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Ricasoli e Peruzzi: i due sindaci ‘consorti’

Sheyla Moron

5. Firenze, i toscani e l’Italia: 1898-

5.1. Ricasoli e Peruzzi: i due sindaci ‘consorti’

Il 22 settembre 1859, Cosimo Ridolfi scriveva a Ubaldino Peruzzi: Ieri vi fu un servizio funebre in S.ta Croce per Manin; al monumento di Torino piglierà parte il Municipio di Firenze. Decreteremo due statue equestri all’Imperatore e al Re da porsi sulla gran piazza dell’Indipendenza, già Maria Antonietta.111

108 Dino, Le feste di Firenze, «L’Illustrazione italiana», 28 settembre 1890, p. 199.

109 Ivi, p. 196.

110 Ora in Vasić Vatovec, Tre monumenti scultorei per le piazze fiorentine nel

tardo Ottocento cit., p. 54.

111 Ciampini (a cura di), I toscani del ‘59. Carteggi inediti di Cosimo Ridolfi,

Nel 1898, proprio in quella piazza è posto, invece, il monumento al più famoso dei due corrispondenti, collocato di fronte a quello di Ricasoli, inaugurato pochi giorni dopo quello consacrato a Ridolfi in piazza Santo Spirito. Tutti e tre i personaggi sono pilastri del circuito di potere della ‘consorteria’ toscana: uno è il successore di Cavour, l’altro il suo Ministro dei Lavori pubblici e poi Sindaco di Firenze, mentre il terzo è il grande notabile e senatore del Regno112.

L’intera piazza di cui scrive Ridolfi sembra racchiudere il pensiero espresso nel 1909 da Isidoro Del Lungo in occasione dell’inaugu- razione del Museo cittadino del Risorgimento, quando dopo aver sostenuto che «Firenze e la Toscana sono l’asilo e l’oasi benefica dei liberali di tutta l’Italia», individua nell’arte scultorea, «dell’amor pa- trio ministra efficace e alimentatrice dei generosi spiriti liberali»113, il mezzo più efficace per dare forma visuale al primato della Toscana sul moderatismo italiano.

Piazza Indipendenza, dove si fronteggiano simbolicamente i due cugini Ricasoli e Peruzzi114, diventa così il luogo privilegiato della celebrazione dell’élite politica toscana postrisorgimentale. Ma, in realtà, i due esponenti della Destra storica, uniti in unico ricono- scimento, sono collocati uno di fronte all’altro a evidenziare la non sovrapponibilità dei loro percorsi politici.

Nel 1880, in seguito alla decisione del Comune di tributare «i meritati onori» a Ricasoli (morto in quello stesso anno e già gon- faloniere di Firenze nel 1848), si costituisce un comitato sotto la presidenza del sindaco di Firenze, Tommaso Corsini, composto da Luigi Guglielmo Cambray Digny, Filippo Torrigiani, Isidoro Del Lungo stesso (che poi entra anche nella commissione per l’omaggio a Peruzzi) e Pasquale Villari. Il comitato può contare sull’apporto 112 A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente italiana, 1859-1876,

Firenze, Olschki, 1965, pp. 64, 71.

113 I. Del Lungo, Nella inaugurazione del Museo Nazionale del Risorgimento

in Santa Maria Novella. 15 giugno 1919, Edizione a cura del Comando del

Corpo d’armata di Firenze, Firenze, Tipografia S. Davite, 1909, p. 7. 114 M. Manfredi, Peruzzi, Ubaldino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 82,

finanziario di qualche fondo del Municipio che promette di paga- re il basamento del monumento, ma deve affidarsi soprattutto alle sottoscrizioni che raggiungono una quota sufficiente solo nel 1891, quando è fatta richiesta di uno spazio nel piazzale degli Uffizi per collocarvi la statua. Sulla questione viene chiamata a pronunciarsi la Commissione conservatrice dei Monumenti che esprime il suo parere sfavorevole: in primo luogo perché «trova disdicevole la pre- minenza estetica e onorifica che il monumento verrebbe ad assumere rispetto alle statue degli uomini illustri della Toscana»115. Preso atto della risposta negativa, espressa anche per motivi politici, il comitato promotore, in subordine, chiede la possibilità di collocare la statua in piazza di Santa Maria Novella. La situazione rimane in stallo fino a quando non si costituisce, nel 1892, anche il comitato per la statua a Peruzzi, presieduto dal conte senatore Cambray Digny, coetaneo e amico intimo dell’ex Sindaco di Firenze116.

Soltanto il 13 novembre 1894 la Giunta comunale, sindaco Piero Torrigiani, scioglie definitivamente il nodo del sito in cui collocare entrambe le statue, scegliendo piazza Indipendenza: «il luogo più adatto e conveniente ad onorare i due uomini, i quali l’uno dopo l’altro e pur sempre uniti e concordi sorsero per spontaneo consen- so della coscienza pubblica a rappresentare il nuovo ordinamento politico della patria»117. Per le due statue, diverse per tempistica,

iter, spese e fattura si sceglie quindi un’unica ubicazione allo scopo

di sintetizzare un intero ciclo politico attenuando, se non cancel- lando, i contrasti fra i due grandi notabili del moderatismo toscano (fig. 7).

Per il monumento a Ricasoli è bandito un concorso pubblico tra- mite gara di bozzetti. Alla fine, la scelta della commissione giudica- trice ricade su Augusto Rivalta, che conclude la sua opera fra il 1896 115 Ivi, p. 54.

116 R. Romanelli, Cambray Digny, Luigi Guglielmo de, in http://www.treccani. it/enciclopedia/cambray-digny-luigi-guglielmo-de_%28Dizionario-Biogra- fico%29/ (consultato il 20/2/2015).

117 Cit. in Vasić Vatovec, Tre monumenti scultorei per le piazze fiorentine nel

e il 1898. Lo statista è raffigurato nell’atto di presentare a Vittorio Emanuele II il plebiscito della Toscana del marzo 1860, mentre i due bassorilievi posti sui lati del basamento sono dedicati rispetti- vamente ancora alla presentazione corale dell’esito dei «liberi voti» toscani e alla visita del Re al castello di Brolio (quasi un omaggio, da pari a pari, tra un nobile piemontese e un patrizio toscano)118. La rappresentazione pervasiva dell’atto di presentazione dei risultati del plebiscito è la sintesi visuale della declinazione bonapartista del liberalismo moderato toscano, come Del Lungo ribadisce dieci anni dopo:

L’Italia, la quale nel plebiscito toscano, ultima espressione di quel Pacifico irresistibile rivolgimento, che fu opera concorde di tutta la cittadinanza nostra, dandosi la mano ben altri patrizi da quelli del 1731, i Ricasoli, i Peruzzi [...] e Giuseppe Dolfi, popolano nobilissimo, in cotesto plebiscito ebbe l’Italia la pietra angolare sulla quale è stato costruito il saldo edifizio della nostra unità119.

Pur essendo stato allievo di Duprè e uno dei più apprezzati scul- tori presenti in città, Rivalta e la sua opera ricevono pochi apprezza- menti dall’opinione pubblica liberale monarchica. Una delle critiche più corrosive alla statua è quella di un residente della piazza, l’av- vocato Guido Nobili, considerato una sorta di Vamba ‘borghese’ e membro altresì del comitato per il monumento a Peruzzi, che nelle sue Memorie lontane canzona la posa di Ricasoli: «sintesi degli scherzi crudeli che si possono fare al ricordo di un galantuomo»120. In realtà, le opere di Rivalta sono giudicate «più vive e spregiudicate» di quelle di molti scultori del tempo121, come gli riconosce anche la «Nuova

118 Sulla pervasività dell’immaginario plebiscitario nell’Italia unita, cfr. G.L. Fruci, Le plébiscite, une passion italienne (1797-1946), in www.college-de- france.fr/site/pierre-rosanvallon/seminar-2014-03-26-10h00.htr.

119 Del Lungo, Nella inaugurazione del Museo Nazionale del Risorgimento in

Santa Maria Novella cit., pp. 8- 9.

120 G. Nobili, Memorie lontane, in Narratori toscani dell’Ottocento, Novara, Utet, 2013.

Antologia», che ricorda che «i monumenti servono a mantenere la gloria di un popolo, quando non sono innalzati dall’adulazione ai potenti, ma dalla riconoscenza ai virtuosi»122.

La scelta dello scultore non è peraltro stata scevra da polemiche fin dall’inizio: Rivalta è, infatti, accusato di avere ‘infranto le regole’ cercando di accreditarsi presso Cambray Digny in virtù del suo pas- sato di artista combattente nella Seconda guerra di indipendenza, durante la quale era stato anche ferito123.

Il percorso del monumento a Peruzzi, morto nel 1891, risulta ancora più accidentato rispetto a quello di Ricasoli, dal momento che va incontro alle lamentele del Circolo degli artisti circa la scelta fatta di non mettere a bando pubblico la committenza, ma di circo- scriverla solo agli otto artisti (fra i quali Rivalta, Raffaello Romanelli, Cesare ed Emilio Zocchi) che si sono mostrati precedentemente in- teressati alla realizzazione della scultura.

Alla fine la statua è affidata a Romanelli, allievo di Rivalta e fi- glio d’arte, nonché uno dei più noti a livello internazionale fra gli scultori italiani del tempo. Membro del comitato promotore per il monumento da lui poi eseguito, acclude al bozzetto una nota in cui proclama che, pur essendosi ispirato a un maggior realismo nella figura, è sua intenzione «secondare un indirizzo moderno» inteso a «ottenere linee maggiormente decorative»124.

La statua di Peruzzi presenta nel basamento in granito quattro for- melle che riproducono rispettivamente il suo viaggio a Innsbruck, in qualità di capitano della Guardia civica, per riportare in patria i pri- gionieri feriti di Curtatone e Montanara, l’annuncio ai fiorentini della partenza dal Granduca, la comunicazione della presa di Porta Pia e l’inaugurazione del calco del David. Dei quattro bassorilievi che com- pletano l’opera è soprattutto il quarto a porre i maggiori problemi allo scultore che propone, al posto di una scena ritraente la storia antica

Vallecchi, 1957, p. 286.

122 «Nuova Antologia», 1898, p. 684.

123 Vicario, Gli scultori italiani: dal neoclassicismo al liberty cit., pp. 524-525. 124 E. Godoli, Arredo e decoro urbano dell’Unità alla Prima guerra mondiale,

della famiglia Peruzzi, un episodio della sindacatura, cioè la cerimonia per la posa della copia del David a piazzale Michelangelo nel 1875.

Romanelli è un artista a lungo attivo nella politica cittadina, tan- to che nel 1907 cerca di ricostituire l’alleanza tra cattolici e mode- rati contro i socialisti che stanno dando «la scalata al municipio di Firenze»125. Non è un caso quindi che proprio lui sia prescelto per scolpire la statua di Peruzzi, un uomo politico da lui molto am- mirato e difeso anche contro le ricorrenti accuse di rappresentare un ‘simbolo del tradimento’ a seguito della decisione di sfiduciare il governo Minghetti nel 1876 e, più di venti anni prima, per l’aval- lo al trasferimento della capitale da Torino a Firenze, vissuto come un’implicita ammissione di definitiva rinuncia a Roma da parte dei municipalisti torinesi, dei democratici e degli anticlericali, tanto che Peruzzi «era stato costretto ad indossare, quando usciva per strada, una maglia di ferro antipallottole»126.

I due monumenti sono inaugurati il 27 aprile del 1898 da Umberto I e dalla regina Margherita, alla presenza di duemila scolari convocati per cantare inni patriottici127. La prima data d’inaugurazione prevista – quella del giugno del 1897 – è, infatti, spostata nel 1898 dal sindaco Torrigiani e fissata il giorno in cui ricorre la cacciata del Granduca, in concomitanza con le onoranze centenarie a Paolo Toscanelli (antenato di Emilia Toscanelli, sposata a Peruzzi) e ad Amerigo Vespucci. In occa- sione dello svelamento delle statue il «barone Ricasoli-Firidolfi elargisce 5.000 lire ai poveri di Firenze quale attestato di riconoscenza per le ono- ranze rese all’insigne su avo»128, sottolineando plasticamente la continui- tà dell’élite fiorentina e del suo paternalismo verso le classi popolari. 125 L. Piccioli, I ‘popolari’ a Palazzo Vecchio. Amministrazione, politica e lotte

sociali a Firenze dal 1907 al 1910, Firenze, Olschki, 1989, p. 33.

126 A. Salvestrini, I moderati toscani nel periodo della Destra al potere, in G. Pansini (a cura di), La Toscana nell’Italia unita, Empoli, Unione Regionale delle Prov. toscane, Tip. Caparrini, 1962, p. 63.

127 A. Gotti, Ubaldino Peruzzi e Giovanni Ricasoli, «Nuova Antologia», 16 apri- le 1898.

128 I monumenti a Ricasoli e Peruzzi, «L’Illustrazione italiana», 8 maggio 1898, p. 330.

Durante l’inaugurazione Cambray Digny ricorda il senso più vero della cerimonia rivolgendosi al sovrano:

Tutta questa popolazione è venuta da ogni parte della Toscana e acclamando Voi e gli uomini che queste statue ricordano conferma solennemente il plebiscito del 1859 [...] col quale i padri Suoi chiusero la Storia della Civile Toscana e ne confusero ormai le sorti con quelle dell’Italia e della Vostra gloriosa Dinastia129.

Cambray Digny propone questa interpretazione della festa me- moriale proprio mentre il governo di Rudinì ripropone febbrilmente alla Camera il problema degli aumenti del dazio sul grano (forie- ri del carovita), proclamando come solo nel potere monarchico e nel ridimensionamento delle funzioni parlamentari, sulla scia del

Torniamo allo Statuto di Sidney Sonnino, sia possibile governare la

nuova nazione.

In quell’occasione Renato Fucini scrive alla vedova di Peruzzi che non c’è neppure bisogno di sottolineare che per l’evento si è scelta la data della ricorrenza legata alla cacciata Leopoldo II in quanto anche la piazza che dapprima era dedicata alla principessa Maria Antonia di Borbone, moglie del Granduca, e poi significativamente intitolata all’Indipendenza nazionale, è il plastico anello di congiunzione fra il passato e il presente politico della città130. È infatti attorno ad essa che si trova il quartiere di Barbano realizzato nel 1844-1855, il primo degli interventi ottocenteschi nelle zone rimaste libere dentro le mu- ra131. L’attenzione a questo quartiere e a quello delle Cascine (nato in

129 Sen. Cambray Digny, Discorso pronunziato il 27 aprile 1898 alla presenza delle

LL. MM. il Re e la Regina per la inaugurazione delle statue di Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi, Firenze, estr. da «La Nazione», 1898, p. 12.

130 Un carteggio di fine secolo: Renato Fucini-Emilia Peruzzi, 1871-1899, Firenze, Fup, 2006, p. 139. Cfr. G. Spadolini, Firenze fra ’800 e ’900: da Porta Pia

all’età giolittiana, Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze, 1983, p. 135.

131 Cfr. firenze-online.com/visitare/informazioni-firenze.php?id=43#.U7bVoz9ywiE (consultato il 21/7/2014) e G. Corsani, Il nuovo quartiere di Barbano presso

il Forte di S. Giovanni Battista a Firenze, 1834-1859, «Storia dell’Urbanistica.

parallelo) segnala il passaggio verso una nuova politica urbana per i borghesi (fino ad allora non particolarmente incentivati nelle loro scel- te abitative), e rivela il tentativo del granducato di «estromettere la no- biltà dalla sfera statale»132. Un intento evidentemente non raggiunto, dal momento che quelle stesse famiglie aristocratiche continuano non solo a governare, ma anche a (rap)presentarsi come ‘padri della nuova patria’ e a dispensare riconoscimenti anche a borghesi «cooperatori nell’opera patriottica da loro iniziata»133 come Enrico Poggi e Adriano Mari, ai quali sono dedicate delle lapidi in quello stesso 1898.

Alla fine dei festeggiamenti fiorentini, Ugo Pesci può scrivere cir- ca il nuovo assetto urbanistico del centro della città:

Da Filippo Strozzi a Manfredo Fanti, con la piazza dell’Indipendenza fra mezzo, v’è tutta la storia della rigenerazione d’Italia. L’ultor si fece aspettare tre secoli e mezzo; ma poi comparve, e suo figlio ha inaugurato ieri l’altro i monumenti dei principali cooperatori che la Toscana ha dato al risorgimento italiano134.

Pochi giorni dopo le giornate di celebrazione dell’orgoglio mode- rato, la Toscana, e in particolar modo Firenze, sono scosse da una serie di gravi moti popolari. Nel capoluogo la situazione è peggiorata dal rifiuto opposto dagli esercenti alla richiesta del sindaco Torrigiani di calmierare i prezzi del pane. Il 5 maggio alcuni muratori disoccupati che chiedono di essere assunti presso alcuni cantieri manifestano a Rifredi; e quando la loro protesta arriva in centro, provoca due mor- ti fra piazza Vittorio Emanuele II e via de’ Calzaioli135. La categoria degli edili fiorentini è in prima linea nelle agitazioni; la situazione di disoccupazione di questi lavoratori, resa endemica dalla fine di Firenze capitale e dalla bancarotta del bilancio comunale, costituisce la rappre- 132 Kroll, La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del

Risorgimento cit., p. 426.

133 U. Pesci, I centenarii fiorentini di Amerigo Vespucci e Paolo Toscanelli, «L’Illustrazione italiana», 24 aprile 1898, p. 287.

134 U. Pesci, Le feste di Firenze, «L’Illustrazione italiana», 1° maggio 1898, p. 309. 135 Pinzani, Il ’98 in Toscana cit., pp. 103-136.

sentazione sociale dei limiti di una classe dirigente che ha dedicato la prima parte del 1898 alla sua celebrazione di marmo e di bronzo. 5.2. Il ‘georgofilo’ Ridolfi

Figura 8. Cartolina illustrata Firenze. piazza Santo Spirito col monumento

a Cosimo Ridolfi, fine XIX secolo (Collezione privata)

Il monumento di Cosimo Ridolfi, opera di Raffaello Romanelli, si trova in piazza Santo Spirito e viene inaugurato il 4 marzo del 1898 (fig. 8). Ridolfi, morto nel 1865, è stato molto di più dell’«ottimo maestro» di «discipline agrarie» ricordato nell’epigrafe,136 ma sono gli aderenti al Consiglio agrario a promuovere (a trentatré anni dalla scomparsa) il monumento al «cooperatore dell’indipendenza politica [della Toscana] e della sua trasformazione agraria». L’idea dell’omaggio nasce nel 1887 quando la direzione del Comizio agrario accoglie la proposta di «farsi iniziatrice di una sottoscrizione per erigere in Santa Croce un modesto monumento»137. Come molte altre, la statua co- nosce un movimentato iter: non potendo essere collocata nel centro della piazza (non si poteva rimuovere la fontana che vi si trova), è 136 Cfr. M. Pignotti, Introduzione, in Carteggio Ridolfi-Galeotti, 1847-1864,

Firenze, Le Monnier, 2001, p. 3.

137 Inaugurazione al monumento a Cosimo Ridolfi. 4 marzo 1898, Firenze, Tip. Minori corrigendi, 1898, p. 8.

collocata in un ‘canto’ e deve attendere dal 1893 (anno in cui è ter- minata) al 1896 per essere esposta; solo dopo due anni è inaugurata alla presenza del sindaco Piero Torrigiani. La statua, portata a termine con una spesa di 1.091.000 lire, risulta alla fine molto costosa e in parte offuscata dal fatto che, dal 1933 in poi, la piazza diventa alberata non permettendone una vista particolarmente felice138. Nella statua di Ridolfi si riconosce l’apice del «concetto di decoro» maturato all’epoca con l’avanzare dei valori borghesi. Anche il vestito del georgofilo (i pantaloni sgualciti, la redingote semiaperta) richiamano la «semplicità dignitosa, che esprime l’impegno umanitario».139