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Lo zio Gianni

Ero seduta in una panchina. Con me mio figlio a chiacchierare mentre la gente transitava lungo la passeggiata, in Sassonia. Ricor-davamo i tempi passati. Era bello averlo accanto a me, ad ammirare quanto si presentava al nostro sguardo, a due passi dal mare. Inevi-tabile ricordare coloro che ci avevano preceduto, che del mare e in mare avevano vissuto.

Davvero uniche e irrepetibili le vigilie di Natale che passavamo da zia Lina e zio Gianni. Lui, un marinaio, che una volta in pen-sione si era messo ad aggiustare le reti da pesca. Gli anni gli impe-divano di andare ancora in mare e così, si era trovato un lavoro per passare il tempo. Aveva un’aria burbera che, da piccola, mi mette-va soggezione. Ma negli anni ne avevo apprezzato l’ironia e l’amore per tutto e per tutti.

Di questo parlavamo con il mio figliolo, quando fummo rag-giunti da un urlo: la squadra di pallavolo, che giocava nella vicina pista, aveva segnato il punto della vittoria. La gente applaudiva e la folla agitava delle particolari bandierine. Ci alzammo per continua-re i ricordi lungo la passeggiata. Si era fatta sera.

– Vai a casa. – dissi.

– È notte. Vi accompagno. –

– No, ho la bicicletta. Salutami tua moglie e un bacio al picco-lino. –

– Va bene, come vuoi. – Mi prese fra le braccia, donandomi il bacio della buonanotte.

Mi avviai verso casa, cercando di focalizzare le immagini, che mi salivano alla mente, ricordandomi le ottime mangiate di pesce che la zia e lo zio ci facevano fare a Natale, ma anche durante

l’an-no, concedendo a mamma uno sconto notevole, specie sul pesce invenduto. Loro hanno sempre avuto un cuore grande. E, davvero, io comprendevo sempre più che l’amore è qualcosa che si ha dentro e che non si può fare a meno di donare.

Il ricordo più caro dello zio: la sigaretta sempre in bocca, appog-giata a destra o a sinistra, come un vero lupo di mare. Devo dire che lo zio Gianni aveva un affetto particolare per me. Diceva che ero la

“mosca bianca” della famiglia, per il mio attaccamento alla Chiesa.

– Nani, mi diceva, – el sio è cuntent, bada fè, prega anca per no’.

(Anna, lo zio è contento, continua, prega anche per noi)

– Ma zio, ci vuole così poco per incontrare Gesù, basta pregare, andare a Messa, confessarsi. –

– Ji en creg in ti pret. (non credo nei preti). – diceva interrom-pendo la mia difesa.

– Ma se sei amico di don Achille! –

– Lu sì che è un pret. (lui si che è un prete) –

– Sono tutti buoni e bravi e la Chiesa l’ha voluta Gesù. – repli-cavo.

Questo nostro dialogare sul sacro e profano avveniva sovente. E tutto finiva con un grande abbraccio.

Ma un giorno accadde qualcosa che mi mise in allarme. Mia cu-gina mi comunicò che lo zio mentre tornava dal mare era stato in-vestito da un’auto.

– No, non è grave, ma ha avuto una forte botta alla gamba, pro-vocando una grave ferita. Per il momento il problema più serio è la circolazione. È una gamba difficile da recuperare, visto la rottura dell’osso e la difficoltà delle arterie di far passare il flusso sanguigno. –

– Capisco – avevo risposto, – pregherò, pregherò per lui. – Ma già mi preoccupavo per la sua anima.

In quei mesi anch’io avevo problemi: mio marito ricoverato al Sant’Orsola di Bologna per una “fistola” (venosa–arteriosa) mal funzionante. Mamma in ospedale a Fano per degli ictus cerebra-li progressivi.

Fu il periodo del silenzio, almeno da parte mia.

Dopo alcuni mesi, lo zio Gianni fu dimesso dall’ospedale di Se-nigallia, per essere trasferito in quello di Fano. Andai a trovarlo.

Appena mi vide, spalancò le braccia e io mi rifugiai in quel petto ancora accogliente e pieno d’amore. La gamba ammalata non aveva un bell’aspetto. La pelle lucida, quasi trasparente, che non promet-teva nulla di buono.

Dentro di me l’ansia di doverlo riportare a Gesù. Come potevo fare, cosa potevo dire, dovevo ancora aspettare?

– Fra qualche giorno sarà Natale. Oh, zio, che bei ricordi! Le belle mangiate di pesce, le tombole che non finivano mai, ricordi le tue nipotine ballare l’hula hop? Le recite nell’alcova del conte.

Mentre, a casa tua, le belle discussioni sulla fede con gli occhi di tutti su noi due. So che sei buono, certo che se tu dovessi incontra-re Gesù che ti diincontra-rebbe a proposito dei Sacramenti? Da quanto non ti confessi? –

Ecco c’ero cascata di nuovo. “La lingua batte dove il dente duole!”

Una calda risata e:

– Ci penserò “nepote” (nipote), ci penserò.

– OH zio grazie, grazie. E senza esitazione gli sono volata di nuovo tra le braccia.

Giunta sulla porta mi sono girata. Lui mi guardava, gli occhi lu-cidi, il sorriso appena accennato.

– Ti voglio tanto bene – urlai – ciao e auguri a tutti voi. – rivolta agli altri pazienti che condividevano, con lui, la stanza d’ospedale.

Tremavo tutta, ero emozionata, forse ero andata troppo oltre, ma non potevo pensare allo zio in Purgatorio, lo volevo in Paradi-so. Non mi sono mai sentita tanto ingenua come quella antivigilia di Natale. Ma, desiderare un’anima salva è poi ingenuità?

Finalmente la vigilia era giunta e la zia ci aveva invitato, come sempre, per il cenone, dove ognuno portava qualche cosa, ma il pesce era di esclusiva competenza della zia Lina, eccezionale cuo-ca del brodetto. Non sarebbe stato presente lo zio, né mamma.

Mentre assistevo mamma, mio figlio, giunto a trovare la nonna, mi disse: – Mamma, prima di salire da nonna, sono andato a

trova-re lo zio Gianni. Vuole che passi da lui, deve parlarti. –

– Va bene. Rimani qui. Faccio subito. – Rivolta a mamma, dissi:

– Non preoccuparti. Cinque minuti e sono da te. –

Fu così che scesi le scale come un fulmine. Ero in ansia. Qual-cosa di nuovo per la sua gamba malata? Il cuore mi batteva forte forte. Trafelata, entrai.

– Buona sera a tutti, ciao zio. – Il suo sorriso era splendido, non meno del mio, che nasceva da un turbinio appena passato.

– Ciao “nepote”… domani è Natale.

– Sì, lo so. –

– Devo farti una confessione. – – Non a me, al prete – dissi concitata.

Lì, partì una bella risata da marinaio, da uomo felice, da “zione”.

– Sai, ho fatto quello che mi hai detto. –

La speranza era dipinta sul mio volto. Il sorriso spalancato sul suo volto.

– Ieri ho chiamato il frate, mi sono confessato, questa mattina ho ricevuto la Santa Comunione. E davvero non mi sono mai sen-tito così felice. Posso dirti una cosa “mosca bianca”? Vedi, “nepo-te”, devo dirti che nella mia vita ho fatto bene tre cose: ho sposato la donna che ho, tre bei figli e ho realizzato il sogno di questa mia

“nepote” che mi vuole salvo a tutti i costi. –

Qui non ho retto, sono scoppiata in lacrime. La sua mano sulla mia testa cercava di consolarmi. Ero nella gioia più vera, ero nel do-lore più pesante. Non riuscivo a consolarmi anche perché al piano di sopra mamma aspettava la fine, non imminente, così speravo. Lo zio aveva scelto di aprire il cuore a Gesù. Anche lui grave, Romual-do, mio marito, tornato a casa dalla dialisi mi aspettava.

Ci sono momenti nella vita che vorresti cancellare, io non l’ho mai fatto, perché l’amore ha sempre vinto su tutto. Una speranza si era accesa nel mio cuore dolorante e pesante come un macigno che solo la tenerezza di quella mano posata sul mio capo mi stava donando.