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Dall’utopia al non-luogo Dal non-luogo al luogo

2. La città e i suoi orizzonti utopici: il contributo della Filosofia

2.4 Dall’utopia al non-luogo Dal non-luogo al luogo

Non si cerca più un “non luogo”. Noi viviamo già in un “non luogo”. La vera utopia, se questa è l’odierna condizione, ricade così nella ricerca e nella concretizzazione di un luogo. Un luogo fisico, reale, tangibile, nel quale ritrovare spazi, tempi, e addirittura noi stessi.

La Filosofia non lo presenta questo luogo, la Pedagogia vuole trovarlo.

Virilio sottolinea che è diventato inutile anche “partire” perché oggi tutto appare già giunto a destinazione. Tutto è in un non luogo, dove vi è la standardizzazione della vita, dove tutto è veloce, inafferrabile, tale da creare un deserto intorno a noi, dentro di noi. Un vero “crepuscolo dei luoghi”.35

La Pedagogia, però, vuole partire ugualmente alla ricerca di questo luogo.

Deve farlo consapevole della surmodernità36

nella quale si muove, e nella quale rischia di perdersi proprio tra i nonluoghi.37

35Ibidem, pp. 103 e segg. 36

Il termine surmodernità viene adottato da Marc Augè (Augè M.(1993), Nonluoghi.

Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Elèuthera editrice, Seuil) e indica la

dimensione temporale del cittadino di oggi. La surmodernità è una postmodernità caratterizzata da nonluoghi e solitudine. Una nuova condizione temporale in cui vi è assenza di quella spaziale. La surmodernità è il concetto alla base dell’analisi di Augè, si tratta di una nuova modernità che ha sostituito quella precedente del XVIII e XIX secolo per le sue caratteristiche di esasperazione e complicazione della realtà, del tempo e dello spazio. “La surmodernità sarebbe l’effetto combinato di un’accelerazione della storia, di un restringimento dello spazio e di una individualizzazione dei destini”.

37

Da qui in poi useremo il sostantivo “nonluoghi” usato da Marc Augè, poiché ci riferiremo al suo pensiero.

Oggi muta il tempo e la concezione che abbiamo di esso. La percezione e l’uso che ne facciamo. Al tempo sembra mancare, sottolinea Marc Augè, un principio di intelligibilità, ma anche di identità.38 Un cercare noi stessi alla luce di quello che eravamo, ma che non siamo più.

Mentre il tempo, la storia stessa, sembra correre più veloce, tutto cade rapidamente nella dimensione del passato. Gli avvenimenti della nostra epoca accelerano la storia: sono troppi, confusi, inquietanti e – come sottolineavamo precedentemente – dati dal dominio delle ininterrotte informazioni. Questo il tempo dell’odierna surmodernità.

E mentre il tempo scorre in un moto accelerato e inafferrabile, gli spazi, i nostri spazi, mutano altrettanto velocemente. Lo spazio della surmodernità supera, si accavalla, sovrasta l’organizzazione dello spazio esistente.39 Aumentano le immagini degli spazi lontani nel mondo, aumentano le possibilità dei rapidi spostamenti tra essi. Alla sovrabbondanza di avvenimenti, segue una sovrabbondanza di spazi. Di luoghi. Questo lo spazio dell’odierna surmodernità.

E l’individuo? Anche lui incastonato in questa dimensione, ormai alienato alla ricerca di una consapevole riflessività, come può ritrovare la strada tra i nuovi tempi e i nuovi spazi? Tra i

nonluoghi? Un individuo alienato che vive prevalentemente in

città, in un luogo apparentemente definito spazialmente, con una sua storicità, con caratteristiche tangibili, monumenti, nomi di strade, tanti indicatori di una sua presenza, ma sempre più inesorabilmente nonluogo.

Ma cos’è esattamente questo nonluogo? Per Augè è uno “spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico”.40 Spazio prodotto dalla surmodernità e che, allo stesso tempo, la

38

Augè M. (1993), Nonluoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Elèuthera editrice, Seuil, pp. 27 e segg.

39

Ibidem, pp. 35 e segg.

40

rappresenta. Nonluoghi che creano la solitudine. Nonluoghi dati dalle parole, dai nomi. Evocati, immaginati, attraversati velocemente in base all’uso che ne facciamo (autostrade, aeroporti, centri commerciali,…). E lo “spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazionale, ma solitudine e similitudine”.41

Il luogo è allora perso per sempre? No. “Nella realtà concreta del mondo di oggi, i luoghi e gli spazi, i luoghi e i nonluoghi si incastrano, si compenetrano reciprocamente (…) il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequentatore di nonluoghi”.42 Il ritorno ad esso è l’utopia odierna, quella che la Pedagogia si propone di raggiungere, quella almeno a cui tendere.

Ma come potervi concretamente riuscire se questi nonluoghi che popolano la surmodernità, sono caratterizzati da tempi rapidi, da spazi lontani e distanti tra loro, da individui che non si “accostano”, non producono “il sociale” e quindi non organizzano luoghi veri e propri?

Se l’esperienza del nonluogo è prodotta da un’accelerazione della storia unita ad un restringimento del pianeta e dei suoi spazi, che determina spaesamento e solitudine, forse il superamento di questa condizione, il raggiungimento della nuova utopia, può iniziare dalla ricerca di una equa coesistenza tra luoghi e nonluoghi. E questo può nascere solo attraverso un’impegnata progettazione politica.

Di una progettazione politica ben salda ad una tensione utopica parlava già negli anni ’70 Lefebvre.43 Quella studiata dal sociologo – per molti aspetti più un filosofo e per questo mi pare consono citarlo in questo contesto – è una società che deve nascere sulle rovine della città.44 Città, dunque, già in declino, verso la conseguente distruzione dei legami, dei rapporti sociali.

41

Ibidem, p. 95.

42

Ibidem, p. 97.

43

Interessato ad una visione antidogmatica del marxismo, si concentrò sullo studio dell’incidenza del mondo della produzione sull’organizzazione-produzione del tempo, dello spazio e dei rapporti sociali. Riflettendo così, per anni, su case, città, urbanistica.

Ma questi rapporti tra individui, questa società, secondo lui, e secondo noi, può e deve davvero rinascere sulle rovine delle nostre città. Può farlo attraverso una vera e propria teoria della produzione dello spazio, basata sulla riappropriazione individuale e collettiva dello spazio urbano.

Per raggiungere tutto questo la soluzione è quella di restituire al singolo una via alternativa a quella generata dall’alienazione dell’urbanizzazione e farlo dando ad esso la parola, offrendogli la possibilità di una partecipazione locale alle decisioni.

Mostrandosi così sociologo, filosofo e pedagogista, Lefebvre ritiene che l’utopia sia quella di un diritto alla città da poter raggiungere con nuove politiche.

Un diritto alla città che per noi simboleggia la riconquista del luogo. È un’utopia perché, è indubbio, il raggiungimento di ciò comporta costi elevatissimi. Ma non si può non tentare di ridare centralità alla città e al cittadino. Nuova vita ad entrambi. Nuova progettazione.

Un progetto di rivoluzione urbana che ha l’obiettivo di una rivoluzione dei rapporti sociali. Una scienza dell’urbano che si basa e va studiata su quella che lui chiama produzione dello

spazio, ossia una teoria unitaria che saldava insieme tre tipologie

di spazio: fisico, mentale e sociale. Per una trattazione completa delle sue teorie rimandiamo a Lefebvre, “La production de l’espace”. Basti qui sottolineare che per lo studioso “lo spazio è un prodotto sociale”45 dato da continui mutamenti, ma sul quale l’uomo può agire per modellarlo. Può ribaltare l’alienazione che oggi lo contraddistingue. Tutto attraverso una prassi politica che si alimenti nell’utopia. Alla ricerca del luogo.

E“(…) se le nostre utopie sorgono dalla realtà del nostro ambiente non sarà

difficile gettare delle fondamenta al di sotto di esse”.46 La Pedagogia

45

Lefebvre H. (1974), La production de l’espace, Éditions anthropos, Paris, p. 35.

deve sognare con concretezza. Può farlo. E noi lo vogliamo dimostrare.

3. La città e le sue socio-culture: il contributo della