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5. Detenuti in dimissione dal carcere, future persone senza dimora? Sviluppo d

5.1 Premessa

È assodato che stia aumentando l’attenzione internazionale alla relazione esistente fra detenzione e homelessness (Metraux, Roman, Cho 2008; Lee, Tyler, Wright, 2010; Nooe, Patterson 2010; Saddichha et al. 2014). Essendo indagata per lo più da studi di stampo sociologico, vengono evidenziati moltissimi fattori che influenzano questa rela- zione, tanto che alcuni studiosi, negli ultimi anni, stanno avanzando l’idea che essa si caratterizzi per un reciproco influenzamento delle due esperienze (Nooe, Patterson 2010; Saddichha et al. 2014). Quasi nulla è, invece, proposto per limitare il fenomeno, alimentato anche a causa di un uso improprio della detenzione, spesso alla stregua di uno strumento sociale come altri. In questo progetto di ricerca, condotto sul territorio di Bologna, si è pertanto cercato di sviluppare politiche sociali e interventi educativi in grado di limitare efficacemente il fenomeno, grazie ad una ricerca-azione svolta assieme alle istituzioni locali e in sinergia ai servizi presenti sul territorio, più che studiarlo da un punto di vista delle caratteristiche peculiari in Italia. Per questo motivo, prima di proce- dere nella descrizione della ricerca, è necessario attrezzarsi di una “mappa” orientativa, che possa aiutare il lettore a comprendere il contesto di studio e di azione.

Secondo i dati più recenti forniti da Istat (2015), a Bologna, una città di circa 390.000 abitanti, che diventano oltre un milione se si considera l’intera area metropolitana, vive il 2% della popolazione senza dimora italiana, circa 1.032 persone. Diversamente da quanto riportato in questi dati, quelli ad uso interno del Comune di Bologna91 – non an-

cora resi pubblici – contano sullo stesso territorio e nell’intero arco del 2016, un numero di persone senza dimora pari a 4.740, includendo in questo dato solo coloro che hanno avuto almeno un accesso ad un servizio per le marginalità del Comune di Bologna o di ASP Città di Bologna (vedi dettaglio TABELLA 13).

91 Ufficio sistema informativo, regolazione, sviluppo della qualità e gestione ciclo della performance dell’Area Benessere di Comunità del Comune di Bologna.

I dati differiscono significativamente in quanto sono stati ricavati attraverso due proce- dure di rilevazione differente: quella di Istat è una stima fornita come risultato di un’indagine statistica basata su un campione di persone intervistate in alcuni luoghi spe- cifici, dedicati a persone senza dimora, scelti fra tutti quelli presenti a Bologna nell’inverno fra il 2014 e il 2015; quella del Comune di Bologna è invece un’estrapola- zione di dati inseriti nel database ufficiale della municipalità, contenente le informazioni inserite da tutti i servizi per le marginalità presenti in città. Posto che esista una conver- genza nell’individuare in modo univoco le persone senza dimora, si può ipotizzare che le stime nazionali presentino alcune lacune e, pertanto, supporre che il fenomeno sia ri- masto finora sottostimato.

Descrizione Persone

Beneficiari complessivi dei servizi (senza duplicati) 4.740

Utenti adulti dei servizi marginalità adulta e dei servizio SbS 2.930

Utenti adulti SST Quartieri 1.055

Utenti adulti Protezioni Internazionali a 929

Utenti adulti Servizio PRIS b 412

Utenti adulti servizi marginalità adulta avviati e/o inseriti in servizi residenziali (tutte le tipologie di ser- vizi residenziali: accoglienza a bassa soglia, accoglienza per bisogni indifferibili e urgenti, accoglienza abitativa, transizione abitativa e housing first)

1.963

Utenti adulti SbS in servizi residenziali di “Piano freddo” 542

a il 27,8% (259 persone) sono anche utenti dei servizi di marginalità adulta (8,8% del totale marginalità adulta) b il 53,4% (220 persone) sono entrati come utenti dei servizi di marginalità adulta (7,5% del totale marginalità adulta)

TABELLA 13: presenza persone senza dimora a Bologna nel 2016

Sul territorio è presente una vasta rete di servizi rivolti alla grave emarginazione adulta: servizi di accoglienza e protezione sociale (con accoglienza temporanea e bassa soglia d’accesso, “Casa Willy”; con accoglienza di lunga permanenza, “Rifugio notturno della solidarietà”, “Centro Beltrame”, “Riparo notturno Madre Teresa di Calcutta”; con acco-

glienza per lavoratori, “Centro Zaccarelli”; con accoglienza per persone con gravi pro- blemi socio sanitari, “Centro Rostom”), servizi di prossimità (“Help center” della Sta- zione di Bologna centrale, “Servizio mobile di sostegno”; rivolti a persone con consumo problematico di sostanze, “Unità di strada”), laboratori di comunità (“Laboratorio E20”, “Happy Center” in Bolognina), servizi sociali dedicati alle persone senza dimora e a quelle non residenti (“Servizio sociale bassa soglia”), servizi abitativi inclusivi avanzati (“Housing first Co.Bo.”). Una rappresentazione molto diversa da quella fornita appena dieci anni fa nel testo Disagio sociale e marginalità a Bologna (Pavarin 2006), in cui veniva presentata una rete territoriale dei servizi articolata soprattutto attorno ai temi delle dipendenze e della homelessness, ma con significative differenze rispetto alle que- stioni migratorie e, soprattutto, detentive, allora “in secondo piano”. Sopratutto il secon- do oggi è presente con più interventi a favore di detenuti ed ex detenuti, fra cui lo “Sportello carcere di intermediazione linguistico-culturale”, di ascolto, orientamento e informazione e il “Progetto dimittendi”, anche a causa di un generale interesse della cit- tà al tema detentivo, testimoniato anche dalla nascita del Polo universitario penitenzia- rio, voluto dall’Università di Bologna.

Spostando così l’attenzione dalla strada al carcere, si passa da una popolazione fluida e ancora poco conosciuta, ad una estremamente monitorata, presente in maniera stanziale sul territorio e ristretta all’interno della Casa circondariale di Bologna “Rocco D’Ama- to”. Se con carcere o istituto penitenziario si identificano genericamente tutti gli istituti di reclusione, le case circondariali identificano quei particolari istituti dove vengono re- cluse persone condannate a pene inferiori ai cinque anni (o con un residuo di pena infe- riore ai cinque anni) e persone in attesa di giudizio. La capienza regolare della Casa cir- condariale di Bologna è di 492 posti, di cui 5 attualmente non disponibili. Questi, tutta- via, non coincidono con le presenze (il numero di detenuti presenti in struttura in un dato giorno dell’anno), le quali sono ben oltre la capienza massima. I dati ufficiali del Ministero della Giustizia riportano la presenza di circa 754 persone detenute92, con una

tendenza all’incremento di tale cifra, anziché al contenimento come richiesto dalla sen- tenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Aperta nel 1985, la Casa 92 Fonte: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_data_view.wp?liveUid=2014DAPCARD&Nome=

circondariale di Bologna attualmente presenta una sezione semiliberi, una femminile, una sezione giudiziario e una di penale. Inoltre, nei primi mesi del 2017, sarà aperto come sperimentazione nazionale un reparto psichiatrico femminile, nei locali dell’ex nido d’infanzia. Sempre i dati ministeriali descrivono un organico previsto di 552 agenti di polizia penitenziaria e 11 educatori, a fronte di un organico in servizio di 403 agenti di polizia e 6 educatori (nemmeno tutti in servizio). In una situazione simile, il mandato costituzionale rimane quello di rieducare il condannato e l’obbligo di legge quello del reinserimento sociale del detenuto.

Questa, in sintesi, la “mappa” orientativa. Il progetto di ricerca, di seguito illustrato, na- sce come tentativo di partire da queste quantificazioni, per passare a rappresentare un “chi” (chi sono le persone scarcerate che diventano senza dimora?) e, soprattutto, trova- re assieme alle istituzioni operanti a Bologna un “come” agire, “come” sviluppare poli- tiche sociali e pratiche educative, con risorse limitate a disposizione.

È bene dichiarare sin da subito che più aspetti della ricerca, soprattutto quelli riguardanti le azioni realizzate a Bologna per arginare il fenomeno e sostenere coloro che già si tro- vano in quella condizione, rimarranno aperti. Trattandosi di una ricerca-azione, questo progetto di ricerca è pensato e realizzato come un percorso in fieri, ricorsivo, tuttora in divenire, soggetto a continue revisioni nel tempo. Del resto, questo è un esperimento lo- cale, una delle strade percorribili per arginare un fenomeno ben più grande, quello delle fragilità sociali e del rientro nella vita libera di chi le vive, argomento evidenziato anche nel documento finale degli Stati Generali sull’esecuzione penale, il quale invita le istitu- zioni a programmare misure utili ad attenuare l’impatto della scarcerazione.

«È decisivo, infine, analizzare l’importanza della “preparazione” della persona fragile al suo rientro nella vita libera e il “sostegno” nel periodo immediatamente precedente e suc- cessivo alla sua scarcerazione – percorsi, come si è già detto, fino a oggi quasi mai garantiti nonostante la previsione dell’art. 46 o.p. Per mezzo della predisposizione di norme ordina- mentali e regolamentari va prevista la strutturazione di specifiche procedure atte a preparare la persona al rientro, che si attueranno attraverso l’introduzione di reparti destinati ad acco- gliere condannati ed internati in via di dimissione, chiamati a stilare un programma di trat- tamento specifico, ad attivare percorsi interni ed esterni che consentano di sperimentare gradualmente il ritorno nella società. La predisposizione di un protocollo di dimissione che sia in grado di raccogliere dati utili per tracciare i punti di forza e quelli di debolezza delle

biografie di ognuno dei detenuti in dimissione e la sua applicazione sistematica nel periodo precedente alla scarcerazione consentirà di programmare le misure utili per attenuare l’impatto dell’uscita» (Stati Generali sull’esecuzione penale 2016, p. 39).