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La Sociologia: la città tra evoluzione e comparazione

3. La città e le sue socio-culture: il contributo della Sociologia

3.1 La Sociologia: la città tra evoluzione e comparazione

L’opera comunemente indicata come la teoria di decollo del volo della Sociologia urbana è “Die Stadt” di Max Weber. È un’opera che risale al 1909-1912, edita, però, nel volume XLVII dell’ “Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik” solo nel 1921. Attraverso questo suo studio, Weber esplorò alcune tipologie di città e ne propose diverse distinzioni, senza però ricercare in esse caratteri universali che le distinguessero. Si concentrò prevalentemente sull’analisi della città occidentale e sul ruolo che essa aveva svolto nella stagione di nascita del capitalismo. Questo fu, infatti, il suo principale interesse: delineare le caratteristiche specifiche delle città occidentali come tipo particolare di organizzazione del potere e comprendere, conseguentemente, il processo di sviluppo del capitalismo moderno. Rimase nei limiti della città occidentale perché fu l’unica, nel corso della storia, a raggiungere il massimo grado di autonomia in rapporto alla struttura statale.

Quella di Weber fu un’analisi guidata da un approccio che potremmo definire storico-comparativo, volto alla ricerca di teorie generali. Teorie non prettamente legate all’idea stessa di città, quanto all’idea di modernizzazione e di sviluppo del potere in essa.

Una teoria legata, quindi, all’organizzazione del potere nelle città. Per lo studioso non potevano ricercarsi, nella realtà sociale, leggi generali in quanto ogni situazione storica è generata da molteplici forze, difficilmente distinguibili tra loro. Troppo semplicistico sarebbe, infatti, ricondurre tutto in schemi di carattere storico-evolutivo. Per questo l’analisi comparativa appare preferibile: essa, infatti, può mettere in evidenza proprio tendenze opposte e affini che si sono sviluppate in differenti società, in condizioni, a loro volta, opposte o affini. Una sorta di diffidenza, dunque, per qualsiasi tipo di generalizzazione e, di conseguenza, per un’interpretazione della storia come sviluppo unilaterale, iscritto in uno schema storico-evolutivo.

Allo stesso tempo, però, lo scritto di Weber, nell’ultima parte, risulta, secondo diversi studiosi, caratterizzato anche

“dall’impegno per una sociologia intesa come scienza generalizzante”.47 E allora? E allora, forse, anche per questa dicotomia possiamo indicare questo come il Saggio di apertura della Sociologia urbana: perché caratterizzato da una doppia linea, comparativa e ugualmente generalizzante.

Gli studi sociologici sulla città, infatti, saranno sempre caratterizzati da una alternanza tra prospettiva evoluzionistica e prospettiva comparativa.

Qualche riga ancora.

Negli anni ’20-’30 si svilupparono due differenti posizioni: approccio generalizzante e approccio individualizzante. Il primo con l’intento di produrre vere e proprie teorie urbane; il secondo, invece, con l’interesse di studiare le città nei loro contesti

47

Tosi A. (1987), Verso un’analisi comparativa delle città, in Rossi P., Modelli di città:

specifici. Due approcci non più guidati da una metodologia comparativa, ma da una prospettiva evoluzionistica in grado di determinare l’affermarsi di grandi teorie. E proprio alla costruzione di teorie urbane si dedicarono gli esponenti della Scuola di Chicago, guidati da R. E. Park.48 Studi, i loro, supportati da una ricca documentazione empirica relativa ai molti aspetti della vita sociale urbana, tali da delineare una puntuale riflessione sui principali aspetti di questa. Ma studi da molti criticati perché definiti come un insieme di generalizzazioni ottenute solamente sulla base del caso specifico, del caso americano.

Quello della Scuola di Chicago era sicuramente un progetto ambizioso, ma grazie ad esso, la Sociologia assunse l’immagine di una scienza empirica che si occupava dei problemi contemporanei, ricercandone la soluzione. Per loro la città doveva essere analizzata in prospettiva biotica, come un ambiente, cioè, dove la forma di organizzazione sociale è perennemente instabile, suggellata da continue ed incalzanti “rivoluzioni”.

Gordon Childe, negli stessi anni, si concentrò proprio sul concetto di “rivoluzione urbana”49, indicando con esso quel processo – evoluzionistico – per cui le società agricole si trasformano in società civilizzate attraverso una corrispondenza tra origini della città e origini della civiltà. Due “storie”, potremmo dire, che evolvono reciprocamente e parallelamente, attraverso la nascita di condizioni caratterizzanti entrambi i processi: nuova organizzazione politica, aumento delle tecnologie, stratificazioni per classi, ecc. Verrà criticato per un’interpretazione definita troppo “materialistica”, per una prospettiva che confermerebbe come, collegando diverse esperienze urbane sviluppatesi in contesti differenti e lontani, vi

48

Park R. E., Burgess E. W., McKenzie R. D. (1925), The City, University of Chicago Press, Chicago, trad. it. La città, Comunità, Milano, 1967.

49

Gordon Childe V. (1950), The Urban Revolution, in “Town Planning Review”, XXI, Liverpool, pp. 3-17.

siano le basi per confermare e costruire teorie urbane generali, teorie urbane comuni. Una visione evoluzionistica che, però, portata all’estremismo rischia di ricadere in un piano puramente ideologico.

Anche per questo negli anni ’50-’60 vi fu un ritorno agli studi comparativi, che questa volta si interessarono anche di dimensioni internazionali. Si parlò di un vero e proprio movimento comparativo, condotto da più studiosi, in più discipline e, dato importante, caratterizzato da comuni riferimenti teorici.

Al “materialismo” della Scuola di Chicago, che tendeva ad una concettualizzazione in sé della città, si contrappose uno studio del rapporto tra urbanizzazione e modernizzazione. I processi di urbanizzazione vennero dunque spiegati riferendosi a variabili socio-culturali e politiche.

I diversi autori, in realtà, diedero luogo a posizioni abbastanza eterogenee, alcuni incorrendo nelle problematiche già riscontrate negli anni precedenti: tematiche evolutive e prospettive generalizzanti. Si crearono così due linee di analisi comparative: una impegnata a mettere in evidenza la regolarità dei fenomeni urbani; l’altra, per l’appunto, maggiormente interessata a delineare e spiegare i rapporti tra urbanizzazione e modernizzazione.

Della prima tipologia di analisi faceva parte G. Sjoberg. In un suo studio50 degli anni ’60, ricondusse la città a due tipologie: pre-industriali ed industriali. Di queste isolò quegli elementi che, a suo parere, prescindevano dai riferimenti geografici. Sia in Europa che in India, in epoca pre-industriale, le città, a suo parere, si assomigliavano tutte, almeno da un punto di vista sociale ed ecologico, se non prettamente culturale. Si somigliavano nella forma, insomma. Nonostante le numerose critiche che gli vennero mosse, per molti aspetti si può parlare di

50

Sjoberg G. (1959), Comparative Urban Sociology, in Merton R. K. (a cura di), Sociology

un tentativo di strategia comparativa-generalizzante.

Alla seconda tipologia, invece, fecero capo autori che legarono l’approccio comparativo con l’analisi del mutamento sociale, secondo una ripresa della tendenza classica. Analisi, perciò, da riferirsi al ruolo determinante dei fattori socio-culturali e politici che determinano mutamenti, interponendo numerose e differenti variabili tra urbanizzazione e modernizzazione.

Molti costruirono tipologie su uno schema che fu, inevitabilmente, di stampo evoluzionistico e tendente a produrre grandi generalizzazioni.

In realtà una strategia comparativa di questo genere, orientata ad ampie generalizzazioni, sarebbe dovuta essere dimostrata e ciò non avvenne adeguatamente. Si sarebbero dovuti problematizzare gli schemi evolutivi, il rapporto tra essi e i procedimenti generalizzanti, per non rischiare, come invece è stato nella maggior parte dei casi, di ricadere in ipotesi unitarie e ideologie urbane, prettamente occidentali. Così, quasi a riprendere Max Weber, gran parte del dibattito, prese la via delle dimensioni politiche. L’interesse si spostò nuovamente sul legame essenziale che esiste tra città e politica, tra città e potere, prendendo a baricentro proprio la problematica weberiana dell’autonomia politica della città.

Negli anni ’70, nuove metodologie, nuovi concetti, sempre a cavallo tra un rilancio comparativo ed uno evoluzionistico, determinarono un ancor nuovo dibattito sociologico sulla città. Discussioni sul “passato teorico” della disciplina, portarono diversi autori, tra cui Castells51, a denunciare la Sociologia tradizionale e il suo essere ideologica. Si fece largo una nuova tendenza: la Sociologia urbana perse progressivamente il suo oggetto, ossia la città, il concetto di città. Si perse l’idea di città come oggetto della disciplina, ma anche come soggetto a sé stante, come entità forte. E con essa crollò l’idea, nuovamente, di

51

Castells M. (1983), The City and the Grass-roots. A Cross-Cultural Theory of Urban Social

poter dare adito a teorie generali.

Lo stesso Castells riteneva infatti impossibile studiare il fenomeno urbano senza passare attraverso lo studio della politica urbana. Questione urbana e questione politica dunque indissolubili?

Il suo contributo segna una tappa importante nella prospettiva di una nuova Sociologia urbana: “la ridefinizione teorica del campo si deve intrecciare in una prospettiva di intervento politico, ma il trasferimento dal campo dell’ideologia al campo del materialismo storico non può comportare né la rinuncia aprioristica ad una verifica accurata e costante né la presa in considerazione di metodologie e di apparati concettuali differenti senza di che diverrebbe certa l’abdicazione dell’analisi scientifica a favore di uno sterile dogmatismo”.52

Così si ricercarono nuove variabili per le differenti indagini e si finì, ancora, col riscoprire Weber e il suo studio: l’autonomia politica della città, di una città che si fa scena e teatro dei processi di potere. Questa dissoluzione del concetto di città rimise dunque“in crisi l’ambigua convergenza che ha accompagnato tutto lo sviluppo degli studi urbani: quella tra l’interesse a produrre concetti e generalizzazioni e l’applicarsi a un oggetto che – in quanto costruito ideologicamente – si è effettivamente alimentato di reificazioni”.53

Ma allora viene da domandarsi: una scienza come la Sociologia può essere generalizzante o no?

Può riuscirvi quando l’oggetto d’indagine è talmente complesso e contraddittorio come la città?

La Sociologia ha – in realtà come le altre discipline - difficoltà intrinseche a delineare una teoria precisa sulla città e forse può riuscire a tracciare solo punti orientativi, perché i suoi caratteri, quantitativi e qualitativi, variano nel tempo, velocemente, e da una società all’altra. Ancor di più oggi che l’evoluzione della

52

Bettin G. (1979), I sociologi della città, Il Mulino, Bologna, p. 253.

53

Tosi A. (1987), Verso un’analisi comparativa delle città, in Rossi P., Modelli di città:

città corre sempre più rapidamente. Le sue dinamiche così contraddittorie permettono di delineare caratteri comuni di uno spazio socio-culturale di inizio millennio?

3.2 L’evoluzione della città: prospettive storiche tra