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5. La città e le sue residenzialità: il contributo dell’Urbanistica

5.1 Le circostanze attuali

Superare le paure per poi giungere alla sicurezza. A quelle sicurezze che si sono via via perdute.

Sembra lo slogan che in qualche modo ha accompagnato le precedenti riflessioni. E l’Urbanistica come si pone in questo senso? Potrebbe prestare concreto soccorso all’odierna realtà e, invece, pare proprio non sia così. Bauman suggerisce che ormai si cerca quasi un “riparo nel vaso di Pandora”114

. La vita urbana sembra davvero caratterizzata da quella paura collettiva così ben presentata dal filosofo contemporaneo Virilio, dove si cerca e si ricerca affannosamente sicurezza. Ma spesso lo si fa in modo sbagliato e, proprio per questo, non la si trova.

Tutto, pubblicità comprese, sfruttano le nostre paure. L’Urbanistica, e l’architettura, anche. Sfruttano le paure e le incentivano. La nuova architettura è quella dell’intimidazione: muri, recinzioni, serrature su serrature, veri baluardi difensivi. Separazioni, volute e cercate. Quasi imposte, giorno dopo giorno, senza che ce ne si accorga. Guardie, telecamere. Ovunque e, certamente, non risolutive. Gli esempi offerti sono davvero tanti. Pare che in California vi sia un condominio – “Desert Island” – circondato, per protezione, da un fossato di dieci ettari115

. Case nascoste, ricoperte, mimetizzate per non essere facilmente identificate e avvistate.

Londra viene oggi descritta dall’architetto Richard Rogers “una città politicamente paralizzata, che è sempre più nelle mani dei

114

Bauman Z. (2005), Fiducia e paura della città, Mondadori, Milano, p. 39.

115

costruttori”.116Tutto lo spazio pubblico è in mano all’economia e a politiche che incentivano le già precarie situazioni nelle quali ci troviamo.

Tutto quello spazio pubblico, lo abbiamo più volte ribadito, si ripercuote infatti – in modo devastante – sullo spazio sociale. Ma come salvaguardarlo se il trend urbano contemporaneo prevede l’istituzione di un’architettura della paura? Solo un ribaltamento, ancora una volta, una vera rivoluzione copernicana, potrebbe garantire (o almeno provarci) nuove piste da seguire.

Filosoficamente questa è più di un’ipotesi di città ideale. È un

progetto da realizzarsi tra i nuovi linguaggi della modernità, per restituire luoghi concreti, oggi così irraggiungibili. Per una realtà che, come si diceva, nasca dalle nostre utopie.

Sociologicamente, l’Urbanistica e l’architettura devono garantire

spazi che crescano con le popolazioni della città e che risultino funzionali, che sappiano intrecciare le dimensioni globali e locali, salvaguardando le diverse identità e assecondando le naturali evoluzioni.

Antropologicamente, devono cercare di modellare un territorio

che vada oltre la mixofobia per promuovere, invece, una partecipata mixofilia. I luoghi pubblici sono oggi molto vulnerabili in questo senso. Ma sono, allo stesso tempo, cruciali. Possono sconfiggere la repulsione che ci affligge con una sana attrattiva tra persone di diverse etnie e culture. Dice, addirittura a questo proposito sempre Bauman, citando a sua volta Nan Ellin

che “facendo assegnamento proprio sulle diversità (di gente, attività,

convinzioni ecc.) per prosperare, gli spazi pubblici rendono possibile integrare (o reintegrare) senza annullare le differenze; anzi esaltandole”.117

L’Urbanistica deve quindi cercare di integrare, nel senso più generale del termine, e non di porre barriere fisiche da sommare a quelle concettuali, già esistenti e spesso invalicabili.

116Reader J. (2004), Cities, W. Heinemann, London, p. 282, in Bauman (2005), Fiducia e

paura della città, Mondadori, Milano, p. 53.

E pedagogicamente, questi sono i primi passi. Noi miriamo molto più in alto, è vero, ma un iniziale contributo potrebbe venire concretamente dall’Urbanistica. Un inizio è quello di sperimentare. E sperimentare proprio in queste differenti direzioni: per avere spazi pubblici funzionali e “sociali”, per arginare la mixofobia, per tendere all’utopia, per offrire una reale sicurezza e per sconfiggere un altro male dei nostri giorni: la noia. Può infatti essere superata. Una città progettata in chiave pedagogica significa anche questo. Giungere alla sicurezza e all’integrazione, significa ridare fervore, voglia di vitalità, vita nei e ai luoghi. Significa offrire un’alternativa alla solitudine, alla tv, al mare massmediale, al consumismo che dilaga e infanga il nostro tempo libero. Vuol dire superare la noia dell’impaurito cittadino moderno che è schiacciato dalle nuove dinamiche urbane e dalle sue particolari – mutevoli - strutture.

Città grandi circondate da dei dintorni “satelliti”118 che mutano fisionomia. Prima vuoti e desolati, abbandonati da cittadini che si spostavano nelle metropoli, intensificandone traffici e riorganizzazioni di ogni tipo. Ora l’inizio di una nuova tendenza, inversa. Uno spostamento opposto, ma che ha l’aria di un decentramento ancora caotico e non organizzato. Spostamenti e ripianificazioni che andrebbero sostenuti da adeguamenti logistici. Urbanistici.

Città, è il caso di dirlo in un momento storico in cui l’attenzione ricade spesso su questo argomento, spesso anche vittime dei rifiuti. Rifiuti che giacciono in aree degradate, in cui dominano infrastrutture progettate e poi abbandonate a metà. Il nuovo decentramento a cui accennavamo potrebbe essere una chiave per cominciare a riprogettare soluzioni e riorganizzare il territorio in modo funzionale, anche in questo senso. Per “riempire” quelle aree periferizzate dette “vuoti urbani, aree di

nessuno, luoghi del caos”119, determinate da un preoccupante

118

Guiducci R. (1990), L’urbanistica dei cittadini,Laterza, Roma-Baricit., p. 19.

fenomeno di disgregazione urbana.

Ma noi abbiamo urbanisticamente, spazialmente, percezione concreta di questi fenomeni? O ci manca – e forse è proprio così – una vera conoscenza della città?

Pare proprio, da differenti studi (ma rifletterci un momento basterà per comprenderlo) che ognuno di noi abbia una percezione della propria città molto limitata, soggettiva e riferita in particolare alla sola personale “cerchia”120 d’azione. Pochi percorsi quotidiani che osserviamo dal nostro punto di vista e molti percorsi sconosciuti mai presi in considerazione. Una visione spesso parziale che ci incatena in una sorta di voluta passività. Ci lamentiamo molto di quel poco che conosciamo, ma non esploriamo quello che è relativamente più distante e che, magari, potrebbe essere funzionale sotto diversi punti di vista. Si tratta di urbanistiche controproducenti e passivizzanti anche in questo senso? Di una mobilità mal studiata? Probabilmente in parte, ma va presa coscienza del fatto che spesso alla concreta acquisizione di una “mappa d’orientamento” non si oppongono solo settori murali, ma mentali e comportamentali. Così riferiscono gli studi di E. Becchi e G. Riva.121 E per arginare questo limite, a mio parere, Urbanistica e Pedagogia dovrebbero concorrere insieme.

Qui l’ulteriore incontro tra le due discipline. Per progettare spazi funzionali, per educare, prima, durante e dopo, alla conoscenza, al rispetto, alla consapevolezza e alla salvaguardia di essi.

Questo avrebbe immediata ricaduta sulla pianificazione/realizzazione di quei luoghi di cui parlavamo, perduti e da ritrovare, nei quali vi possa essere vera reciprocità tra le persone, vera presa di coscienza degli spazi in cui si vive. Sarebbe un primo passo per dare, di rimbalzo, credibilità alla stessa Urbanistica. E per porsi in una consapevole prospettiva di

120

Ibidem, p. 96.

121

pianificazione territoriale, supportata proprio da un’Urbanistica partecipata data da contributi di cittadini che – precedentemente “educati” in questo senso – sappiano dire la loro riguardo la gestione di un bene così importante come il proprio territorio. Un ripensamento per ogni zona e una zona da legare a tutte le altre, integrandole tra esse.

L’urbanista, l’architetto, ha in mano un ampio progetto sociale. E potrebbe addirittura governare una nuova creatività in questo senso.

A questo punto occorre un ulteriore passo indietro: per riprogettare l’oggi va chiarito come l’Urbanistica sia giunta sin qui.

5.2 L’Urbanistica sino ad oggi. Quale l’influenza