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3.2 Il modello di sviluppo urbano e l’Utopia

3.2.2 La città-periferia

Alla sua introduzione in Cina, il sistema hukou prevedeva la distinzione tra abitanti delle campagne e cittadini. Fino alla metà degli anni Ottanta questa distinzione rimase molto rigida, rendendo difficile l’accesso alla città.

L’applicazione delle riforme negli ultimi due decenni, e la necessità di nuova forza lavoro per le città in costruzione, hanno provocato un notevole allentamento delle limitazioni imposte, determinando un massiccio riversamento di lavoratori dalle campagne alla città, grazie a permessi di soggiorno temporanei che permettevano agli operari provenienti dalle zone rurali interne di stabilirsi nelle città anche per periodi di tempo prolungati.321

In Cina, la distinzione tra popolazione cosiddetta “fluttuante” e i veri e propri migranti, è una questione annosa e ancora confusa. Per popolazione fluttuante – liudong renkou – si

all’industrializzazione in una paese “periferico” (rispetto a questo sistema) deve necessariamente derivare dall’interno piuttosto che da altri paesi periferici. Questo schema non si applica più da tempo alla Cina popolare, che nell’ultimo decennio ha avviato un’intesiva “cooperazione” con alcuni stati dell’Africa centrale – Nigeria e Sudan in particolare – per l’estrazione di materie prime.

320 Cfr. p. 100.

321 ‘In 1997, the State Council approved a pilot scheme to grant urban hukou to rural migrants who held stable

intende formalmente quella che si è allontanata da almeno un anno dalla luogo di registrazione dell’hukou, ovvero dalla residenza;322 i migranti – qianyi renkou – sono coloro che si sono trasferiti da una regione, o provincia, all’altra, e che hanno ottenuto un permesso di soggiorno. Dall’altra parte ci sono però anche i migranti con permesso di soggiorno temporaneo, che vengono spesso assimilati alla popolazione fluttuante. Lo spostamento da una provincia all’altra, facilitato anche dal miglioramento dei collegamenti, è cresciuto notevolmente nel decennio dal 1990 al 2000: i “migranti” interessati da questo movimento sono per la maggiorparte giovani, celibi e single; ma dagli anni Ottanta anche la migrazione femminile è cresciuta molto. Si tratta in ogni caso di categorie emarginate:

In China’s large cities, the social and economic segregation of rural migrants, the status hierarchy based on geographic origin, and the segmentation of the urban labor market persist. In these cities, most rural migrants occupy the lowest social and occupational rungs and are treated as outsiders rather than being assimilated. Under the dualistic hukou structure, rural Chinese are still excluded from the system of entitlements designed only for urbanites. Rural migrants lack access to retirement, health and unemployment benefits, government-sponsored housing schemes, jobs that prioritize urban residents, and the urban education system.323

Il lavoro derivante dalla migrazione innalza le entrate delle famiglie nelle zone rurali e ne diversifica le fonti di reddito. In questa situazione si capisce come il governo ritenga auspicabile la mobilità e lo spostamento verso le città. Viene da chiedersi però in quali situazioni versino e quali prospettive abbiano i residenti delle campagne che non possono o non desiderano essere “urbanizzati”; sicuramente la loro condizione è vicina a un’invisibilità sociale cronicizzata.

Il modo apparentemente più efficace, sicuramente il più rapido, per realizzare l’obbiettivo comune a molti altri paesi di avvicinare il reddito pro-capite delle campagne a quello delle città, è snaturare “il rurale” avvicinandolo all’“urbano”. Il divario tra città e campagna è un dato reale, utilizzato in modo così prolungato ed estensivo da diventare esso stesso parte di una retorica sui problemi cristallizzati da queste narrative. Ma se da un punto di vista geografico e territoriale è ancora difficile porre una netta distinzione tra città e campagna, più facile è forse stabilire cosa non sia campagna: di fatto, il criterio più pratico per valutare l’entità della popolazione urbana è da sempre il calcolo della percentuale della

322 Nel 2000 è stata registrata una popolazione fluttuante di 144,4 milioni. 323 Ivi, p. 78.

popolazione non impegnata in attività agricole. Verificare il contrario – ovvero che le zone rurali siano tutto ciò che non si può chiamare città – è molto più difficile.

Da un punto di vista strettamente analitico, la disparità tra le condizioni della popolazione urbana (e urbanizzata) e di quella rurale sono legate a fattori economici che riguardano la produttività, le decisioni sui prezzi e sul mercato, la ridistribuzione del lavoro e della forza lavoro. Se la privatizzazione delle campagne sembra aver temporaneamente migliorato le entrate dei contadini e le loro condizioni di vita, la liberalizzazione del mercato attraverso l’adozione di uno standard internazionale nei processi produttivi e nei prezzi (processo bruscamente accelerato dall’ingresso nel WTO nel 2001), ha di nuovo compromesso la stabilità delle attività agricole e quella degli agricoltori. In questo la Cina sembra condividere il destino di altre società la cui economia è sempre stata, o per lo meno è stata per lunghissimo tempo prevalentemente agricola.

Oggi è sempre più difficile stabilire chi sono gli agricoltori, perché l’agricoltura competitiva sul mercato è strutturata come un’impresa che si basa su tecniche di coltivazione avanzate (in funzione dello sfruttamento intensivo dei terreni e dell’ottimizzazione dei raccolti) spesso affidate a gestori esterni. Per poter assorbire forza lavoro ed evitare la comparsa di fasce sociali improduttive, il governo centrale ha adottato misure che hanno favorito lo spostamento della popolazione rurale da aree più remote dell’interno – meno produttive dal punto di vista economico – verso zone dove la presenza di un sistema misto agricoltura-industria (che pende verso l’industria, attività più redditizia), garantisce una più efficace integrazione dei lavoratori.324 La campagna tradizionalmente intesa, in balia delle fluttuazioni di un mercato internazionale, sembra diventare sempre più l’oggetto di politiche di assistenzialismo più che di incentivazione e riqualificazione. Alla luce di questi fattori, il divario tra territori diventa divario fra categorie storico-ideologiche: modernità e tutto ciò che non lo è (tutto ciò che sfugge alle politiche di modernizzazione); mercato globale e attività locali, ricavo di profitto e dignitosa sopravvivenza; e ancora impiego della forza lavoro (schiavitù mascherata?) e improduttività, che viene associata alla povertà.

Seguendo queste radicali trasformazioni, anche la distribuzione della popolazione è cambiata. Come altre città asiatiche, la città cinese oggi ha tendenzialmente una densità elevata. La crescita urbana è stata in larga parte assorbita, ma la costituzione di mercati immobiliari periferici ha rappresentato uno stimolo alla dispersione della popolazione, e la

324 Ivi, p. 50-51.

suburbanizzazione delle zone rurali ha raggiunto livelli molto alti.325 La rapida espansione urbana ha invaso e usurpato le zone rurali; i “villaggi urbani” racchiusi all’interno dell’area urbana edificata, sono divenuti enclavi di migranti. Contemporaneamente, regioni urbane e metropolitane policentriche si stanno diffondendo in Cina.326

Il vero problema legato a questi fenomeni di ridefinizione dello spazio non è tanto stabilire cosa sia, quanto piuttosto cosa non sia città, ovvero cosa rimanga rimanga fuori dal suo corpo mastodontico, e come questo possa essere descritto e definito: periferia? Campagna? Periferia industriale/rurale? Tutte queste descrizioni appaiono inadeguate, e la città, con le sue strutture e i suoi meccanismi, sembra oramai essersi impadronita delle sacche tradizionalmente lasciate fuori dal suo “corpo”:con la diffusione delle industrie, dei centri commerciali, la dislocazione di uffici e altre strutture, per non parlare di aeroporti o complessi residenziali, la necessità di ridurre la densità del centro urbano non ha prodotto nient’altro che una sua estensione, un vero e proprio straripamento. L’area metropolitana tende a fondere nozioni contraddittorie sulla base di una continuità territoriale che però non riesce a eliminare le contraddizioni, ma solo a nasconderle nominalmente. È abbastanza chiaro che una tendenza del genere cela forti interessi economici di tipo aggregativo: non è un caso che siano le economie emergenti e in vertiginosa espansione – Cina e India in particolare – a usufruire di questa opzione con maggiore successo. Meno scontanto è il fenomeno dell’urbanizzazione delle campagne. Ma se la periferia si “urbanizza”, si può dire che la città si ruralizzi? Eames e Goode ritengono che una definizione del genere sia impropria, e ingannevole l’idea alla base: di fatto la città è molto più pervasiva e influente delle piccole o grandi comunità esterne che in essa si ritrovano, ed è per questo improbabile che nella fase di adattamento siano questi gruppi a modificare la città. Simili meccanismi sono soggetti a troppe variabili per poter essere facilmente circoscritti e analizzati, soprattutto perché riguardano piccole comunità e gli individui che le compongono. Gli studi sulla città manifestano in questo i loro limiti, perché attenendosi rigidamente a dati non sempre indicativi rivelano l’incapacità di ragionare in modo inclusivo sulle diverse possibilità che la città, e ancor di più i suoi abitanti, possono offrire.

325 ‘Suburban land expansion and decentralization of development are accompanied by population redistribution.

Chinese cities since the 1980s have entered a stage of “suburbanization” in which the central area with extremely high population densities have begun to decline’. Wu F., Xu J., A. Gar-On Yeh, op. cit., p. 277.

326 ‘This formation of urban metropolitan region is, however, driven by both new locational ‘preferences’ and the

Alla fine, nonostante le aspirazioni socialiste a eliminare le inequità città-campagna, la locomotiva dello sviluppo urbano è passata accanto a tutto il resto, rimanendo sul suo binario e lasciando un mondo rurale “povero e vuoto” che si estende all’infinito da entrambi i lati.327

La periferia è molto più che una sbiadita rifrazione di tutte immagini avanzate, degli scarti visivi della città (in piccoli dettagli, un poster, una bevanda, un capo di vestiario, perfino una canzone). Molti dei film considerati articolano la dialettica tra centro e periferia come proiezione l’uno dell’altra; gli interessi dell’una si rifraggono e condizionano le dinamiche e l’aspetto dell’altra, che a sua volta ritorna per reclamare ciò che le spetta. Cosa distingue allora veramente il centro dalla periferia? Ritengo soprattutto la mancanza di “ipocrisia” visiva, di un’organizzazione dello spazio che funga da sostituto del potere e surrogato della comunità, che dia l’illusione della comunione di intenti e di finalità, una progettualità che unisca le istituzioni e i privati nel cammino comune verso la “civiltà”. Una delle leggi costanti dello spazio urbano in tutto il mondo è che la vera periferia, quella che non si preoccupa di somigliare al centro, è per natura squallida e lievemente perturbante: una vuoto “psichico” e strutturale, l’horror vacui che deriva dalla mancanza di un progetto, e dalla presenza di agglomerati nati dalla congiuntura casuale di necessità pratiche, priorità economiche e dalla loro interazione con le vestigia della città, le briciole di modernità sparse fuori dalla sua tovaglia.

I film che considereremo qui sembrano seguire e mantenere il dualismo tra periferia e centro: a seconda dei suoi intenti e della libertà espressiva reclamata per sé, un regista potrà articolare il proprio discorso filmico insistendo sulla periferia, non senza un voyerismo che serve ad esorcizzare il disagio incombente, o celebrare un centro cittadino trionfante, per niente o quasi controverso. Non tutti gli autori aderiscono a un progetto così coerente: molti, soprattutto nella Cina continentale, preferiscono veicolare un visione e un’interpretazione ambigua della città, che attivi un corto circuito semantico che si rinnova autonomamente e automaticamente.

La città è presente nella periferia, ma è vero anche il contrario, perché la periferia popola la città in modo consistente e significativo. Periferia assoluta, intesa come tutto quello che non è città e che è fuori dalla città, legata quindi a una specificità territoriale e locale, ma anche periferia relativa: la visione esteriore dell’altro, marginale rispetto all’io-centro perché marginalizzato, ma che occasionalmente si pone al centro e marginalizza il centro “spodestato”, in un gioco di specchi. Così è Taiwan per la Cina, e la Cina per Taiwan.

327 Lu D., op. cit., p. 161.

A questo proposito, Yomi Breaster parla della pervasività dell’idea di periferia geografica e culturale nel nuovo cinema taiwanese, nel quale l’assenza diventa centrale, attraverso la formazione di ghetti e la conseguente emarginazione, come quella dei soldati della Cina continentale che hanno lottato a fianco a Chiang Kai-shek e lo hanno seguito a Taiwan.328 Taipei è una città martoriata, odiata e apertamente assente nel nuovo cinema taiwanese: una città che manca perché inadeguata, e destinata a imminente smantellamento delle sue parti, in fase di adeguamento (che spesso sta per distruzione), o perchè del tutto nuova, assimilabile a un guscio vuoto, che ha perso il suo contenuto e la sua storia. Hou Hsiao Hsian e Tsai Ming-liang mantengono uno sguardo analitico e – soprattutto Tsai – impietoso sulla carne viva (ancora per poco) della città, cogliendo con acume la continuità tra un vuoto interiore/morale e quello delle architetture.

Il film di Hou Hsiao Hsian Dust in the Wind (1987),329 è un esempio di cinema della memoria che proprio attraverso il ricordo e la riscrittura dei fatti attiva un’analisi in possesso di rilevanza storica. Questo soprattutto perché il film interviene per colmare un vuoto, e per far conoscere eventi dimenticati o rimossi. Inoltre, mentre parla di dinamiche storiche e individuali che altrimenti non troverebbero modo di essere rappresentate, lo spazio filmico articola quello di una nazione come Taiwan, dallo status problematico e dibattuto, nella dialettica città-periferia che definisce.

Le zone intorno a Taiwan mostrate nel film non sono semplicemente “campagna”: la vegetazione semi-tropicale e il paesaggio montuoso pieno di foschia inghiottono personaggi come fanno le gallerie dei treni che li portano avanti e indietro dalla città (fig. 91), e sembrano trasportarli in un’altra dimensione temporale. Si crea così una netta contrapposizione tra tempo rurale (famiglia, doveri, valori, cura del prossimo, lavoro fisico), e tempo urbano (legami sporadici e superficiali, incostanza e caos), che in ultimo destabilizza le vite dei protagonisti, al punto da interrompere il loro rapporto simbiotico e allontanarli, per colpa del dovere cui “la patria” chiama (il servizio militare), ma anche per il lento e progressivo logorio prodotto dalle infinite andate e ritorni dalla città. Condividendo questo viaggio nello spazio e nel tempo, i due protagonisti hanno già “vissuto” una vita insieme, e non possono riviverne

328 A questi veterani furono assegnate in zone periferiche dell’area di Taipei (veri e propri villaggi), baracche

fatiscenti, o spesso solo lotti di terreno sui quali costruire da sé la propria abitazione con mezzi di fortuna: a una prima forma di rimozione, che li identificava come presenze se non indesiderate scomode o comunque inutile, questo gruppo sociale legato al territorio assegnatoli si è visto negare una seconda volta, a partire dagli anni Ottanta con la demilitarizzazione di Taipei e il lancio di imponenti progetti urbanistici mirati alla modernizzazione della strutture della capitale. Cfr. Y. Braester, op. cit., pp. 187-219.

329 Già citato da Jameson nel saggio su Terrorizer e a esso accostato per contrapposizione. Cfr. F. Jameson, The Geopolitical Aesthetic: Cinema and Space in the World System, cit., p. 120.

un’altra. Taiwan è uno spazio concettuale incongruo, che stende una patina maliconica sulle vite degli abitanti. La periferia è anche il luogo dove si possono mantenere radici culturali che affondano nell’antichità, come dimostra la lingua che la gente di provincia parla (un dialetto ma di fatto l’unica vera lingua “nazionale”), i riti ancestrali, le superstizioni: tutto quello che in città viene dimenticato o necessariamente rimosso.330

In questo modo si delinea l’esistenza e la possibilità di due paesi, uno dentro l’altro, l’uno in conflitto con l’altro. Su questa problematica convivenza pesa il passato, i fatti storici tenuti sotto silenzio, nascosti e lasciati intravedere come se fossero impliciti, ormai assorbiti nel tessuto dello tempo, e nella trama delle vite individuali. Taiwan è un luogo fisicamente e concettualmente “invaso”, che sembra dover stritolare in una morsa i suoi abitanti, sia i cittadini che la popolazione delle campagne: permeato da culture diverse, da eserciti, da mode e dai profughi di altri paesi, compresa la Cina.