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L’Urbanistica sino ad oggi Quale l’influenza dell’economia?

5. La città e le sue residenzialità: il contributo dell’Urbanistica

5.2 L’Urbanistica sino ad oggi Quale l’influenza dell’economia?

La città, parrà ovvio ribadirlo, muta nel tempo. I suoi quartieri, le sue strade, le sue case cambiano fisionomia. E sono i fenomeni sociali a determinare queste trasformazioni strutturali. Sono gli uomini, lo abbiamo visto, a costruire un ordine spaziale. Un ordine spesso rinnovato e determinato dalla competizione, dal desiderio di far proprie zone sempre più vantaggiose, da sfruttare, poi, sotto molti aspetti. Proprio sull’idea di competizione, e sulla relativa organizzazione spaziale, poggiò le sue teorie Burgess, allievo di Park.

Burgess mostrò una città dal carattere concentrico, in cui ogni cerchio rappresentava una zona tipica. Aree che, a suo parere, si irradiano a partire dal centro e che presentano una differente utilizzazione del territorio: questa la sua teoria della aree

concentriche.122

Nella prima area, quella più vicina al centro, vi si trovano i grandi magazzini, le banche, gli alberghi, gli uffici commerciali, gli studi, gli edifici pubblici, la stazione ferroviaria. La zona degli affari, insomma.

La seconda area, invece, detta di transizione, è quella rappresentata da imprese commerciali e da industrie, in origine abitata da persone facoltose e poi sempre più in mano ad immigrati, che vivono in case in affitto. Aree dal degrado rapido che tendono ad assumere le sembianze di veri e propri ghetti. La terza zona, poi, è quella delle abitazioni operaie, date da edifici spesso abitati da persone che hanno abbandonato la seconda area.

Nei cerchi successivi, via via allargandosi verso l’estremità del diagramma, spingendosi nelle aree più lontane dal centro, vi sono le zone residenziali e i quartieri alti. Sino alla zona dei pendolari, data da piccole “città-satellite”.

Si può allora affermare che i processi economici rappresentano la chiave per comprendere come si è strutturata, a livello urbanistico, la città? I processi economici hanno creato, come alcuni sostengono, vere “aree naturali”?123

Altre due teorie sembrano sostenerci in questo senso: la teoria

dei settori e quella dei nuclei multipli.124 La prima, stilata da Hoyt, riprende la teoria delle aree concentriche, ma presentando uno sviluppo che segue una tipologia differente: per settori, appunto. Settori che si estendono, anche in questa prospettiva, dal centro alla periferia. Zone cuneiformi, per questo non necessariamente concentriche, che si sviluppano verso la periferia, a seconda dell’aspetto naturalistico, della geografia, seguendo corsi d’acqua, fiumi, linee ferroviarie, ecc. Ma a seconda, è implicito, soprattutto delle caratteristiche di partenza: livello di bassa o alta rendita territoriale.

La teoria dei nuclei multipli, infine, si basa sugli stessi principi,

123

Termine usato dai sociologi della Scuola di Chicago.

124

ma non vi è più l’ideale di un’estensione, di uno sviluppo che parta, per forza, da un centro. Infatti, secondo i suoi promotori – C. D. Harris e Edward Ullman – in ogni città vi sono “aree-faro”, zone importanti per un aspetto o per l’altro (ma prevalentemente per motivi economici), che influenzano lo sviluppo della zona circostante. Questi sono esempi e modelli nati negli Stati Uniti, ma per certi aspetti, applicabili anche in altri paesi.

Che vi sia una pianta concentrica, infatti, a settori o a nuclei multipli, quello che è certo è che una prima categoria cognitiva sulla quale basarsi e da poter applicare per lo studio della forma della pianta urbana delle città, è sempre stata, fino ai nostri giorni, quella data dal classico binomio “centro-periferia”. Una suddivisione che per lungo tempo ha confermato proprio l’idea di un’organizzazione economica alla base dello sviluppo urbano. Periferia come confine del centro, come margine stesso del centro. Luogo che produce, luogo popolato da fabbriche e capannoni, da quartieri a cui associare spesso un’idea di povertà. Non vi è dubbio che con la globalizzazione, nella società della complessità nella quale ci troviamo, questa antinomia centro/periferia stia assumendo caratteristiche sempre più differenti, sotto la spinta di molteplici trasformazioni determinate da forze economiche, sociali e culturali. Così le dinamiche evolutive della città contemporanea, del suo rapporto centro/periferia, sono molteplici e rappresentate da un doppio processo di declino, dove, paradossalmente, aumentano le relazioni tra diverse città globali, ma non tra il centro e la periferia di una stessa città. La forma economica si ridetermina, rideterminando a sua volta i differenti ruoli territoriali, contribuendo al conseguente cambiamento del rapporto centro/periferia, della forma urbana della città.

Si creano così nuove geografie, dove centro e periferia vanno ridefinendosi, da un lato, ma, dall’altro, vanno anche allontanandosi le une dalle altre. Il centro di molte città è squalificato, è ormai zona morta. Non più certamente motore

socio-economico. Questo motore, infatti, si sposta altrove, magari proprio in zone più periferiche o, meglio, residenziali. Dunque, ancora, la forma urbana si delinea, muta i suoi confini in base agli spostamenti economici e redditizi.

Allora ha davvero ragione Virilio quando più che parlare di zone, di centro o periferia, suggerisce l’idea di un particolare, odierno, modello “nodale” che supera ogni visione “centrale”. Un nuovo modello che va oltre ogni tipologia di zone concentriche, superando l’idea stessa di periferia, verso una sempre maggiore incertezza geomorfologia, locale e mondiale.125

Non distante è Sassen, e forse ancor più categorico per molti aspetti, quando parla di un centro transterritoriale126, dato da terreni di centralità immateriale, dove mancano correlati territoriali.

Molto è sicuramente dovuto al mezzo tecnologico, che a sua volta segue e coordina l’economia. Forse è proprio lui che diventa, eliminando quello fisico, il nuovo centro della città. Non si vede, ma c’è e con questa sua modalità elimina la città come organismo vivente. Solo zone fisiche statiche di per sé. Anti-città senza dimensione comunitaria.

Ma allora, anche l’Urbanistica segue l’organizzazione economica, e la globalizzazione, modellandosi solo su esse? Non potrebbe, viceversa, farsi educativa, ribaltare l’assetto attuale e dirigersi verso una progettazione etica che ridia consapevole forma fisica alle città? Ma una progettazione etica esiste?