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2. Taking action Interventi educativi e sociali rivolti a persone senza dimora

2.1 Educazione e Pedagogia della marginalità

2.1.3 Educazione come insieme di ermeneutica e azioni trasformative personali e

La pedagogia della marginalità, prese le distanze dai paradigmi precedenti connotati da oppressione, reclusione e correzione, si è struttura ponendo al centro della propria azio- ne inclusiva la persona ai margini, senza assumere a priori uno specifico risultato da ot- tenere, se non la ricerca del suo benessere assieme a lui individuata.

Le azioni di volta in volta pianificate nei singoli interventi educativi hanno la finalità di incentivare un cambiamento nella persona, promuovendo in ogni modo il suo sviluppo, al fine di renderla indipendente e autonoma, sempre più in grado di autodeterminarsi, ma nel farlo non vengono presi in considerazione aspetti coercitivi, né sono assunti aprioristicamente obiettivi “intermedi” da ottenere, percorsi prefissati, o modalità di es- sere. Così, mentre nelle pedagogie dei secoli passati l’intervento educativo risultava es- sere eterodiretto e impersonale, oggi ciò che la Pedagogia della marginalità vuole co- struire con la persona marginale è un intervento che si caratterizzi per essere personaliz- zato, in quanto costruito a partire dalla persona, ma anche in grado di promuovere l’autonomia decisionale del soggetto beneficiario dell’intervento, a partire dalla costru- zione di questo con la persona. All’educatore professionale socio-pedagogico viene ri- chiesto di saper progettare, con la persona ai margini, un intervento pedagogicamente orientato al suo sviluppo, capace di tenere in considerazione più aspetti, intrapersonali e interpersonali, che coinvolgono l’intimo della persona, ma anche il contesto in cui que- sta vive, e quindi svariate competenze disciplinari.

«[…] termini come marginalità e devianza sono collettivi: ciascuno dei due allude alla mol- teplicità sia dei fatti sia dei fattori che danno luogo a quei fenomeni che sono oggetti di ana- lisi della ricerca empirica (ricerca sul campo e non esclusivamente teorica). Ora, tale molte- plicità di problemi e di dati rimanda necessariamente a competenze disciplinari diverse (storia economia, diritto, sociologia, scienza politica e altre discipline sociali)» (Izzo e al. 2003, p. 10).

Tali competenze disciplinari, come si vedrà, sono richieste proprio al fine di poter strut- turare percorsi efficaci inclusivi.

Gli elementi intrapsichici della persona senza dimora costituiscono uno degli aspetti più delicati da affrontare nel percorso emancipatorio proposto dall’intervento educativo. Questi principalmente si addensano attorno a stressful life event, come già ricordato nel capitolo precedente, eventi critici della vita e conseguenti crisi vissuti inevitabilmente da ogni donna e uomo, ma trasformati in esperienze impervie per le persone senza di- mora. Tutti sperimentano molteplici esperienze critiche, e queste non comportano mec- canicamente un perdersi di fronte alla crisi, né una cronicizzazione del proprio stato di fronte al proprio dolore e impotenza. Cosa cambia dunque da un’esperienza di crisi all’altra? Come si è già ricordato, «non è tanto la crisi in se stessa a essere problematica, quanto le risorse messe in campo per fronteggiarla e il loro utilizzo» (Gnocchi 2008, p. 63; Gnocchi 2009, p. 259), risorse del soggetto chiamato a vivere e risolvere la crisi, ri- sorse personali composte dalle competenze cognitive, relazionali e sociali, nonché dalla capacità di attrarre risorse a sé. Non è solo una questione di possesso, ma anche di uso di tali risorse, ovvero il saper valutare il rapporto costi-benefici delle proprie azioni. Così, paradossalmente, potrebbero essere possedute alcune competenze non esercitate, secondo una logica anti-intuitiva per la quale «la persona “sceglie” di “non scegliere”» (Gnocchi 2008, p. 63), mettendo in atto ciò che viene chiamato un adattamento per ri- nuncia, una situazione di stallo in cui non vengono prese decisioni per via dell’impossi- bilità di cogliere soluzioni che vadano in una direzione della fuga o di risoluzione della crisi.

Rispetto a tutto ciò uno dei compiti educativi principali è quello di promuovere il cam- biamento, rimettendo in moto ciò che per varie ragioni si è fermato nella persona entrata in contatto con i propri limiti e, in qualche modo, è uscita traumatizzata da quell’espe- rienza. Non si tratta tuttavia di compiere nuovamente delle scelte e, in ottica educativa, di spronare a farlo, ma di rendere consapevole la persona che, oltre ad essere il soggetto responsabile del proprio sviluppo, egli «è anche il primo attore circa il senso a lui attri- buito» (Gnocchi 2009, p. 260) a quelle scelte, in senso etico ed estetico. Così, all’azione pedagogica è richiesto spazio e tempo di riflessione, per guardare quei limiti che hanno trasformato un cambiamento in crisi, per dare nomi alle esperienze, per ritrovare il sen- so da attribuire al proprio sviluppo umano, affiancando la persona marginale in questo percorso. In sostanza l’azione educativa, nei termini di «dimensione relazionale inten-

zionalmente direzionata» (Gnocchi 2008, p. 199), si trova ad essere relazione d’aiuto ro- gersiana.

Assumendo la lezione di Kurt Lewin rispetto all’interazione fra persona e contesto, l’azione educativa socialmente orientata ad arginare i fenomeni di marginalità non può esimersi dall’occuparsi del contesto in cui la persona vive ed esprime il proprio disagio sociale.

«Se l’emarginazione non è un fatto privato, da gestire negli spazi in ombra dei contesti me- tropolitani, con le scarse o nulle risorse in possesso del senza dimora allora la pedagogia del disagio adulto “è luogo di sintesi fra il riconoscimento della sofferenza, le motivazioni alla cura reciproca, all’interno delle questioni poste dal clima socioculturale» (Gnocchi 2009, p. 266).

Una pedagogia socialmente orientata la definisce Gnocchi (2009), per il quale è neces- saria la capacità pedagogica di progettare politiche sociali che si occupino della promo- zione del soggetto, in questo caso un soggetto da preservare dalle logiche assistenziali- stiche che lo vorrebbero passivo e dipendente dalla beneficenza pubblica. Così l’azione educativa attenta alla marginalità trova fra le sue funzioni quelle di mediazione e di ad-

vocacy, funzioni orientate all’inclusione e all’influenzamento delle politiche sociali.