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Laiche consacrazioni e conflitti istituzional

Alessandro Breccia

5. Laiche consacrazioni e conflitti istituzional

Nell’assegnare l’incarico a Passaglia, il comitato fissava perento- riamente «nel settembre 1882» l’inaugurazione del monumento45; in

44 Il discorso, oltre ad essere pubblicato sugli «Atti dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti», venne anche dato alle stampe autonomamente (E. Del Carlo, Della scultura nel secolo XIX e delle opere di Augusto Passaglia, Lucca, Tip. Giusti, 1897; le citazioni sono tratte da pp. 13, 22).

realtà, gli ostacoli da superare erano ancora numerosi, e la program- mata inaugurazione sarebbe avvenuta con ben tre anni di ritardo. Presto, nel luglio 1881, una lettera inviata da Lucca a «La Nazione» avrebbe denunciato che «La parte clericale» stava «fa[cendo] fuoco e fiamme perché questo monumento […] sia collocato in un luogo non troppo conosciuto, quasi fosse un contrabbando punibile colla multa e col carcere». Tuttavia, sempre secondo l’anonimo estensore del testo, anche il «partito ultra (?)», costituito dalle frange demo- cratico-radicali, creava difficoltà «porge[ndo] volentieri la mano ai sostenitori delle idee retrive» in nome della convinta opposizione alla «consorteria» liberal-moderata. Da quella parte politica si sug- geriva una nuova, poco decorosa, collocazione nel prato di porta San Donato, «un angolo della città, cui fanno corona la fabbrica dei tabacchi, quella dell’ospedale, e l’altra più splendida dell’asilo mortuario»46. Anche sul tema del monumento si poteva constatare quella indiretta convergenza tra clericali e «progressisti» che avreb- be costituito una peculiarità di Lucca alla fine degli anni Settanta. Il Consiglio comunale, dopo altri rinvii dettati da un evidente at- teggiamento dilatorio, individuò finalmente il sito nella scesa delle mura nei pressi di Porta S. Pietro solo nell’ottobre 1882, d’accordo con il comitato, escludendo però di poter fornire un contributo fi- nanziario per rendere l’area idonea ad ospitare la statua a causa delle ristrettezze economiche in cui versava l’ente municipale. Il rifiuto provocò una nuova battuta d’arresto nel percorso verso l’erezione del monumento47.

gersi in Lucca a S. M. Vittorio Emanuele II, «La Provincia di Lucca», XI, 1881,

6, p. 1).

46 Lettera firmata «Y», «La Nazione», 12 luglio 1881. L’ultima proposta pro- veniva da Antonio Catelli, che l’aveva sottoposta al comitato il 31 maggio 1881 (ASLu, Comitato pel monumento in Lucca al Re Vittorio Emanuele II, b. 3, Adunanza 31 maggio 1881).

47 L’assenso dell’ente comunale fu accompagnato da pesanti prese di distanze. I potenti consiglieri ultra-clericali Lorenzo Bottini e Martino Bernardini si astennero, mentre nella giunta l’assessore Alessandro Tucci espresse voto con- trario. Alla fine il Consiglio avrebbe approvato l’apposito progetto predispo- sto dal comitato con quindici voti favorevoli, sei contrari e tre astenuti. Cfr.

Mentre la maggioranza anti-sabauda continuava a non agevolare la rapida ed efficace realizzazione dell’omaggio a Vittorio Emanuele II, il progetto di un altro monumento, dedicato ad un protagonista della storia garibaldina, repubblicana e anticlericale, Tito Strocchi, accendeva un nuovo conflitto politico48. A differenza delle vicende fin qui ricordate, nel caso di Strocchi l’iniziativa non proveniva di- rettamente dalle istituzioni dello Stato, o era da esse patrocinata, ma chiamava a raccolta quel segmento della società lucchese che propu- gnava gli ideali della democrazia e della repubblica spesso esprimen- do un’ostilità senza compromessi nei confronti delle autorità. Fino allora le imprese monumentali erano state finalizzate ad alimentare una liturgia dai confini delimitati con attenzione, come avevano di- mostrato – nella facciata di San Michele in Foro – l’inclusione di Pio IX e l’assenza di Garibaldi.

Già la scomparsa di Strocchi, combattente e cospiratore, avve- nuta nel giugno 1879, aveva alimentato una disputa ricca di risvolti politici, poiché la giunta comunale ne aveva negato la sepoltura all’interno del cimitero urbano, motivando il divieto con l’ateismo del defunto, ritenuto incompatibile con l’assunto che il locale ci- mitero potesse accogliere solo i fedeli cattolici. Secondo le autorità municipali, le salme di coloro che sceglievano il rito civile non po- tevano essere accolte entro quelle mura: non si riconosceva a tutti gli abitanti del Comune il medesimo diritto, in coerenza con una visione che considerava la fede come un imprescindibile pilastro identitario della comunità lucchese, ancora sentita come cristiana, prima che civile. «Finchè sulle cento torri della nostra città si eleverà Signore il Sacrosanto simbolo della Croce, non vi potrà essere legge alcuna che sottragga i liberi pensatori alla loro ‘stranissima anor- malità’», sentenziava «Il Fedele»49. L’inumazione del garibaldino

Chiarlo, Il monumento cit., pp. 161-162.

48 Su Tito Strocchi basti ricordare E. Cecchinato, Camicie rosse. I garibal-

dini dall’Unità alla Grande guerra, Roma, Laterza, 2007, pp. 136 ss. e G.

Macchia, Tito Strocchi: un garibaldino lucchese, a cura di D. Orlandi, Lucca, Istituto storico lucchese, 1979.

sarebbe dunque dovuta avvenire nell’area destinata agli acattolici, situata fuori dalla cinta architettonica principale (fig. 6); i parenti e i sodali di Strocchi denunciarono una simile discriminazione esi- gendo parità di trattamento per tutti cittadini, così come previsto dalla legge nazionale. L’intervento del prefetto Bianchi ne avrebbe accolto l’appello, imponendo al Comune di rispettare il principio di uguaglianza e, nello specifico, la legge che disciplinava il seppel- limento dei defunti.

Due anni dopo, nel giugno 1881, si ripropose la medesima si- tuazione in seguito alla morte del repubblicano Vincenzo Colucci, che richiese un nuovo intervento da parte del rappresentante del governo. In quel caso, però, il Consiglio comunale scelse di rende- re esplicito lo scontro istituzionale tra autorità municipale e gover- nativa, dando il proprio assenso alla proposta della giunta di pre- sentare ricorso al Re contro il provvedimento della prefettura, che aveva imposto di collocare anche Colucci nella «parte nobile» del cimitero50. L’atto provocò una lunga serie di polemiche anche sulla stampa locale, che videro in primo luogo contrapposti «Il Fedele» e la testata liberal-democratica «Il Progresso». Nell’attesa dell’esito del ricorso, lo scontro tra i paladini del principio di laicità dello stato e i custodi dell’imprescindibile matrice cattolica delle forme politiche della convivenza fu ulteriormente rinfocolato da un ulteriore dinie- go opposto dal Comune nel settembre 1882, diretto questa volta ad impedire che un monumento funebre abbellisse la tomba di Tito Strocchi (fig. 6). Il comitato per la sua realizzazione, attivo sin dal 1879, diede seguito con quel progetto alla battaglia ideale condotta al momento della morte di Strocchi. Dopo aver prevalso sul tentati- vo di punire da morto il volontario di Digione discriminandolo per le idee che aveva professato in vita, le organizzazioni che ne esalta- vano la memoria scelsero di andare oltre, dando lustro alla presenza dell’ateo garibaldino all’interno del «camposanto». La giunta reagì con durezza: approfittando del pendente ricorso «relativo alla loca- lità pei sepolcri degli acattolici nel Cimitero Comunale», non auto- 50 Per maggiori dettagli si veda R. Pizzi, Presenze laiche a Lucca nella seconda

rizzò la posa della scultura, tra l’altro programmata nel giorno della breccia di Porta Pia. Il respingimento dell’istanza da parte del mini- stro dell’interno Depretis, avvenuto il 23 settembre 1882, avrebbe indotto il prefetto Bianchi ad intervenire – ancora una volta – per far rispettare coattivamente la legittima pretesa del comitato.

Figura 6. Artemisio Mani, Monumento funebre a Tito Strocchi, Cimitero urbano di Lucca, 1883

L’11 marzo 1883, all’indomani dell’anniversario mazziniano, av- venne l’inaugurazione. L’opera, realizzata da Artemisio Mani, raffi- gurava un tronco di piramide sormontato da un vaso funerario dal quale scendeva una ghirlanda di fiori; il corpo della piramide ospita- va un medaglione con il ritratto di Strocchi in divisa garibaldina alla sua base venne posta un’epigrafe composta da Giosuè Carducci, il cui coinvolgimento comprovava l’ampia attenzione suscitata dal ca- so51. Avevano partecipato al finanziamento del monumento funebre

51 La lapide così recita: «Se fortemente sentire | È da Romani | Onorate, o cit- tadini, la tomba | di | Tito Strocchi | Morto a trentatrè anni | il XII giugno MDCCCLXXIX | Nobili cose pensò | Degne scrisse | Combattè valoroso | Nel Trentino, nell’agro romano | E il XXIII genn MDCCCLXX a Digione |

la Società dei reduci delle patrie battaglie, la Fratellanza artigiana, la loggia massonica «F. Burlamacchi», ma anche facoltosi emigrati residenti a San Paolo del Brasile e a San Francisco52. La cerimonia fu un nuovo importante momento di visibilità pubblica per la galas- sia democratica lucchese, impegnata a costruirsi autonomi spazi di agibilità politica. Oltre alle società già citate, furono presenti l’Asso- ciazione progressista, la Società «Giuseppe Mazzini», l’Associazione «Mentana», il Circolo repubblicano lucchese, il circolo socialista, il Club alpino, la Società di ginnastica e alcune delegazioni provenien- ti da altre città53.

Quando la sentita vicenda del monumento funebre si stava per concludere con un’affermazione dei suoi sostenitori, grazie al de- terminante intervento dell’autorità statale, tornò a riaccendersi la contesa circa il tributo monumentale a Vittorio Emanuele. Il relati- vo comitato tornò a riunirsi – dopo una lunga pausa – nel febbraio 1883, invitando lo scultore Passaglia a realizzare entro nove mesi il monumento. Contemporaneamente, tornò a pronunciarsi affinché l’istituzione comunale si facesse carico delle spese per l’adeguamento dell’area delle mura che avrebbe dovuto accoglierlo. La giunta, per tutta risposta, bocciò nuovamente l’invito, «visti gli impegni econo- mici gravissimi già presi dal Comune», mentre il Consiglio comu- nale sospese per l’ennesima volta ogni deliberazione in merito. Non mancò, tuttavia, chi ancora provava a mettere in discussione l’in- dividuazione del sito: l’influente marchese Lorenzo Bottini, figura

Nulla chiese e nulla ebbe nel mondo | Se non tarda pietà | I parenti e gli amici | Auspice | La Società dei Reduci delle Patrie battaglie | Posero».

52 Cfr. Resoconto del Comitato pel monumento a Tito Strocchi, «Il Progresso», VIII, 1883, 13, p. 2. Cfr. anche Pizzi, Presenze laiche cit., p. 141.

53 Cfr. Inaugurazione del monumento a Tito Strocchi, «Il Progresso», VIII, 1883, 11, p. 1. Cenni in A. Mancini, Il garibaldino Tito Strocchi, «Studi roma- gnoli», VII, 1956, pp. 165-170: 170. Utili elementi per mettere a fuoco la vicenda del monumento funebre in Micheletti, Il monumento cit., pp. 70-75. Sul tema si veda anche il recente E. Profeti, Le memorie epigrafiche

e monumentali di Tito Strocchi in provincia di Lucca, «Documenti e studi»,

emergente dell’integralismo cattolico54, intervenne sottolineando di non voler considerare come acquisita la collocazione sulla scesa pres- so Porta San Pietro55. L’insistito temporeggiare del municipio fece aumentare le fibrillazioni nel campo liberale. Il 5 maggio 1883 su «Il Progresso» comparve una lettera anonima nella quale si chiedeva al comitato di assumere un atteggiamento più determinato di fronte alla gravità della situazione, perché «sarebbe [stato] uno sconcio se il simulacro del primo Re d’Italia, i lucchesi per non sapere dove collo- carlo convenientemente lo chiudessero in un magazzino alla mercé de’ topi e de’ ragnateli»56. A luglio, entro lo stesso organismo pro- motore si levarono alcune voci che attaccavano frontalmente l’istitu- zione municipale: «Il Municipio nolente o volente deve fare i lavori alla scesa», dichiarò il membro Carlo Agostini, «altrimenti mostra chiaro che […] non vuole assolutamente che nella nostra città s’in- nalzi la Statua di colui che fu il primo Re d’Italia». La mancanza era ancora più grave perché i riferimenti alle ristrettezze economiche apparivano pretestuosi: «se fosse per concorrere ad una festa religiosa il Comune non aspetterebbe un instante ancorché dovesse sacrificare una somma dell’erario comunale», concludeva Agostini57. Nelle set- timane successive la perdurante situazione di stallo non venne però scalfita. Al di là delle differenze di vedute di carattere tecnico o circa la tenuta delle finanze municipali, risultava fin troppo chiaro che la controversia fosse di natura eminentemente politica. Sarebbe stata perciò una crisi politica a determinare la soluzione di continuità ne- cessaria a vincere le resistenze.

La mancata partecipazione della giunta municipale all’organizza- 54 Su Bottini sia sufficiente rimandare all’apposita voce del Dizionario biogra- fico degli italiani curata da Mirena Bernardini Stanghellini (M. Bernardini Stanghellini, Lorenzo Bottini, in Dizionario Biografico degli Italiani - d’ora in poi DBI -, XIII, 1971, ad vocem).

55 Cfr. Chiarlo, Il monumento cit., pp. 163-164.

56 La lettera, a firma «Enne», comparve sul numero del 5 maggio 1883 («Il Progresso», VIII, 1883,18).

57 Agostini intervenne nell’adunanza del 17 luglio 1883 (cfr. ASLu, Comitato

zione del «pellegrinaggio nazionale» sulla tomba di Vittorio Emanuele, dimostrazione di risentito disinteresse verso la prima grande mobili- tazione collettiva organizzata dalle istituzioni su scala sovra-locale in celebrazione dello Stato unitario, fece balenare il rischio che Lucca rimanesse pericolosamente isolata nel suo rifiuto di collaborare con il potere statale. Ne derivò – nel dicembre 1883 – la caduta della giunta, che premiò, seppur in via temporanea, i liberali «moderati»58. La que- stione del monumento diventò di colpo una priorità per il successivo esecutivo, guidato dal sindaco Achille Pucci. Questi ebbe la meglio sulle obiezioni di provenienza clericale, sempre attestate sul rifiuto di qualunque aggravio finanziario per le finanze comunali, e su quelle espresse dai «progressisti», spostatisi sull’inadeguatezza del sito, una discesa troppo ripida destinata a giardino pubblico. In quest’ultimo caso non si trattava di argomentazioni prive di fondamento: la giunta non si sarebbe dimostrata insensibile alle sollecitazioni provenienti dal consigliere Basilio Gianni e da vari articoli de «Il Progresso», di- rette a far notare come quella composita cornice avrebbe indebolito la dignità regale della figura rappresentata.

Nel giugno seguente, il Consiglio si fece carico dei lavori di risi- stemazione dell’area, delegando l’ufficio tecnico comunale di elabo- rare, di concerto con Passaglia, un progetto di ristrutturazione della discesa presso porta San Pietro. Si diffuse la convinzione che fosse indispensabile creare uno spazio del tutto sgombro e pianeggiante, all’interno del quale la statua potesse adeguatamente campeggiare; la demolizione del «caffè delle mura», e la sua ricostruzione in posizio- ne più arretrata sul baluardo, avrebbe consentito di raggiungere lo scopo, oltre ad essere meno dispendiosa di altre. Il progetto in que- stione venne approvato dal Consiglio il 25 gennaio 1885, e i lavori si conclusero in tempo perché la cerimonia d’inaugurazione si potesse svolgere il 20 settembre dello stesso anno.

Ottenuto il risultato dopo lunghi e pesanti sforzi, i sostenitori più convinti del monumento cercarono di ampliare la portata peda- gogica dell’evento per «il popolo», rintracciando un unico comune 58 Per una ricostruzione più articolata si rinvia ancora a Micheletti, Il monu-

destino nella «storia leggendaria […] che viene mantenuta viva dalle patriottiche commemorazioni e dai monumenti innalzati dai mag- giori». Riproponendo con rinnovata energia la saga civile che univa dimensione locale e nazionale fatta propria dalle autorità fin dalla caduta del Granducato, si tornava a declamare il nesso finalistico che univa Francesco Burlamacchi, Vittorio Emanuele e l’inesorabile perdita del potere politico dei papi59. L’organizzazione del rituale, tuttavia, si conformò rigidamente all’abituale protocollo predisposto dalle autorità del regno, secondo il quale in piazza si sarebbe esibita solo quella parte della comunità locale che godeva della legittima- zione statale. A sfilare in corteo sarebbero state, seguendo un preciso ordine gerarchico, le società militari, le società operaie, artigiane e di mutuo soccorso, gli istituti scolastici e di educazione, le «associazioni politiche ed umanitarie». Si configurò una manifestazione pubblica nella quale erano assai limitati i richiami alle forme di sociabilità pe- culiari della comunità, senza un sensibile coinvolgimento dell’élite aristocratica locale, e soprattutto nella quale al «popolo», la massa indistinta dei cittadini, era riservato il ruolo passivo di spettatore, fisicamente separato dalla cerimonia60.