricerca, soprattutto per gli aspetti specifici riguardanti la propria area di intervento. La sollecitazione iniziale per la ricerca-azione è stata data al gruppo tramite l’intervento dell’Università di Bologna che, in sinergia all’Area Benes- sere di Comunità del Comune di Bologna, ha sollecitato i membri del gruppo a riflettere sullo specifico tema della scarcerazione, già affrontato a partire dal 2015 in quello stes- so Tavolo, sebbene con un’accezione più ampia82 e con difficoltà ad individuare azioni

condivise di sistema. Pertanto, è stata stipulata una convenzione fra l’Università di Bo- logna e il Comune di Bologna, come descritto in seguito, al fine di rafforzare l’autore- volezza del ricercatore al “Tavolo carcere”, potenziare il raggio d’azione degli strumenti già in essere, rafforzando la progettualità dei servizi comunali per il carcere, e, infine, per rinforzare e sviluppare quanto previsto dal Protocollo operativo integrativo del pro-

tocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Emilia Romagna per l’attuazione di misure volte all’umanizzazione della pena e al reinserimento sociale del- le persone detenute.

Il gruppo formato da questi operatori ha collaborato per la messa a punto di una serie di azioni. Il modello di riferimento di questa ricerca-azione, da cui è derivato quello speci- fico utilizzato per questo progetto di ricerca, è quello di Cunningham (1976), il quale in- dividua tre grandi sequenze che la ricerca-azione dovrebbe seguire: (1) la formazione del gruppo, (2) la progettazione dell’azione (ricerca) e (3) l’attuazione della ricerca (azione). Posto che la sequenza numero 1, riguardante la formazione del gruppo, è stato un dato in entrata già fornito dai soggetti istituzionali e riassumibile con i componenti del “Tavolo carcere”, le sequenze 2 e 3 sono state previste con al loro termine un mo- 82 Vedi Prot. n. 407 del 8 gennaio 2016, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria,

mento di valutazione, preambolo di uno sviluppo successivo che reiterava il processo (vedi GRAFICO 5).

I piani previsti dalla ricerca-azione sono stati molteplici, riguardanti diversi aspetti af- frontati sia all’interno delle mura detentive, sia al loro esterno. I maggiori cambiamenti sono stati apportati alle modalità d’azione del “Progetto dimittendi”, oggetto di diversi interventi mirati a rivederne la sua composizione d’organico operativo, la sua presenza in carcere, nonché la pianificazione dei percorsi d’uscita dal carcere di tutti i detenuti.

GRAFICO 5: modello applicato di ricerca-azione

Al termine della ricerca-azione è stata proposta una valutazione finale, che ha coinvolto tutti i membri del “Tavolo carcere”, soggetti partecipanti della ricerca. Lo strumento uti- lizzato per raccogliere queste valutazioni è stato quello delle interviste individuali, strut- turate, a domanda aperta. Le domande sono state pianificate nella formulazione e

nell’ordine proposto, ma ad un approccio orale si è preferita l’autocompilazione digita- le. Sono state restituite al ricercatore 9 interviste su 10 richieste.