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Il piano Poggi: un’indispensabile premessa

Sheyla Moron

2. Una città da reinventare

2.1. Il piano Poggi: un’indispensabile premessa

«La Nazione» del 7 febbraio 1865 pubblica il primo articolo che illustra il progetto «indispensabile per le mutate condizioni della no- stra città». Vi si legge che Firenze deve fare un lungo cammino prima di «agguagliare» talune delle altre realtà urbane in ciò che attiene alla capacità di soddisfare ai bisogni del «viver moderno»7. Il 22 novem-

5 Le piazze e parte dei monumenti sono fruibili online sul sito www.palazzo- spinelli.org/architetture/progetto.asp, a cura di C. Paolini.

6 Cfr. M. Giuffrè (a cura di), L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, mo-

numenti e città. 1750-1939, Milano, Skira, 2007, p. 330 e F. Tiberi, Il paesag- gio nell’opera di Giuseppe Poggi per Firenze capitale, Firenze, Edifir, 2015.

7 L’ingrandimento di Firenze, «La Nazione», 7 febbraio 1865; I viali di circon-

bre dell’anno precedente è stato conferito ufficialmente l’incarico a Giuseppe Poggi di redigere il «piano d’ingrandimento per Firenze capitale»8 (evento definito anche da Ricasoli come «una grande sven- tura»). A fronte di questo incarico, si apre un contenzioso fra gli stu- diosi e gli artisti di Torino e quelli del capoluogo toscano, che non si limita solo ai membri della Commissione conservatrice delle Belle Arti e Monumenti di Firenze. Diego Martelli, Antonio Ciseri, Ulisse Gambi e Giovanni Duprè (fra gli altri) lamentano che la loro autorità non sia di fatto riconosciuta dagli uomini mandati dal Piemonte sa- baudo, accusati di ristrutturare gli edifici della città senza un’adeguata attenzione per il patrimonio storico-artistico9. È quest’aspro confronto a mettere in risalto la prima grande incongruenza fra la capitale politi- ca (Torino, e poi Roma) e Firenze che fatica a non pensarsi comunque e sempre come capitale, a sua volta. Prova che la città continua a esse- re orgogliosamente legata al suo passato; passato ‘espunto’ non senza qualche esitazione tanto che il patriziato dei grandi proprietari terrieri, che permane alla sua guida per molti anni, è stato piuttosto incerto circa l’adesione al nuovo Regno (nella speranza di uno Stato toscano indipendente, legato solo federativamente al Regno sabaudo)10.

Dopo l’Unità, la parte più ampia della compagine politica to- scana è rappresentata da quei liberali moderati che hanno forma- to il «più vivace e consapevole ceto dirigente impostosi negli anni seguenti alla Restaurazione granducale, nelle accalorate discussioni dell’Accademia dei Georgofili e nell’ambito della cultura cosmopo- lita dell’Antologia»11, ma che stenta a dialogare con il ceto politico degli altri ex-Stati.

8 Cfr. F. Borsi, L’architettura dell’Unità d’Italia, Firenze, Le Monnier, 1966. 9 Cfr. O. Niglio, Gli Uffizi vasariani e le trasformazioni per Firenze capitale,

1865-1871, in http://www.arteantica.eu/articoli-pdf/uffizi-firenze-capitale.

pdf , 2011, consultato il 16/1/2015.

10 P.L. Ballini, Ricasoli e gli ‘unitari’, in S. Rogari (a cura di), La Toscana dal

governo provvisorio al Regno d’Italia. Il plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860,

Firenze, Polistampa, 2011, pp. 27-54.

11 R. P. Coppini, I liberali toscani, in P.L. Ballini (a cura di), Lotta politica ed élites

amministrative a Firenze, 1861-1869, Firenze, Polistampa, 2014 («Quaderni

Si spiega alla luce di questo contesto la permanenza al loro posto delle statue dei granduchi anche dopo il cambiamento di status della Toscana ritenuta in fondo, ‘un modello’ da mantenere con il massimo della continuità nella transizione fra il Granducato e il nuovo Stato.

Già nel settembre 1859 Leopoldo Galeotti istruisce, infatti, così Giuseppe Massari:

Ora una sola cosa ti raccomando perché la inculchi costà. Usino alla Toscana ogni sorta di riguardi, accarezzino Firenze, onde non abbia a rimpiangere la Corte granducale: pensino che la Toscana non può essere trattata come Biella e Cuneo: si ricordino che è un paese di vecchia civiltà e di tradizioni politiche [...]. Rispettino la suscettibilità: ammirino le nostre leggi che sul serio valgono più delle loro12.

La tradizione dei moderati (di gran lunga la più influente e duratura nella storia anche della penisola) rimane a lungo il sostrato politico e culturale anche nella Toscana post-unitaria13. Dopo il 1861, i percorsi di elaborazione e di trasmissione della pedagogia patriottica devono quindi confrontarsi, nella regione e - a maggior ragione - a Firenze, con l’esistenza di realtà locali strutturate intorno a nuclei di valori e di cul- ture fortemente radicati nel territorio14. È indicativo che le didascalie pubblicate su una pianta della città nell’aprile del 1865 propongano una visione di Firenze capitale che prevede monumenti statuari sia a Beccaria che ai Mille, al Re come a Michelangelo, accanto alle colon- ne dedicate alla memoria dell’indipendenza italiana, alla battaglia di S. Martino e alle province del Regno e a un ponte progettato in memoria di Carlo Alberto, e dove ovviamente spiccano le assenze dovute a ‘con- tingenze politiche’, e i riconoscimenti a Garibaldi e a Mazzini15.

12 R. Ciampini (a cura di), I toscani del ’59. Carteggi inediti di Cosimo Ridolfi,

Ubaldino Peruzzi, Leopoldo Galeotti, Vincenzo Salvagnoli, Giuseppe Massari, Camillo Cavour, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1959, p. 106.

13 G. Mori (a cura di), Le regioni dall’Unità d’Italia a oggi. La Toscana, Torino, Einaudi, 1986, pp. 96-97.

14 M. Baioni, Introduzione, in Id. (a cura di), I volti della città. Politica, simboli,

rituali ad Arezzo in età contemporanea, Arezzo, Le Balze, 2012, p. 6.

Intanto, benché il Re abbia firmato un decreto che autorizza un au- mento di 555.855 lire del fondo dei sette milioni, sancito dalla legge dell’11 dicembre 186416 per il trasferimento dei ministeri a Firenze, la situazione resta grave e l’emergenza casa per i fiorentini che vengono spostati dal centro rimane talmente impellente che si devono costruire persino delle «casette di legno» e di ferro17 (comunque insufficienti)18 per cercare di ospitare i nuovi concittadini. Tra il 1865 e il 1888 Firenze passa da 150 a 180 mila abitanti mentre transita dallo status di capitale del Granducato, a capitale di un’Italia senza Roma e poi, dal 1876, a capitale di una Destra storica ormai sconfitta a livello nazionale19: nel- la prima fase i monumenti ritenuti di pubblico interesse sono pagati dal Comune mentre dopo il 1871 questo succede raramente (e non sempre il Municipio riesce – o vuole – mantenere le sue promesse).