Tranquillamente seduta in un piccolo salottino di un ristorante, as-sieme a mio figlio e alla moglie, affiancavamo un tavolo a quattro di sole donne. Il tutto è iniziato quando il menù sufficientemente ricco, stupiva il nostro sguardo. Lo stupore vero e proprio veniva dalle quattro signore di una certa età che non smettevano di ridere.
Mio figlio era arrossito non poco, quando una di loro disse:
– Ma dai, di cosa ti lamenti? Hai un buon marito e anche un certo reddito. –
Allora una protesta venne da un’altra donna.
– Davvero, hai ragione Marta. –
– Cosa ne sai tu Valentina, che non ti sei mai sposata?! – – Non vorrete davvero suscitare un dibattito sgradevole? – in-tervenne Lucia.
– Perché volete intervenire su ciò che mi appartiene? – protestò Caterina.
Le conoscevo. Più o meno della mia età e in una città come Fano ci si conosce più o meno tutti. Specie noi del centro storico. Dav-vero singolare il loro discorso sulla libertà dentro e fuori del matri-monio.
Una di loro:
– Sono stata onesta in tutto. Sono stata una brava moglie, una brava madre, ho lavorato per aiutare i figli ad avere una casa. Sarà la vecchiaia, ma mi sento troppo oppressa. Vi lamentate di essere vedove e tu, Valentina, di non esserti mai sposata. –
– Adesso cosa vai a pescare!? –
– Marta non dimenticare che tu sei rimasta baffona, pelosa, mistica nei primi otto mesi della tua vedovanza. Guardati adesso:
leggings, rossetto, taglio all’ultima moda, abiti firmati. Non ti ho mai visto tanto pimpante. E poi, se non sbaglio, mi hanno
riferi-to che non disdegni la discoteca. E alla tua età di sessant’anni! – Marta era arrossita, per nulla offesa, unendosi alle altre in una sfilza di risate.
“Io non capivo, ero stupefatta di quel loro strano dialogo.”
– Come non detto – disse Caterina che riprese la sua tesi.
– Noi eravamo quattro figli e mia madre non vedeva l’ora che ce ne andassimo fuori di casa. Per forza, lei e mio padre non erano mai soli. Lui era sempre in giro per lavoro. Lei con la sua attività commerciale. Si alzava presto il mattino e noi dovevamo accudirci da soli. Grazie a mia sorella maggiore, dovevamo passarci persino scarpe e abiti. Questo fino quando giunsero le prime proteste, per-ché nessuno di noi voleva le maglie o i pantaloni dei fratelli. Ora, a distanza di decenni, siamo sistemati, felici, benestanti. Lei la libertà non ha mai saputo cosa fosse. In compenso è morta felice, sapendo-ci tutti a posto. Io sono come lei, amo la libertà e mi sento chiusa, ora che sono in pensione più che mai. –
– Ma se sei sempre in giro con tuo marito nei vostri splendidi viaggi. –
– È vero, ma io mi sento legata. –
– Ma tu non sai cosa significa chiudere la porta la sera, senza che lui sia con te. I figli fanno la loro vita. Ti ritrovi da sola. –
Marta: – Da chi viene la predica. Se hai un compagno di ballo!? – – Cosa significa? Vado a ballare per riempire il vuoto. Il vuoto si può riempire in tanti modi – replicò Caterina.
– So che ti prepari ad una crociera nel Mediterraneo – disse Va-lentina.
– Sì, mio marito mi ha lasciata un’ottima pensione, cerco di go-dermela. –
– L’ho detto Lucia che la vedovanza fa bene! – Allora le risate furono davvero tante.
Noi non sapevamo che pesci pigliare. Le confidenze erano dav-vero delicate, ma venivano formulate con leggerezza. “Il mondo è davvero cambiato” – pensai hanno bevuto – e invece no. Ol-tre a bottiglie di acqua minerale, c’era una brocca di limonata.
Fui interrotta nei miei pensieri da una ultima, quanto mai stra-na, confessione da parte della protagonista di questa incredibile storia, che definirei “chiacchiere di donne”.
– Posso essere sincera? – Iniziò a dire Caterina. – Invidio voi ve-dove. Non vedo l’ora di esserlo. –
Qui partì un’occhiata piena di orrore da parte di mia nuora, piuttosto giovane e impreparata alle scriteriate dichiarazioni di una signora di oltre sessant’anni.
Nel frattempo la confessione prendeva sempre più tono.
– Desidero la libertà per sbagliare, fare bene, scegliere a modo mio, dire sì, dire no, alzarmi quando mi pare, decidere di accende-re o teneaccende-re spento il televisoaccende-re, di viveaccende-re i miei silenzi e i miei caos, libera di vivere! –
Le risate, ora, erano finite. A me rimaneva l’amaro in bocca. Io sola, vedova, che, rassegnata alla mancanza del mio sposo, non tro-vavo ancora la vera strada. La solitudine non è bella, tanto meno da desiderare. Il silenzio che ci circondava, mi fece ritornare alla realtà.
Non poteva Caterina che scherzare. La conoscevo bene per sape-re del suo animo nobile. Non ne conoscevo questo volto. Quando improvvisamente:
– Sapete cosa fa il mio amato? –
– Cosa fa? – chiesero in coro le altre tre – Controlla i miei con-ti, sta in silenzio per ore, è egoista, intelligente quanto volete, ma indifferente. –
– Ma vi siete amati, vi amate!?! – Aggiunse Marta, mentre si al-zava per prendere la sua borsa e le giacche appese.
– L’amore, certo c’è, ci sarà fino la fine dei nostri giorni. – Ora non sorridevano, forse avevano esagerato. Caterina alzò lo sguardo su di noi e assieme alle amiche prese la via dell’uscita. Ma una di loro ritornò sui suoi passi.
– Anna, scusaci. Abbiamo scherzato. Ma a volte la verità ha vol-ti imprevisvol-ti. –
– Non preoccuparti – risposi scuotendo il capo – chiacchiere di donne. –