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Le crisi: dal 1898 al fascismo

Sheyla Moron

2. Una città da reinventare

2.3. Le crisi: dal 1898 al fascismo

Le altre due tappe che segnano la ‘marcia’ dei monumenti cittadi- ni sono il 1898 (in coincidenza con la crisi di fine secolo) e gli anni Trenta del Novecento. Nel 1898 s’inaugurano molti dei monumen- ti già programmati, negli anni Trenta questi monumenti sono fatti segno di spostamenti e/o cambiamenti che il fascismo porta nelle città.

Il 1898 è l’anno in cui Firenze si segnala per i moti popolari e la palese e profonda frattura politica fra le sue classi meno agiate, la classe dirigente locale e il governo nazionale. Si cerca una via di uscita guardando alla monarchia che incarnando la nazione unita è ritenuta capace di ricomporre il consenso intorno all’Italia (esempio plastico è lo scoprimento alla presenza dei Reali dei monumenti di Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi in piazza Indipendenza). D’altra parte, le elezioni amministrative del giugno 1899 segnalano le prime difficoltà all’interno dello schieramento liberale-monarchico che, in realtà si ricompone solo nel 1902, all’«insegna della continuità nel- la gestione dei tradizionali centri di potere» con l’allontanamento dall’orizzonte politico di qualsiasi dialogo con il PSI (da parte anche dei repubblicani e liberali progressisti)31 e l’affermazione determi- nante del voto cattolico32.

La svolta di fine secolo e la trasformazione dell’Italia e della Toscana negli ultimi decenni dell’Ottocento logorano le basi stesse della storica supremazia del ristretto gruppo sociale di patrizi (a cui 30 B. Taverni, Il municipio che cambia, in Ballini (a cura di), Lotta politica ed

élites amministrative a Firenze cit.,p. 200.

31 L. Piccioli, Alcune note sui gruppi sociali e correnti liberali antimoderate a

Firenze dalla fine del secolo al 1904, «Rassegna Storica Toscana», gennaio-

giugno 1990, 1, pp. 95, 121 e cfr. A. Gori. Tra patria e campanile. Ritualità

civili e culture politiche a Firenze in età giolittiana, Milano, FrancoAngeli,

2014.

32 Cfr. P.L. Ballini, Il movimento cattolico a Firenze, 1900-1919, Roma, Cinque Lune, 1969.

è stato associato il passaggio a ‘capitale unitaria’) sulla società civile, anche se «l’indubbia influenza di cui continuano a godere i nobili e i ‘consorti’ fiorentini sopravvive fino al fascismo»33.

Negli anni Trenta del Novecento la città è parzialmente ‘ripensa- ta’ e riplasmata secondo un modulo invalso in molti luoghi della pe- nisola. In effetti, lo spazio urbano non è secondario nella riflessione politica e culturale fascista che lavora sia per lasciare una propria im- pronta, che per ‘forgiare’ l’italiano nuovo. In particolar modo il re- gime mussoliniano riprende e incrementa il filone culturale risalente al tentativo di rafforzamento identitario attraverso la memoria dei veri o presunti fasti medievali e rinascimentali: Firenze rappresenta un campo di tensione fra la capacità di tenuta della dimensione di sfarzo del passato e la nuova idea d’Italia34.

Se gli anni del risanamento di Poggi sono da considerare i più stravolgenti per l’urbanistica della città, gli anni Trenta sono l’altro termine della cronologia che investe anche i monumenti di cui ci occupiamo, essendo gli anni in cui il regime fascista rimette mano al disegno di Firenze per renderla scenograficamente più adatta al nuo- vo corso politico. In questo periodo, oltre a prevedere la costruzio- ne di nuovi luoghi simbolo per il potere, si adattano, infatti, quelli esistenti a nuovi usi toponomastici e simbolici. Non è casuale che nel gennaio del 1930 venga fondato l’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) che raccoglie per molti anni un’élite di professionisti collegati al PNF che lavora su questi temi35.

Un punto di svolta per Firenze può essere considerato in questo contesto il 14 giugno 1931, quando su «Il Bargello. Settimanale del- la Federazione provinciale fascista fiorentina», Alessandro Pavolini, 33 Cfr. M. Palla, Firenze nel regime fascista, 1929-1934, Firenze, Olschki, 1978; T. Kroll, La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del

Risorgimento, Firenze, Olschki, 2005.

34 In particolare modo per Firenze cfr. M. Palla, Il fascismo di Alessandro

Pavolini, in P. Gori Savellini (a cura di), Firenze nella cultura italiana,

Impruneta, Festina Lente, 1990, pp. 122-125.

35 Cfr. G. Tilocca, Lezioni di urbanistica, in http://www.itgdevilla.it/ Dipartimenti/Costruzioni/prof_Tilocca/UrbanisticaLezioni_GT.pdf. (con- sultato il 18/2/2015).

direttore e federale del Fascio scrive, commentando la mostra di boz- zetti dei piani regolatori dall’Unità in poi, e indica nella piana a ovest della città la «direttrice naturale» dello sviluppo urbano di Firenze36. Anche il critico d’arte e giornalista Ugo Ojetti, nella prolusione all’inaugurazione della Scuola Superiore di Architettura nel 1931, sottolinea l’importanza del recupero della tradizione, «ripulita dalle cattive interpretazioni archeologiche ottocentesche» auspicando che la riflessione sul passato diventi un’interpretazione della classicità at- traverso una sensibilità rinnovata37.

I monumenti diventano quindi pedine da spostare secondo la loro nuova collocazione all’interno del Pantheon politico. Si sce- glie dunque di rimuovere (anche con la giustificazione di riportarli verso la loro sede naturale) le statue di Daniele Manin e Vittorio Emanuele II, che incarnano troppo la tradizione istituzionale e uf- ficiale (o vissuta come tale) del Risorgimento. Si delineano così tre gruppi di monumenti: quelli dell’Italia risorgimentale ‘piemontese’ (Fanti, Manin, Vittorio Emanuele II), quelli del Risorgimento di cui il fascismo si sente continuatore (l’obelisco per Caduti, Garibaldi - più o meno ‘istituzionale’ - , Teano e Mentana), quelli legati a una tradizione ‘locale’ con respiro nazionale che non si può e non si vuole spezzare (Ridolfi, Peruzzi, Ricasoli) e quelli del Risorgimento ‘scomodo’ per tutti perché non collocabile nel solco più visibile delle scelte successive né dell’Italia liberale né dell’Italia fascista (Dolfi e Mazzini). Si annullano così le vicende temporali che vedono sorgere per primi i monumenti che vogliono essere inclusivi di ogni sorta di nuance risorgimentale e che vengono deposti per primi (l’obeli- sco ai Caduti di Pini e Fanti, ma anche Garibaldi e Manin), seguiti dal gruppo che celebra la monarchia (Vittorio Emanuele II e solo più avanti Teano) o cerca di legare il ‘locale’ al ‘nazionale’ ponendo l’accento sul primo (Ricasoli, Ridolfi e Peruzzi), ma omettendo per lungo tempo la memoria e la tradizione legata a Mazzini, ritenuto sin troppo ‘divisivo’.

36 G. Corsani-M. Bini, La facoltà di architettura, Firenze, Fup, 2007, p. XVII.

3. La primissima memoria ‘onnicomprensiva’ e celebrativa