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L’evoluzione della città: prospettive storiche tra variabili in

3. La città e le sue socio-culture: il contributo della Sociologia

3.2 L’evoluzione della città: prospettive storiche tra variabili in

Considerata oggi molto globale e poco ideale, la città è spesso accusata dei mali della società attuale, di una complicità che porta ad alimentarli.

La città è globale, il suo destino stesso appare globale. Addirittura il suo rischiare di perdersi lo è. E cercare una risposta a tutto questo non è compito da poco. Forse chi meglio vi è riuscito in questo nostro secolo è Zigmunt Bauman. In “Fiducia e paura nella città”54

definisce schematicamente e puntualmente cosa si intenda per città globali, quali le dinamiche in cui esse si muovono e dalle quali sono caratterizzate e il destino che segnerà il futuro.

Ma da quando le città possono davvero definirsi globali? Da quando sono entrate a pieno titolo in una nuova fase storica, caratterizzata da capitalismo, sul quale si concentrarono gli studi di Weber, e da “nuovi arrivi”. Siamo nel XX secolo, un secolo di transizioni e che ha deciso di investire totalmente su di un capitalismo sfrenato, concentrando le sue funzioni più avanzate proprio nei grandi centri, nelle grandi aree urbane. Un secolo che, contemporaneamente, ha assistito a spostamenti di intensi flussi di popolazione.

Nuovi arrivi che hanno contribuito a riplasmare e ridefinire il volto e l’anima della città. Un doppio movimento55

, come lo chiama Magatti, che ha determinato frastornanti ripercussioni per

54

Bauman Z. (2005), Fiducia e paura della città, Mondadori, Milano.

55

Magatti M. (2005), Bauman e il destino delle città globali, in Bauman Z. (2005), Fiducia e

chi abita la città contemporanea, per chi ne vive la quotidianità. Una quotidianità che mostra all’osservatore quartieri riqualificati attraverso ingenti investimenti e repentini cambi di panorama provocati da aree urbane abbandonate spesso dagli interventi, ma non dagli uomini, aree in balia del degrado. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri.

È il capitalismo, questo nuovo e feroce capitalismo che lo impone. Sono i nuovi arrivi che sedimentano le condizioni. Ed è la città che fa da scenario quando, invece, dovrebbe essere promotrice, magari creatrice, di una strada alternativa.

Una strada in grado di costruire una via originale alla globalità. Una strada certo non semplice e nemmeno immediata, ma da cercare e poi percorrere proprio perchè opposta a quella della rassegnazione che asseconda dinamiche strutturali rivolte alla divisione, alla separazione di culture differenti, ma anche di generazioni dello stesso colore. La strada della solitudine e della paura diametralmente opposta a quella di una integrazione – nel senso più generale del termine – che sappia farsi sviluppo e reale paradigma d’azione. Impegnata concretamente alla conquista di un orizzonte possibile.

Nel porsi questo obiettivo, occorre però fare un passo indietro e rintracciare le dinamiche interne ed esterne che hanno determinato l’attuale assetto della città, per poi riflettere e lavorare su di esse.

La città risulta un sistema aperto, all’interno del quale dimensione, densità ed eterogeneità variano costantemente, sono in continuo mutamento con notevoli ricadute su chi vi vive. Alla ricerca dell’evoluzione, del mutamento della città, dei come e dei perché, si mosse anni fa, come abbiamo prima accennato, la Scuola di Chicago.

Nel 1938 Luis Wirth pubblicò “L’urbanesimo come modo di vita”56, passato alla storia come uno degli articoli più celebri

56

Hannerz U. (2001), Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bologna, p. 149.

delle scienze sociali, scienze che fino a quel momento avevano considerato le città solo come sistemi chiusi. Secondo Wirth la città ha una forte capacità d’influenza sull’ambiente circostante e gli stili di vita sono determinati dall’intreccio proprio di tre variabili: la dimensione, la densità e l’eterogeneità culturale degli abitanti.

In base alla variabile dimensione della popolazione, potremmo pensare di calcolare e valutare le altre due.

La densità “può essere definita come il rapporto tra popolazione e spazio”57 ed è chiaro, secondo lo studioso, che le ricadute di questa variabile sono differenti, possono produrre effetti di vario genere.

La variabile eterogeneità, invece, indissolubilmente connessa alla dimensione della popolazione urbana, è data da due ragioni principali58: per prima cosa è la città stessa a richiamare eterogeneità dall’esterno. Pensiamo ai nuovi arrivi delle popolazioni straniere. Mentre una seconda ragione“si rifà a Darwin e Durkheim: quando aumenta il numero degli organismi che abitano un dato territorio, si assiste a fenomeni di differenziazione e specializzazione dato che solo così il territorio può sostenere il numero cresciuto di organismi”.59

A suo parere il fenomeno urbano si poteva analizzare attraverso tre angolazioni:

1) struttura politica formata da triplice base: demografica, tecnologica ed ecologica;

2) sistema di organizzazione sociale tripartito in: struttura tipica, rete delle istituzioni e modello delle relazioni sociali;

3) atteggiamenti, idee, personalità.60

Senza addentrarci troppo nel dibattito antropologico dell’epoca, che riprenderemo in seguito, potremmo dire che le riflessioni di Wirth, pur affascinando gli studiosi del tempo, in parte perché contribuirono ad una rottura col pensiero ecologico che

57 Ibidem, p. 159. 58 Ibidem, p. 161. 59 Ibidem, p. 162. 60

dominava tra i sociologi di Chicago, in parte perché rappresentarono analisi ad un livello di astrazione superiore rispetto ad una mera prospettiva etnografica, furono accusate di essere poco uniformi e di delineare un tipo di città sostanzialmente ideale: estesa, densa, eterogenea. Una città, insomma, data da variabili caratterizzate a loro volta da numeri troppo differenti. Variabili difficili da separare e misurare.

Al di là delle critiche, forse quello che prevalentemente interessava a Wirth era comprendere quanto questi fattori determinassero, e determinino ancora oggi, il nostro modo di vivere e di intrecciare relazioni. Quanto, potremmo dire in una prospettiva pedagogica, è dato il nostro essere e divenire

soggetto-persona61 o non esserlo.

Variabili che evolvendosi tra loro hanno determinato l’evoluzione stessa delle città sino ai nostri giorni. È chiaro che le città sono nate e si sono sviluppate tutte in modo differente, e definire un modello generale nel quale iscriverle appare un’opera pressoché impossibile. Ma è altrettanto vero che vi sono dei fili conduttori comuni che hanno caratterizzato le loro trasformazioni, determinando la complessità odierna.

Forse, come suggerisce Hannerz, riappropriandosi delle variabili di Wirth e iscrivendole nel quadro dell’evoluzione, “l’unica forma di eterogeneità correlata alla dimensione e alla densità dell’insediamento che caratterizza la città è la divisione del lavoro, se il termine può essere in questo caso esteso anche alla relazione fra classi lavoratrici e classi agiate”.62

Da qui, a suo parere, prende il via la complessità sociale che, ai massimi livelli, caratterizza i nostri giorni. Le trasformazioni sociali si sarebbero così andate intrecciando alla divisione del lavoro, sviluppando diversità organizzative e conseguenti

archetipi urbani63. Ne possiamo individuare tre: la città del potere (o città di corte), originata dal principio dominante della

61

Frabboni F. (2006), Educare in città, Editori Riuniti, Roma.

62

Bettin G. (1979), I sociologi della città, Il Mulino, Bologna, p. 204.

63

redistribuzione; la città commerciale data dagli scambi di mercato e dallo sviluppo di essi; e, infine, la città industriale, plasmata da una fondamentale trasformazione di ordine tecnologico: l’industrializzazione, appunto.

Quella presentata da Hannerz risulta una vera mappa concettuale dello sviluppo della stessa complessità sociale: organizzazione dello stato, disuguaglianza sociale, sviluppo culturale, progresso/sfruttamento di energia si intrecciano in un tempo e in uno spazio dove tutto si svolge, dove la divisione del lavoro genera una città che, una volta costituitasi, diventa essa stessa catalizzatrice di nuovi processi. Nello stesso spazio. In uno spazio, in un ambiente che determina e determinerà notevole influenza sulla nostra vita sociale: una vera e propria opera

d’arte64. Qui i mutamenti hanno determinato anche l’aspetto relazionale della vita, proprio come le relazioni stesse, in questo circolare e articolato quadro, hanno determinato a loro volta mutamenti. Relazioni che, mentre la città si evolveva e si sviluppava sempre più, giungevano, al contrario, ad una soglia sempre minore di interazione, devolvendosi al limite dei rapporti sociali. Relazioni dal carattere transitorio, per questo anche dette “segmentate”. Volti che scompaiono e che poi ricompaiono in nuovi contesti. E forse, allora, il colpevole è proprio lo spazio, oggi così transitorio, affollato e rumoroso.

La metropoli diviene il paradigma, nello spazio, della condizione dell’uomo e dei suoi rapporti.

Uno spazio che è lettura del mondo e delle sue contraddizioni. E anche da qui la Pedagogia deve porsi sfide (e utopie).

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