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Rinnovata intransigenza e uso politico dell’arte

Alessandro Breccia

4. Rinnovata intransigenza e uso politico dell’arte

Le iniziative volte a erigere nuovi monumenti continuarono negli anni a creare momenti di intensa conflittualità politica, che vedeva- no gli interpreti dell’intransigentismo clericale, per lunghi tratti in maggioranza anche all’interno del Consiglio comunale, contrapporsi ai progetti provenienti da parte liberale e democratica. Liberali e de- mocratici sarebbero stati accomunati dalla disposizione ad arricchire il parco monumentale urbano, la cui solennità era stata accresciuta anche dall’acquisto delle mura da parte dell’istituzione comunale, di fatto avvenuto nel 186636. Mentre Lucca si avviava, gradualmente, a diventare nella sua integrità architettonica una ‘città-monumen- to’, che molti percepivano ancora come la testimonianza tangibile dell’immutata forza di un sistema di valori ereditato dal passato e da concepirsi come immutabile, i paladini della nuova Italia, frutto delle rivolte e delle guerre risorgimentali, avrebbero messo in discus- sione quell’integrità, imponendo all’attenzione popolare nuovi eroi e nuovi ideali di matrice inconfondibilmente laica.

Dopo il primo quinquennio successivo all’Unità, durante il quale il patriziato lucchese di fatto non interferì sull’affermazione elettora- le degli esponenti del liberalismo filo-sabaudo, gli equilibri politico- amministrativi in seno al Consiglio comunale si assestarono sino alla seconda metà degli anni Settanta attorno all’intesa tra i liberali «mo- derati», che si riconoscevano nella linea governativa, e coloro che,

Lucca, Lucca, Tip. Cheli, 1866.

35 Seidel -Silva, Potere delle immagini cit., p. 363.

36 Si veda C. Sodini, La trasformazione in passeggiata delle mura e il loro acqui-

sto dal demanio dello Stato da parte della città di Lucca, in Lucca e le mura. Itinerari del Risorgimento, Lucca, Pacini Fazzi, 2011, pp. 19-61, in part. p. 37

anzitutto, subordinavano l’azione politica al rigoroso rispetto dei dettami della religione cattolica. Gran parte dell’aristocrazia cittadi- na avrebbe sostenuto, direttamente o indirettamente, i candidati che perseguivano tale indirizzo, pur accettando una collaborazione con i filo-governativi che si sostanziava nel conferimento a questi ultimi della carica di sindaco, mentre l’assessorato alla pubblica istruzione era affidato a personalità gradite alla Chiesa locale. Il compromesso conobbe alcune significative, ma isolate, crisi, resistendo sino all’in- circa alla metà degli anni Settanta, quando maturarono alcune im- portanti novità nel panorama politico locale. La presa di Roma, che esasperò le divergenze di vedute in merito alla perdita del potere temporale da parte del papa – ma più in generale sul ruolo dell’isti- tuzione ecclesiastica nella società – diede vigore all’azione delle cor- renti cattoliche più integraliste. Ne derivò la graduale, ma inarre- stabile, affermazione elettorale dei candidati al Consiglio comunale sostenuti dalla decisiva opera di conquista di consensi compiuta dal comitato diocesano dell’Opera dei congressi e dal nuovo arcivescovo Ghilardi, succeduto a monsignor Giulio Arrigoni nel 1875.

Parallelamente, si assistette alla maturazione delle – pur minorita- rie – esperienze di sociabilità democratico-repubblicana e, nel cam- po liberale, ‘progressista’. La ricorrenza del 20 settembre, che – vista la vicinanza nel calendario – si proponeva quasi naturalmente come un controcanto al rituale del Volto santo, diventò subito a Lucca la più sentita celebrazione pubblica sulla quale convergevano simili associazioni. Il 20 settembre 1876, quasi a rivendicare un’accresciuta agibilità politica, la Società dei reduci delle patrie battaglie, l’Asso- ciazione progressista e l’Associazione monarchico costituzionale pro- mossero una manifestazione per le strade della città, che terminò dinanzi alla statua di Francesco Burlamacchi, assurta ormai ad altare pubblico del laicismo e dell’anticlericalismo. Monsignor Ghilardi re- agì con sdegno: dopo aver vanamente preteso che il prefetto vietasse un corteo indetto in occasione di una ricorrenza gradita al governo, ordinò di recitare in alcune chiese preghiere riparatrici «per espiare la vergogna di quella festa»37.

Era solo la vigilia di una stagione durante la quale il tema dell’uti- lizzo della simbologia monumentale, rimasto silente per alcuni anni tranne nel caso del cenotafio a Matilde di Canossa del 187238, tor- nò a rappresentare un sentito terreno di scontro. Quasi in contem- poranea, due iniziative di matrice differente, il tributo al defunto Vittorio Emanuele II e la costruzione di un monumento funebre in onore del garibaldino Tito Strocchi, avrebbero provocato la reazione del Consiglio comunale, sempre più dominato da elementi del cat- tolicesimo oltranzista.

La morte del sovrano, avvenuta il 9 gennaio 1878, indusse su- bito la Società operaia locale a promuovere la costituzione di un comitato incaricato di reperire i fondi necessari per l’erezione del monumento in suo onore. A presiederlo sarebbe stato direttamente il prefetto Bianchi, ma il prestigio istituzionale della sua carica, e quello personale di molti membri, quali i deputati Mordini e Del Carlo, il senatore Carrara, gli assessori Guerra e Pucci, lo storico dell’arte Enrico Ridolfi e altre eminenti personalità del partito mo- narchico, non bastarono a garantire un adeguato afflusso di dona- zioni. La raccolta di finanziamenti procedette in maniera assai fa- ticosa, e la sostanziale freddezza dimostrata dai potenziali donatori nei confronti dell’impresa celebrativa diede coraggio agli ambienti clericali, propensi a contenere entro margini angusti la consacrazio- ne pubblica della memoria di colui che aveva segnato la fine dello stato della Chiesa39.

s.d. ma settembre 1876, in ASLu, Prefettura-Archivio di Gabinetto, b. 24. 38 La lunga e contastata storia del cenotafio collocato nella chiesa di San

Giovanni si concluse solo sotto il regime fascista, desideroso di poter mostra- re le proprie capacità conciliatrici. Per una sua ricostruzione sia sufficiente rimandare a Seidel-Silva, Potere delle immagini, immagini del potere cit., pp. 366-369.

39 Per una ricostruzione dettagliata della tormentata storia del monumento a Vittorio Emanuele si veda la puntuale ricostruzione effettuata da Cristina Micheletti, dalla quale sono tratte molte informazioni qui riportate (C. Micheletti, Il monumento conteso. Lotta politica e celebrazione nazionale a

Lucca (1878-1885). Tesi di laurea, relatore prof. P. Pezzino, Università di

Le difficoltà incontrate fecero affiorare all’interno del comitato posizioni favorevoli ad una soluzione più rapida, perché poco di- spendiosa, ma in tono minore, che consisteva nella realizzazione di un busto di bronzo, da ospitarsi nella loggia del palazzo pretorio, tra- sformata in un museo intitolato a Vittorio Emanuele. La conseguen- te rinuncia all’opzione più consona all’importanza del personaggio, la statua in campo aperto, spinse il giornale clericale «Il Fedele» a sostenere con entusiasmo l’idea, ma al contempo fu alla base del- le molteplici obiezioni sollevate in seno all’organismo. Dopo alcuni mesi di vibrante discussione interna, che richiese la costituzione di un’apposita commissione di esperti, l’ipotesi del museo venne defi- nitivamente accantonata sul finire del 187940.

Solo nella primavera del 1880 il monumento tornò all’ordine del giorno del Consiglio comunale, ormai quasi completamente sotto il controllo dei clericali intransigenti. Il dibattito del 23 aprile 1880 avvenne in seguito ad una richiesta ufficiale del comitato, che invi- tava il Comune ad individuare il luogo che avrebbe ospitato la sta- tua, considerando tale indicazione una condizione preliminare per procedere alla selezione dello scultore. La decisione – com’è intuibile – era di cruciale importanza nella disputa sul rilievo da attribuire all’opera. La relazione preparatoria stesa dal consigliere Domenico Martini su incarico della giunta poggiò sull’assunto – già di per sé si- gnificativo – che Lucca risultava sprovvista di spazi aperti idonei allo scopo; questa valutazione spingeva il relatore a caldeggiare la colloca- zione della statua «o nel mezzo al giardino che è dietro al Caffè delle mura; o alla sommità della scesa grande, davanti al caffè»41. In quel modo, si poteva dedurre, il monarca sarebbe stato tenuto lontano dai luoghi della devozione e ospitato dalla cornice perimetrale delle mura, in un contesto forse reso più ‘borghese’ e meno austero dalla presenza del caffè, del passeggio e del traffico delle vetture. Alla con- clusione della seduta, il Consiglio prese comunque ancora tempo, 40 M. Chiarlo, Il monumento a Vittorio Emanuele II, in Lucca e le mura cit., pp.

155-172: 157.

41 Cfr. Archivio storico Comune di Lucca (d’ora in poi ASCLu), Protocollo generale, a. 1880, n. 2307.

disattendendo la richiesta del comitato: ogni decisione sul sito veni- va subordinata alla valutazione delle dimensioni della statua42.

I sostenitori del monumento si dovettero adeguare alla delibe- razione: il 28 ottobre seguente venne pubblicato un bando di con- corso, destinato agli «scultori della provincia», che formalizzava la disponibilità di 18.000 lire per la realizzazione dell’opera43. La com- missione valutatrice avrebbe proclamato vincitore il modello propo- sto da Augusto Passaglia (fig. 5). Meno ‘battagliero’ rispetto ad altre proposte in concorso, il Vittorio Emanuele di Passaglia risultava av- volto da un’aura tranquillizzante, descritto com’era dalla commis- sione in una «posizione maestosa quanto calma», e privo di elmo. La posa non presentava dettagli inusuali: la mano sinistra poggiava sull’elsa della spada, mentre le carte tenute nella mano destra forse simboleggiavano lo Statuto albertino.

Figura 5. Augusto Passaglia, Monumento a Vittorio Emanuele II, Lucca, 1885

42 ASCLu, Deliberazioni del Consiglio municipale, a. 1880, n. 68.

43 Cfr. Comitato per un monumento da erigersi in Lucca a S. M. Vittorio Emanuele

II Primo Re d’Italia. Programma di concorso, «La Provincia di Lucca», X, 1880,

Il linguaggio figurativo del vincitore, entrato nello studio di Giovanni Duprè nel 1862, quindi nel pieno dello slancio creativo suscitato dalla nascita del Regno d’Italia, si collocava fedelmente en- tro i canoni stilistici che informavano la ‘visione politica’ dell’arte caldeggiata dai liberali. Un’‘interpretazione autentica’ di quella cifra stilistica sarebbe stata fornita qualche anno dopo, nel 1897, dinanzi all’Accademia lucchese di Scienze, Lettere ed Arti dal già menziona- to Enrico Del Carlo, che sin dall’avvento della Sinistra storica aveva condiviso molte delle evoluzioni compiute dal liberalismo ‘progres- sista’. Nell’orazione, Passaglia veniva elevato a beniamino di una for- ma espressiva che rispettava «le giuste ragioni dell’arte in relazione co’ soggetti e con lo spirito de’ tempi», «rifugge[ndo] tanto dall’idea-

lismo accademico quanto dal verismo plebeo» e sottraendosi alla sem-

pre più ricorrente dicotomia tra «gretto misticismo [e] sconfortante materialismo». L’artista lucchese assurgeva a perfetto interprete del paradigma artistico celebrato da Del Carlo, poiché elevava a propria musa ispiratrice l’«Umanità», suprema manifestazione del divino44.

La produzione scultorea pubblica di Augusto Passaglia sarebbe stata dominata da opere intrise di rimandi alla cultura e all’epica nazionale nella declinazione più gradita al gruppo dirigente al po- tere, basti pensare al Boccaccio di Certaldo, del 1879, al Francesco Carrara del Palazzo ducale di Lucca, del 1891, ai bozzetti di Rossini, Machiavelli, Capponi, Sella, Vasari, Leopardi e pure di Guerrazzi. Fu pure tra gli autori di una delle principali dimostrazioni del filone di ‘arte pubblica’ esaltato da Del Carlo, i bassorilievi per Santa Maria del Fiore di Firenze.