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La chiesa e il pantheon civile

Alessandro Breccia

3. La chiesa e il pantheon civile

Nei primi anni post-unitari il patrimonio monumentale di Lucca conobbe infine un ulteriore importante intervento che fece da cassa di risonanza al mutamento di regime. Di nuovo era interessata piaz- za San Michele in Foro, centro nevralgico della città; in questo caso, però, a essere alterati non erano gli equilibri spaziali della piazza, ma il suo fulcro, l’imponente basilica di fondazione altomedievale.

Subito dopo l’avvento al potere di Ricasoli presero avvio i lavori di restauro della cadente facciata, da tempo ritenuti indispensabili e per i quali nell’ottobre 1858 il Granduca aveva finalmente conces- so un apposito finanziamento triennale. Alla direzione artistica dei lavori venne confermato l’architetto Giuseppe Pardini, il docente dell’Accademia di Belle Arti che in passato era stato strettamente legato a Carlo Lodovico, per il quale aveva agito da vero e proprio «artista-funzionario»20. Fornendo una personale interpretazione dei canoni del restauro stilistico, il direttore artistico dichiarò pubblica- mente le proprie intenzioni nei riguardi della facciata di San Michele in una lettera, più volte ricordata dagli studiosi, inviata nell’agosto 1861 a «La Gazzetta di Lucca» a suo dire per dissuadere ogni tenta- tivo di «censura» del suo operato. Nella lettera rivendicò l’esigenza di rispettare «il concetto di Guidetto» da Como, il maestro che ave- va ideato la facciata, anche inserendo elementi figurativi del tutto inediti e apparentemente inusuali. Guardando alle protomi umane ormai irriconoscibili perché troppo danneggiate, Pardini sosteneva che molte di esse raffigurassero personaggi dell’epoca in cui era stata costruita la basilica; una simile interpretazione autorizzava, a suo avviso, a realizzare nuove sculture in sostituzione di quelle amma- lorate che riproducessero «soggetti storici contemporanei»21. Di qui la scelta, rivendicata fino alla conclusione del restauro, di «seguire l’esempio degli Antichi coll’effigiarvi alcuni di quegli uomini storici 20 Un’accurata ricostruzione della figura di Pardini in G. Morolli, I classicismi

di Giuseppe Pardini, Firenze, Alinea, 1990.

21 Cfr. R. Silva, Metodi di restauro architettonico nel Settecento e nell’Ottocento:

la chiesa di San Michele in Foro a Lucca, «Prospettiva», V, 1979, 19, pp. 52-

che hanno contribuito all’avanzamento del progresso sociale e nazio- nale fortemente sentito nella presente età»22. Nel secondo e nel terzo ordine di archetti della facciata sarebbe così comparso un variegato pantheon di personalità, non solo coeve e in gran parte estranee alla storia religiosa, dotato di un’eclatante finalità pedagogica.

Figure 3 e 4. Giuseppe Pardini, Teste chimeriche (dettagli), Lucca, S. Michele in Foro, 1861-1866

Nel medesimo ordine, il secondo, avrebbero trovato spazio Dante, Castruccio Castracani, Napoleone Bonaparte, Carlo Alberto, Bettino Ricasoli, Cavour, Napoleone III, Vittorio Emanuele (fig. 3) e, infine, Pio IX (fig. 4). Il restauro, che correttamente Pardini defi- nì piuttosto «ricostruzione», a sottolineare il peso delle integrazioni apportate23, incastonò la narrazione dell’unificazione nella facciata

22 G. Pardini, Enumerazione dei principali lavori eseguiti alla facciata di S.

Michele in Foro dal 1861 al 1866, documento riprodotto in C. Dal Canto, Il restauro della basilica di San Michele in Foro nelle «Carte Pardini», 1859- 1866, Lucca, Pacini Fazzi, 2007, p. 133.

dell’antica basilica, finendo per annoverare pure il pontefice. Forse suggerendo una forzata pacificazione in nome del trionfo sabaudo, oppure semplicemente indulgendo nei confronti della fervente de- vozione tipica dei lucchesi.

L’iconostasi risorgimentale che avrebbe punteggiato gli archivolti e le architravi della facciata non restituiva in maniera plastica solo il compiersi ineluttabile di un cambio di regime politico, ma cele- brava un vero e proprio salto di civiltà, proclamato dalla sequenza introdotta nell’ordine superiore, il terzo, ove sarebbero stati inseriti Galileo, Alessandro Volta, Cristoforo Colombo, Fuller e Gutenberg. Alle personalità religiose e ai condottieri originariamente presenti nella facciata sarebbero state dunque affiancate alcune icone della modernità, della rivoluzione scientifica e del libero pensiero, esal- tate dalle correnti razionaliste e, quantomeno nel caso di Galileo, elevate a numi tutelari addirittura dagli anticlericali più accesi24. San Michele in Foro avrebbe acquistato una nuova veste ‘civica’ in una piazza che già ospitava due simboli ‘secolari’ come Burlamacchi e il palazzo del municipio25.

La radicale, per certi versi stravagante, alterazione dell’aspetto della basilica alimentò negli ambienti cattolici lucchesi inevitabili ac- cuse di profanare il luogo sacro, che videro in prima fila il decano di San Michele, Domenico Dinelli26. La contrarietà del sacerdote noto per le sue posizioni conservatrici27, che pure era «direttore ammini- strativo» dei lavori, non poté che scoraggiare la raccolta di oblazioni, sulle quali l’originaria risoluzione granducale faceva affidamento per integrare lo stanziamento pubblico e così raggiungere la somma ne- 24 In tal senso basti ricordare i saggi ospitati in Galilei e Bruno nell’immaginario

dei movimenti popolari tra Otto e Novecento, a cura di F. Bertolucci, Pisa, BFS,

2001.

25 Lo ha fatto giustamente notare Silva, Metodi di restauro architettonico cit., p. 58.

26 Cfr. Archivio Storico Diocesano di Lucca (d’ora in poi ASDLu), Fondo del Decanato, Ragguaglio delle cose avvenute dal 1858 al 1862, passim. 27 Cfr. Camaiani, Dallo Stato cittadino cit., pp. 470 ss.

cessaria per completare l’opera28. Ne conseguì la sospensione delle attività nei primi giorni del gennaio 1862, senza che la commissione responsabile degli interventi, formata in età granducale e composta in prevalenza da esponenti del clero lucchese, avesse preso decisioni definitive sui menzionati protomi.

Il restauro sarebbe ripreso due anni dopo, quando il governo e le istituzioni amministrative locali di fatto misero ai margini le auto- rità ecclesiastiche nella conduzione dell’opera. Dopo che, tra il set- tembre e l’ottobre 1863, il Consiglio comunale e quello provinciale, entrambi attestati su orientamenti filo-governativi, ebbero stanziato somme che coprivano «la massima parte della spesa», una nota del ministero dell’interno dichiarò ormai superato il decreto grandu- cale dando mandato al prefetto Giuseppe Gadda di modificare la commissione in questione. Il prefetto costituì un nuovo organismo «incaricat[o] della sorveglianza dei lavori», non più presieduto da Dinelli, la cui azione era rigorosamente ripartita tra due sezioni. Alla prima di esse, che coincideva con la precedente commissione ed era come questa presieduta dal decano, spettava esclusivamente «la cura di promuovere nuovi sussidi». La seconda, invece, priva di membri ecclesiastici e composta da Pardini, da due «deputati del Municipio», il conte Pietro Cerù e l’ingegnere Augusto Bandettini, e, infine, dal presidente della Commissione d’incoraggiamento delle Belle Arti, il pittore Sebastiano Onestini, avrebbe avuto la responsabilità di «dirigere, sia artisticamente che amministrativamente, i lavori». A Onestini sarebbe spettata la presidenza di tale sezione29.

Il peso degli enti finanziatori, Comune, provincia e governo na- zionale, si sarebbe fatto sentire, anche perché il Consiglio comu- nale aveva subordinato il proprio contributo all’auspicio che la Commissione fosse «nella maggioranza composta di delegati del 28 Si veda il decreto del ministro degli Affari ecclesiastici, che istituiva la «Commissione collettrice», la quale, allargata al decano e al presidente della Commissione di incoraggiamento delle Belle Arti, era incaricata della «di- rezione amministrativa dei lavori» (Firenze, 12 aprile 1859, documento ora integralmente consultabile anche in Dal Canto, Il restauro cit., p. 162). 29 Verbale della riunione della «Commissione per i ristauri di San Michele in

Comune e della Provincia»30. I residui dubbi circa l’opportunità di trasformare la nuova facciata in un tributo all’avvento del Regno d’Italia si dissolsero durante una seduta della seconda sezione te- nutasi nel settembre 1864, quando il «deputato» del municipio, Bandettini, provò a sostenere in dissenso con Pardini «che quelle teste non vi si sarebbero potute introdurre, seguendo il concetto antico»31. Bandettini, tuttavia, non godeva nemmeno dell’appoggio dell’altro rappresentante municipale, Cerù, uno dei pochi patrizi che aveva manifestato simpatie liberal-moderate32. Il conte fece propria la tesi del direttore artistico, asserendo che «l’espressione d[egli] anti- chi […] fu quella di far trionfare l’idea politica dominante nell’epoca loro». Nella medesima riunione Giuseppe Pardini poteva dunque chiudere il confronto rilanciando con determinazione: «l’adozione sulle testate degli architravi di protomi rappresentanti i ritratti degli uomini più eminenti in politica, i quali contribuiscono coll’opera loro a iniziare e compiere l’odierna nostra civiltà, è senz’altro miglio- re dei ritratti di uomini i quali, dimenticati, rappresentano una idea affatto contraria al civile progresso dell’età moderna»33.

Nel pieno della contrapposizione tra papato e Regno sabaudo, il «civile progresso» faceva la sua apparizione sulla facciata di una basili- ca. Una volta giunto il momento dell’inaugurazione, il 2 marzo 1866, non dovette suonare casuale la scelta di affidare il discorso inaugurale a Niccolò Matas, viste le assonanze con il simbolismo che aveva informa- to il rifacimento di Santa Croce a Firenze, portato a termine da Matas nei medesimi anni34. Nell’epigrafe commemorativa scoperta durante

30 Ibid.

31 Verbale dell’adunanza del 24 settembre 1864, ivi, p. 39.

32 Si veda il rapporto del prefetto di Lucca, Moscheni, inviato a Firenze pochi giorni prima del 27 aprile 1859, in Camaiani, Dallo Stato cittadino cit., pp. 88-92.

33 Cfr. Dal Canto, Il restauro cit., p. 39.

34 Su Santa Croce «chiesa della nazione» ci si limita a rinviare a B. Tobia,

Una cultura per la nuova Italia, in Storia d’Italia, a cura di G. Sabbatucci-V.

Vidotto, Roma-Bari, 1991, vol. II, pp. 495-515. Cenni sull’inaugurazione della facciata di S. Michele in Foro in C. Perini, Ristauri eseguiti dall’ill.mo

la cerimonia e posta all’altezza della seconda loggetta non si guarda- va all’edificio come luogo di fede, ma solamente all’estetica della sua «fronte cadente per vetustà», che «Governo e Provincia | Municipio e cittadini | vollero rinnovata»35. All’autorità religiosa, e alla vocazione spirituale di quel sito, non era riservata alcuna menzione.