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4 – Il riconoscimento costituzionale delle Città metropolitane e la legge La Loggia del 2003.

LO SCENARIO NORMATIVO ITALIANO

II. 4 – Il riconoscimento costituzionale delle Città metropolitane e la legge La Loggia del 2003.

Nel lungo processo che ha condotto alla concreta introduzione nel nostro ordina- mento della nuova realtà istituzionale delle Città metropolitane, la svolta decisiva sembrava esser segnata dalla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione144,

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In dottrina si è sostenuto che tale riforma era tesa, fra l’altro, proprio «a rilanciare il ruolo delle Città metropolitane, sancendone l’introduzione direttamente in Costituzione e attribuendo ad esse le medesime prerogative e garanzie degli altri enti territoriali» (così si è espresso G.DEMURO, Art. 114, in R.BIFULCO, A.CELOTTO, M.OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, 2006, p. 2171. Cfr. anche N. VIZIOLI, Le città metropolitane e Roma capitale, in T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, 2001, p. 173. La letteratura sulla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione è sconfinata. Senza pretesa di esaustività, ci si limita qui a citare i saggi raccolti nel numero monografico 6/2001 de Le Regioni, di F.PIZZETTI, Z. CIUFFOLETTI, L.TORCHIA,R.BIN,P.CARETTI,R.TOSI,G.FALCON,M.CAMMELLI,A.CORPACI,A. CONCARO, E.LAMARQUE,C.MAINARDIS,P.GIARDA; lo speciale dedicato a Le modifiche del Titolo V della parte seconda della Costituzione, in Il Foro italiano, V, 2001, p. 185 e ss., con contributi di R. ROMBOLI,C.PINELLI,P.CAVALERI,A.RUGGERI,G.D’AURIA;B.CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie locali fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002; i numeri monografici 6/2001, 1/2002, 2/2002, 5/2002 di Istituzioni del federalismo; F. PIZZETTI, Il nuovo ordinamento italiano fra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino, 2002; AA.VV., Il nuovo Titolo V° della parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Milano, 2002; S.MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002; G. MARCHETTI, Le autonomie locali fra Stato e regioni, Milano, cit.; i contributi raccolti nel n. 5/2002 de Le Regioni, svolti in occasione del seminario dedicato a Le autonomie locali nella riforma costituzionale e nei nuovi statuti regionali; P.CARETTI, Stato, Regioni, Enti locali tra innovazione e continuità. Scritti sulla riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, 2003; AA.VV., Alla ricerca dell’Italia federale, a cura di G. VOLPE, Pisa, 2003; AA.VV., Il ‘nuovo’ ordinamento regionale. Competenze e diritti, a cura di S.GAMBINO, Milano, 2003; AA.VV. La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, a cura di C.BOTTARI, Santarcangelo di Romagna, 2003; E. MALFATTI, Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in Commentario della Costituzione, fondato da G.BRANCA e continuato da A.PIZZORUSSO, Bologna-Roma, 2006, p. 263 e ss.

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operata con Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, cui si deve il merito di avere espressamente “riconosciuto” le nuove realtà territoriali tra gli elementi costitutivi della Repubblica, equiparandole, di conseguenza, agli altri enti territoriali da tempo costituzionalmente garantiti145: Comuni e Province da un lato, Regioni e Stato dall’altro.

Il riconoscimento costituzionale ha rappresentato senz’altro un dato essenziale ed una prescrizione per il legislatore statale, tenuto ad ottemperare alla previsione costi- tuzionale che ha inteso “tessere”, sulla base, peraltro, di quanto stabilito dall’art. 5 Cost., una “rete” di autonomie locali con forti elementi identificativi, per tale ragio- ne legittimate a “costituire”, unitamente con lo Stato, l’ordinamento repubblicano146. Con l’abrogazione degli artt. 115 e 128 Cost. il riferimento testuale all’«autonomia» delle Regioni e degli altri enti territoriali è stato recuperato dall’art. 114, già segnalato retro nel § II.1.

Anche Province, Comuni e Città metropolitane hanno trovato affermata la pro- pria autonomia direttamente in Costituzione, senza alcun rinvio alla legge come av- veniva in forza del precedente art. 128: ed invero, lo stesso art. 114 attribuisce, come

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Cfr. E. FURNO, Il nuovo governo dell’area vasta: province e Città metropolitane alla luce della c.d. legge Delrio nelle more della riforma costituzionale degli enti locali, 21 gennaio 2015, in

www.federalismi.it, n. 1/2015.

146 Secondo G. B

ERTI, sub art. 5, in Commentario della Costituzione, 1. Art. 1-12 Principi fondamentali, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1975, p. 278, «Al fondo dell’idea di autonomia vi è sempre un principio di autogoverno sociale ed ha senso introdurre una autonomia sul piano istituzionale in quanto sia sicuro che essa serve a vivificare la partecipazione sociale, a rendere effettiva, cioè, la libertà dei singoli e dei gruppi sociali, come presenza attiva nella gestione di amministrazioni comuni. […] L'autonomia diventa […] espressione di un modo di essere della Repubblica, quasi la faccia interna della sovranità dello Stato. Vi è un notevole passo in avanti [rispetto alla tradizione statutaria] in questa formula, e forse la più grossa anticipazione di tutta la Costituzione: la trasformazione dello Stato di diritto accentrato in uno Stato sociale delle autonomie». Altri autori come, ad esempio, M.OLIVETTI, Lo Stato policentrico delle autonomie (art. 114, 1° co.), in T.GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003, p. 39, rilevano alcune contraddizioni tra l’articolo 114 e l’articolo 5 Cost.: laddove l’articolo 5 afferma che “La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali…” appare evidente che attraverso espressioni come “riconoscimento “ e “promozione” le identifica al tempo stesso come qualcosa “altro da sé" mentre , nello stesso testo costituzionale si afferma poi che la Repubblica è costituita dalle autonomie locali, identificandosi quindi e non più distinguendosi da esse. Un possibile componimento di tale paventata antinomia è forse rintracciabile nell’interpretazione secondo la quale l’articolo 114, comma 1, intende semplicemente accentuare il significato politico-costituzionale attribuito a queste autonomie.

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si ricordava, a questi ultimi enti «propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione»147.

Passando brevemente in rassegna le disposizioni costituzionali riferibili alle Città metropolitane, si ricava, in primo luogo, una riserva di legge, in favore dello Stato, in materia di disciplina concernente la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali (art. 117, comma 2, lett. p) anche delle Città metropolitane, oltre che delle Province e dei Comuni.

Le Città metropolitane hanno, oltre alla potestà statutaria, quella regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art 117, comma 6) e recepiscono l’allocazione di funzioni amministrative in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza148.

Emblematico è apparso lo sforzo del legislatore costituente del 2001 di portare le funzioni pubbliche nel luogo più vicino possibile ai cittadini (ossia nei Comuni, nel- le Province e nelle Città Metropolitane), nonché di prevedere che la distribuzione delle stesse tra i diversi livelli di governo dovesse avvenire in ossequio ai criteri co- stituzionalizzati di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Le Città metropolitane, secondo il dettato costituzionale, sono, inoltre, titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge (art. 118, commi 1 e 2). Le Regioni, invero, possono conferire, al pari dello Stato, nelle materie di rispet-

147 Cfr. G.R

OLLA, L’autonomia dei comuni e delle province, in T.GROPPI, M.OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, 2003, p. 209.

148 Secondo la definizione fornita dalla legislazione ordinaria, id est dalla l. n. 59 del 1997, e dalla

produzione legislativa successiva, la differenziazione postula che nell’allocazione delle funzioni si devono considerare le diverse caratteristiche (anche associative, demografiche, territoriali e strutturali) degli enti riceventi; l’adeguatezza richiama l’idoneità organizzativa delle amministrazioni a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni e la sussidiarietà richiede che la generalità dei compiti e delle competenze debba essere conferita all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati, quindi ai Comuni e, secondariamente, agli altri enti locali di dimensione sovracomunale, in tutti i casi in cui l’esercizio della funzione conferita non sia compatibile con le ridotte dimensioni e possibilità operative dell’ente interessato. Cfr. G.ROLLA, L’autonomia dei comuni e delle province, in AA.VV., La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, 2a ed., a cura di T. GROPPI, M.OLIVETTI, Torino, 2001., p. 160; l’Autore, in ordine alla costituzionalizzazione di tali principi, ha osservato che «pare corretto presumere che il legislatore costituzionale abbia inteso, al momento di codificarli, far riferimento al significato ed alla portata che avevano», riferendosi, per l’appunto, alla legge n. 59/97. In ordine ai criteri applicabili per l’individuazione dell’autorità più vicina ai cittadini interessati, v. G.U.RESCIGNO, Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale, Milano, 2002, p. 145.

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tiva competenza legislativa, ulteriori funzioni a tutti gli enti locali individuati in Co- stituzione.

Ed ancora, è previsto che le Città metropolitane godano di autonomia finanziaria di entrata e di spesa, con risorse autonome, potendo stabilire e applicare tributi ed entrate propri e disponendo di compartecipazioni al gettito di tributi erariali, con la garanzia costituzionale di integrale finanziamento delle funzioni pubbliche loro at- tribuite. Sono prese, altresì, in considerazione per gli effetti della destinazione di ri- sorse aggiuntive e interventi speciali da parte dello Stato, e sono titolari di un pro- prio patrimonio (art. 119).

Il comma 2 dell’art. 120 Cost. attribuisce al Governo un potere sostitutivo anche nei confronti anche delle Città metropolitane nel caso in cui non vengano rispettate norme e trattati internazionali o normativa dell’Unione europea, oppure nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle presta- zioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei go- verni locali e viene abrogato l’art. 130 Cost., e con esso eliminati i controlli regiona- li sugli atti degli enti locali.

Il fatto che la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione abbia posto tutti i livelli territoriali di governo in posizione sostanzialmente paritaria e quindi escluso una sorta di supremazia gerarchica dello Stato rispetto agli altri enti territo- riali non ha determinato certo la conseguenza di porre nel nulla la garanzia, storica- mente statuale, di salvaguardare le esigenze unitarie.

L'eliminazione del riferimento all'"interesse nazionale" dal testo della Costituzio- ne, infatti, non ha certo comportato il venir meno di ulteriori strumenti per il mante- nimento del carattere unitario dell'ordinamento repubblicano, quali le materie "tra- sversali" affidate alla potestà legislativa esclusiva statale (tra cui la "legislazione e- lettorale, organi di governo e funzioni fondamentali" degli enti locali o la "determi- nazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale"), la fissazione dei "princìpi fondamentali" nelle materie di potestà legislativa concorrente, i ricordati poteri sosti- tutivi del Governo ex art. 120 Cost., la legislazione statale sull'autonomia finanziaria

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degli enti territoriali e sui meccanismi perequativi, i princìpi di sussidiarietà, diffe- renziazione, adeguatezza149.

Peraltro, com’è stato rilevato, non solo gli enti locali minori non esercitano fun- zioni legislative, che sono, com’è noto, costituzionalmente attribuite solo alle Re- gioni, oltre che allo Stato, né godono di autonomia statutaria costituzionalmente di- sciplinata (come accade, invece, per le Regioni ex art. 123 Cost.), ma soprattutto l’autonomia loro riconosciuta dall’art. 114 Cost. non può prescindere da un riferi- mento legislativo, dello Stato come delle Regioni, per essere declinata nei suoi a- spetti di autonomia statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria150.

I reciproci rapporti tra gli enti territoriali che oggi “costituiscono” la Repubblica, inoltre, vengono regolati da alcuni princìpi costituzionali che gettano una nuova luce nel sistema delle autonomie locali, quali il principio di leale cooperazione ed il prin- cipio di sussidiarietà.

Il nuovo Titolo V individua nel “Consiglio delle autonomie locali” la principale sede nei rapporti tra autonomie territoriali entro la quale avrebbe dovuto rendersi possibile la declinazione dei detti princìpi. L’art. 123, c. 4, Cost., infatti, dispone che gli Statuti regionali prevedono l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali qua- le “organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”.

Tale previsione sembra costituire una delle concretizzazioni normative della pari dignità istituzionale riconosciuta agli enti locali dall'art. 114 Cost.

Com'è stato osservato, la formulazione dell’art. 123, ultimo comma, Cost. segna, infatti, una svolta decisiva rispetto alla linea seguita negli Statuti regionali previgenti rispetto alla revisione del 2001, ossia quella di realizzare la concertazione tra Regio- ne ed enti locali, prevedendo l'episodica audizione di questi ultimi, allorché interes-

149 Sul punto, cfr. R. B

IN, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 2001, p. 1213 e ss.; ID., La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, 365 ss.; P. CARETTI, Rapporti fra Stato e Regioni: funzione di indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo, in Le Regioni, 2002, p. 1325 e ss.; F.PIZZETTI, La ricerca del giusto equilibrio tra uniformità e differenza: il problematico rapporto tra il progetto originario della Costituzione del 1948 e il progetto ispiratore della riforma costituzionale del 2001, in Le Regioni, 2003, p. 599 e ss.

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Cfr. G.MOBILIO, Le Città Metropolitane. Dimensione costituzionale e attuazione statutaria, cit., p. 81.

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sati al procedimento decisionale regionale in corso o, comunque, secondo moduli procedimentali ispirati alla logica del sistema delle conferenze151.

L’indicazione perentoria del novellato dettato costituzionale impone, invece, di trasporre gli interessi locali a livello regionale in forma istituzionalizzata. Si è ritenu- to che in tal modo si sarebbe fatto acquistare ai CAL una caratterizzazione sezionale che riproduce, su scala infraregionale, il rapporto tra rappresentanza politica genera- le (espressa dal Consiglio regionale) e territoriale (riconducibile, per l'appunto, al CAL)152.

È noto che l'art. 123, ultimo comma, Cost. si applichi alle sole Regioni ordinarie, anche perché, come ha chiarito la Corte costituzionale, è nel pieno potere delle Re- gioni speciali «prevedere, in armonia con le proprie regole statutarie, particolari mo- dalità procedimentali volte ad introdurre nel rispettivo sistema forme organizzative stabili di raccordo tra l’ente Regione e gli enti locali ispirate dalla esigenza di assicu- rare la osservanza del principio di leale collaborazione»153.

Il CAL, organo “costituzionalmente necessario”, com’è stato definito da taluno, in dottrina154, nondimeno, non ha ancora trovato piena e generalizzata attuazione. Ed invero, la disposizione costituzionale ha lasciato ampi margini di discreziona- lità al legislatore regionale circa la disciplina concernente la composizione, i poteri, le funzioni, gli effetti giuridici degli atti posti in essere nell’esercizio delle attribu- zioni di tale organo, ed alcune Regioni non lo hanno ancora istituito155, mentre chi vi ha dato vita, ne ha previsto una regolamentazione differenziata e variegata, e spesso le scelte di regolamentazione operate dal legislatore regionale sono state veicolate da previsioni del legislatore statale che a più riprese ha attribuito al CAL nuove sfere di

151 Cfr. E.D'O

RLANDO, Il Consiglio delle autonomie locali nel sistema regionale integrato, in Osservatorio AIC, Fasc, n. 3/2016, 7 dicembre 2016, in www.osservatorioaic.it, p.5.

152 Così L.V

IOLINI, Il Consiglio delle Autonomie, organo di rappresentanza permanente degli enti locali presso la Regione, in Le Regioni, 2002, p. 989 e ss.

153 Cfr. sentenza n. 370/2006, annotata da A. A

MBROSI, I consigli delle autonomie locali nelle Regioni e province speciali: la questione della fonte competente, in Le Regioni, 2007, p. 363 e ss.

154 Tra gli altri v. T. G

ROPPI, Un nuovo organo regionale costituzionalmente necessario, il Consiglio delle Autonomie Locali, in Le Istituzioni del Federalismo, 2001, p. 1058. Cfr. anche A. RUGGERI, La Corte, la clausola di “maggior favore” e il bilanciamento mancato tra autonomia regionale e autonomie locali (a margine della sent. n. 370 del 2006), in Forum di Quaderni costituzionali, 2006, p. 1.

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Il Consiglio delle autonomie locali non è stato ancora istituito nelle Regioni Veneto, Molise, Puglia, Basilicata, Campania e Sicilia.

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intervento, ferma restando la prevalente attribuzione di funzioni consultive e di rac- cordo tra la Regione e gli enti locali infraregionali156.

La breve panoramica delle novità introdotte dalla riforma, letta in uno con l’intervenuta costituzionalizzazione delle Città metropolitane, oltre al loro ricono- scimento come enti autonomi con propri Statuti, poteri e funzioni, conduce alla con- clusione di ritenere che senz’altro dovesse imporsi, con maggiore urgenza rispetto al passato, la necessità della loro effettiva istituzione, ciò al precipuo fine di evitare il paradosso verificatosi, nel secondo dopoguerra, con i governi regionali157.

All’auspicata esecuzione del dettato costituzionale ostava, più di tutto, il mecca- nismo di creazione “dal basso” recepito nel T.U.E.L., restando inibito al Legislatore ordinario ogni qualsivoglia intervento autoritativo che si scontrasse con la valorizza- zione ed il rispetto delle autonomie locali.

156 In tal senso cfr. M.G.N

ACCI, Le funzioni del Consiglio delle autonomie locali tra previsioni normative, prassi e prospettive di riforma, in Osservatorio AIC, 3, 2016, sul sito

www.osservatorioaic.it p. 2, ma si v. anche, tra gli altri, D.CODUTI, Consiglio delle autonomie locali (dir. cost.), in Digesto delle discipline pubblicistiche, Agg. III, 2008, p. 210 e ss.; M. CAVINO, L. IMARISIO, Il Consiglio delle autonomie locali, Torino, 2012, p. 35 e ss.

157 La vicenda ripete, per certi versi, la scelta che accompagnò la nascita delle Regioni come nuo-

ve entità istituzionali del Paese. Com’è noto, negli anni in cui nacque la Carta repubblicana l’idea di una ulteriore articolazione territoriale, diversa da quelle tradizionali rappresentate dai Comuni e, al- meno in parte dalla Provincia, aveva suscitato non poche perplessità e preoccupazioni per i Costituen- ti, che finirono nella “frettolosa” elencazione delle nuove realtà per dare, per “presupposto” e come dato acquisito, realtà non tanto geograficamente e storicamente già strutturate nel Paese, quanto “sta- tisticamente” descritte nei loro contorni territoriali sulla scorta degli studi elaborati da Pietro Maestri (1816-1871) per il Regno d’Italia. Anche per le Città metropolitane può ritenersi che si sia data per “presupposta” una realtà geografica e sociale ritenuta sufficientemente metabolizzata nella cultura del Paese, idonea pertanto di per sé ad autolegittimarsi nel contesto del nuovo principio della sussidiarie- tà verticale (finalmente) costituzionalizzato. In realtà, come avvenne per le Regioni oltre settant’anni orsono, la necessità di Città metropolitane non è stata accompagnata dalla concreta e seria determina- zione socio-territoriale di quali fossero realmente le costituende (aree e) città metropolitane. Questa situazione ha, peraltro, creato non pochi problemi nella fase di attuazione della norma ed ha, forse, almeno in parte, contribuito al fallimento dell’esperienza su cui pure erano state riposte non seconda- rie aspettative nella ristrutturazione, in chiave di maggior efficienza e produttività dei servizi. Com’è stato condivisibilmente rilevato da A.SPADARO, Riflessioni sparse sul regionalismo italiano: il caso delle Regioni meridionali, in corso di pubblicazione su Le Regioni n. 4-5/2017, p. «[…] dal 1948 ad oggi, in un Paese ricco d’inventiva come il nostro, non sono mancati ricerche e studi che hanno evi- denziato il problema, sottolineando la necessità che, da un lato, si valorizzassero le autonomie locali minori (posto che il “federalismo all’italiana” si regge su tre piedi: Regioni, Province e Comuni) e, dall’altro, si immaginassero, per esempio, anche delle macro-regioni (penso agli studi della Fonda- zione Agnelli). Ma si è trattato, per lo più, di sforzi teorico-dottrinali, senza purtroppo concrete, o quanto meno adeguate, conseguenze pratico-giuridiche, accentuandosi così la distanza del diritto re- gionale vigente dalla effettiva realtà sociale». Uno scarto tra Sollen (diritto regionale o degli enti loca- li) e Sein (essere “qui” ed “adesso” degli enti locali italiani, ovvero loro realtà effettiva), che è riscon- trabile nella disciplina delle Città metropolitane introdotta dalla l. Delrio, come vedremo nel prosie- guo della presente ricerca.

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In buona sostanza, solo gli enti locali si sarebbero potuti attivare in tal senso, mettendo da parte localismi, particolarismi e resistenze che, certamente, minavano lo sviluppo delle zone – le aree metropolitane, appunto – più prospere dell’intero pae- se158.

All’incongruenza tra il testo riformato della Costituzione ed il T.U.E.L. ha tentato di porre soluzione la Legge 5 giugno 2003, n. 131, che delegava al Governo l’adozione di apposite norme al fine di definire le regole fondamentali per il funzio- namento delle Città metropolitane, nonché per il soddisfacimento dei bisogni prima- ri delle comunità di riferimento159.

Com’è stato rilevato, l’ampiezza degli argomenti considerati sembrava «rimettere in discussione l’intera disciplina sulle Città metropolitane contenuta nella l. n. 142 del 1990 (come modificata nel 1999 e trasfusa nel testo unico del 2000 sull’ordinamento degli enti locali)»160. In buona sostanza, con la legge delega in e-

158 F.S

PALLA, R.LANZA, op. cit., p. 116.

159 In particolare, l’art. 2 comma 4 lett. a), b), c) e d) della l. 5 giugno 2003 n. 131 prevedeva che

il Governo, nell’attuazione della delega si sarebbe dovuto attenere ai princìpi e criteri direttivi, tra l’altro, concernenti «la valorizzazione delle potestà statutaria e regolamentare» delle Città metropolitane; la individuazione delle loro funzioni fondamentali, in modo da prevedere la titolarità di funzioni «essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento»; la valorizzazione dei «princìpi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l’esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l’ottimale gestione anche mediante l’indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni»; la previsione di strumenti atti a garantire «il rispetto del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la partecipazione di più enti, allo scopo individuando specifiche