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L’asia urbana e la comunità

3.1 Articolazioni dello spazio

3.1.3 L’asia urbana e la comunità

Con il suo morbo di “assenza” la città può contagiare intere categorie umane, persone negate, categorie sociali condannate all’invisibilità: gli yimin e mingong cinesi,265 ma anche i senzatetto di Tokyo descritti da Marker (fig. 85).

Le condizioni politiche alla base dell’assetto economico (e quelle economiche alla base dell’assetto politico), sono ineguali e variano di paese in paese, disparità che dipende molto anche da problemi di controllo e effettiva sovranità sul territorio/nazione. Un simile squilibrio ha determinato, soprattutto nelle fasi cruciali di transizione da un potere o un governo all’altro, lo spostamento di enormi ondate di popolazione da paesi con un’economia debole verso aree del continente più ricche e stabili, che trovandosi in una fase di crescita delle infrastrutture e dell’industria, necessitano costantemente di mano d’opera.266 L’innalzamento del livello di scolarizzazione ha portato le nuove classi colte e benestanti a impiegarsi o ambire a posizioni lavorative di maggior prestigio, lasciando enormi falle nel terziario, tappate con l’ingresso di lavoratori provenienti da altri paesi.267

265 La prima parola significa “gente estranee”, la seconda “lavoratore”.

266 ‘The import of large numbers of foreign workers into the “newly industrialized economies” of Pacific Asia

began from the mid-1980s when the labor force in these economies began to decline in number. Mostly drawn from Southeast Asia, and more recently China, the majority of workers have gravitated to metropolitan regions, filling in not only the “3-D” (dirty, dangerous, and difficult) occupations in constructing and manufacturing but also entering as domestic workers for middle-class households’. L. Huang e M. Douglass, “Foreign workers ad spaces for community life: Taipei’s Little Philippines”, in A. Daniere, M. Douglass (a cura di), op. cit., p. 51.

Nel loro studio sulle comunità di lavoratori filippini a Taiwan, Liling Huang e Mike Douglas fanno notare che questi gruppi si possono a stento definire vere comunità: mancando di uno status civico e economico che li qualifichi come membri della società ospite, e avendo pochissimo tempo libero da dedicare ad attività non-lavorative, questi gruppi provano a creare surrogati di comunità che ruotano intorno alla condivisione di attività ricreative in luoghi pubblici temporaneamente occupati per la socializzazione, che avviene normalmente la domenica – l’unico giorno di riposo. Gli autori citano la nozione di “iperspazio” coniata da Jameson,268 uno spazio inesistente denifito di volta in volta da un uso contingente e limitato, perchè non controllabile. Su queste premesse tutta la città è un iperspazio, un serie di momenti fisici che acquisiscono un senso solo nel momento in cui vengono socialmente connotati.269 Luoghi come stazioni e centri commerciali sono ideali a questo scopo, perchè più facili da raggiungere, accessibili a tutti purchè consumatori, e non soggetti a forme di restrizione derivanti dallo status sociale.270 È avvilente costatare ancora una volta come nel rinnovato assetto del capitalismo e del liberismo, l’identità e i diritti civili si ottengano soprattutto, se non esclusivamente, passando per la cassa – ovvero spendendo.

I bassifondi di Bangkok sono uno spazio iperreale che sembra contraddire la crescita pubblicizzata dell’economia nazionale e l’apparente riduzione del dislivello tra cittadini poveri e ricchi. Daniere e NaRanong evidenziano che l’ingresso nel mercato internazionale e le dinamiche del sistema globale di investimenti hanno invece aumentato il dislivello, rendendolo ancora più insidioso perchè non controllabile da parte dei poteri locali.271

268 F. Jameson, The cultural turn: selected writings on the Postmodern, 1983-1998, Verso, London New York,

1998, p. 11-15.

269 I film Swallowtail Butterfly (1996) di Iwai Shunji, e All Under the Moon di Yoichi Sai (1993), descrivono la

vita degli immigrati in Giappone, in particolare quelli provenienti dalla Cina e dalle Filippine.

270 ‘Shops, parks, and sidewalks provide the spaces for social encounters among foreign workers. Some occupy

the same corners of parks and railway stations for their Sunday gathering. Commercial areas also turn into enclaves for foreign workers in Sunday. In the intensity of convergence of workers at specific urban locations on a single day per week, or even less frequently, spaces for shopping, dining, and other commercial transactions such as sending remittances abroad become intertwined with those for social encounters. The clustering of commercial services can even revitalize old urban centers by catering to a new clientele that is drawn there by the thousands every weekend. This often contrasts sharply with the common and biased portrayal of the presence of migrant workers as an invasion of local society. Rather than being invaders, they generate a periodic economy that the city would not otherwise have’. L. Huang e M. Douglass, op. cit., p. 52.

271 ‘The uneven impact of the rapid growth experienced by … cities (in Southeast Asia) has been fuelled by

rapid globalization and liberalization. Lee (2006: 312) has put it extremely well: “To ensure that the mega-cities continue to be well placed in the global network of transactions, policies whether explicit or implicit, encourage private sector or public sector investments in and around mega-cities. This sets up a further cycle of global investments because of the improved facilities and infrastructures. The consequences of a global-induced growth is a pattern of urbanization that is substantially dictated by external forces rather than local factors. This generates urban problems often beyond the nation’s ability to control or manage”. The net result is that, in many large Asian cities, inequality has increased in the past decade, which is at odds with the region’s “historically

La crescita economica e la relativa stabilità politica (malgrado i frequenti colpi di stato) sono dati da collocare e validare in uno scacchiere geopolitico molto più ampio, ma all’interno del paese il processo di affermazione di una democrazia partecipativa che coinvolga tutte le fasce della popolazione e tenga conto delle loro necessità, comprese quelle relative alle abitazioni e in generale alla qualità degli spazi occupati, è ancora soggetto a notevoli interferenze e limitazioni. La presenza implicita di una casta che opera sulla base di una solida rete di alleanze e connivenze, esclude dal discorso nazionale tutti coloro che non cadono in una di quelle classi emergenti (i nuovi borghesi e perfino gli intellettuali benestanti), che hanno potuto godere degli effetti della crescita economica. Chi non si è accaparrato la sua fetta di torta, perchè non invitato alla festa, fà molta fatica a ritagliarsi uno spazio fisico per un’esistenza dignitosa. I ghetti e i bassifondi sono terre di nessuno occupate soprattutto da stranieri o da persone giunte alla spicciolata dalla periferie in cerca di impiego: caratteristica di questi “quartieri” sorti in modo del tutto casuale e senza una minima regolamentazione, è appunto l’assenza di coerenza visiva, l’arbitrarietà delle costruzioni messe in piedi pochissimo tempo, con la conseguente precarietà di strutture e una tecnologia ridotta ai minimi termini nella realizzazione di infrastrutture primarie come la rete stradale, il sistema fognario e lo smaltimento dei rifiuti. Come altri paesi qui considerati, anche il governo tailandese ha per decenni dato importanza alla realizzazione di imponenti opere pubbliche che più che essere realmente utili a tutti, hanno avuto la funzione di creare un’“impressione di modernità”, mostrare la strada intrapresa dal paese verso uno sviluppo che lo possa far competere con altri paesi dell’area e con i maggiori stati occidentali. Il risultato è che una grandissima fetta della popolazione, quella che non ha accesso all’educazione superiore o a entrate medio-alte, si è ritrovata priva di spazi per riunirsi, fondamentali per la formazione di coscienza civica e di un effettiva partecipazione. Luoghi di passaggio e non- luoghi meno eleganti delle sale d’attesa descritte da Marc Augé – lande desolate invase dai rifiuti, avanzi delle speculazioni immobiliari, ballardiane isole pedonali e bordi di strade e autostrade (per metà verdi e per metà grigio cemento) – sono spesso utilizzati come surrogati di piazze e parchi.272

stable levels of inequality’. Amrita Daniere, Anchana NaRanong, “Tangible and Intangible civic spaces in Bangkok’s slums”, in in A. Daniere, M. Douglass (a cura di), op. cit., p. 72.

272 Spazi civici virtuali sono state le stazioni radio private, diffusesi dopo la liberalizzazione del sistema delle

telecomunicazioni, prima soggetto al controllo della classe dirigente. Questi luoghi concettuali d’incontro della comunità sono però ancora occasionalmente soggette a controlli e a una forma di censura politica, e comunque non sono che una magra consolazione a condizioni di esistenza lontane dagli “standard” applicati dove risplendono le luci dei centri urbani. Ivi, p. 83.

La nozione di “spazio civico” è fondamentale per comprendere le dinamiche che hanno portato all’espropriazione di spazi e funzioni da parte dei governi ai danni alla popolazione urbana e dei privati. Quella che si è verificata in molti casi è la sottrazione di “governance” – la capacità e la possibilità di gestire luoghi e attività. A entrare in gioco in questo processo non è solo la sovranità di un paese o di un’entità statale nella gestione del territorio, ma anche la sua connivenza con gruppi economici che conducono speculazioni nel mercato immobiliare. Fenomeni di questo tipo si sono calcificati anche attraverso l’esercizio di un potere politico autoritario, divenuto tale per la necessità di consolidamento dopo vicissitudini storiche che hanno portato al limite del collasso.

Il caso di Singapore è fra i più paradigmatici: da territorio al tempo stesso sostenuto e stretto nella morsa delle entità nazionali circostanti, ha acquistato con l’indipendenza raggiunta nel 1965 uno status di sovranità che esigeva solidità politica a discapito di quella civile e sociale. Le attività che prima del 1965 erano gestite autonomamente dalle varie comunità definite in base all’appartenenza etnica e religiosa, dopo quella data sono progressivamente passate nelle mani della gestione statale. Un simile passaggio riflette anche l’influenza di processi politico-economici di scala mondiale, la ridefinizione di assetti geopolitici che sulla scia della fantomatica globalizzazione hanno portato Singapore a prediligere un orientamento nettamente anglofilo, oltre che anglofono. In questo caso si capisce bene come uno stato forte orientato a uno sviluppo moderno in senso occidentale finisca per privare la sua popolazione delle sue prerogative originali, derivanti dalla cultura o dalla sfera linguistica di origine, con la conseguente necessità di organizzare la vita sociale e le istituzioni in modo autonomo e funzionale alla diversità di background, comprese le scuole o i luoghi di culto.273

273 ‘An important intervention that globalization has brought upon local civic spaces is that the new capitalist

“public” spaces (e.g., malls) are not really civic spaces, as these are privately owned and are, therefore, subjected to a variety of regulatory measures (…) In the post-World War II period, Singapore had strong local community ties. The Chinese and Indian migrant communities of the nineteenth century had already swelled to critical mass proportions. More important, with the later arrival of women, a process of family formation was well in place, adding natural population growth in the twentieth century to the largely immigrant population of the nineteenth century (…) With rapid economic development and a national education system emphasizing English, younger Singaporeans no longer look to clan associations for identity and help (…) With State assumption of community functions within public housing estates, there is a stronger mobilization effort from the top for various community project. However, while the work gets done, the texture of social relationship is different. The capacity of civic spaces, at the neighbourhood level, to generate action other than those prescribed within limits remains to be seen. In the contemporary period, places, as Morley and Robins remind us, “are no longer the clear supports of our identity.” The social supports which create civic spaces are weakened’. K. C. Ho, “Communities in retreat: Civic spaces and state-society relations in globalizing Singapore”, in A. Daniere, M. Douglass (a cura di), op. cit., pp. 20-29.

Il Giappone è un altro caso esemplare: con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la pregressa identità nazionale del paese si è dovuta confrontare con le difficoltà di un processo di democratizzazione innaturale perchè imposto dall’esterno, e con la necessità di ristabilire l’autorità sulla popolazione. La tendenza a privilegiare una linea politica di accentramento e controllo di tutti i settori si è espressa soprattutto nella capitale, Tokyo, attraverso imponenti opere pubbliche. La priorità data ai grandi investimenti nelle infrastrutture e nei complessi commerciali a discapito dei quartieri residenziali, ha determinato un abbassamento della qualità della vita a Tokyo e in altre grandi città del territorio. Un fenomeno come questo, diffuso in tutto il mondo, è amplificato in Giappone dai costi esorbitanti del terreno. Scoraggiati dalle difficoltà burocratiche, i cittadini si sono visti privati della possibilità di intervenire attivamente nei processi decisionali relativi al territorio e alle strutture abitative. Quello che è successo in Giappone si può paragonare alla successiva politica di gentrification adottata in Cina, dove il costo relativamente basso dei terreni non ha forse consentito enormi speculazioni, ma dove lo Stato ha comprato per sè la possibiltà di rifarsi un volto attraverso la trasformazione delle abitazioni private e dei quartieri residenziali.

Caratteristiche della gestione del territorio in Giappone negli anni del boom immobiliare sono state un sistema di controllo e relativa pianificazione urbana altamente centralizzati, la promozione dello sviluppo economico a discapito di altri obiettivi (come la qualità di vita nella città), e una società civile relativamente debole dal punto di vista istituzionale, poco capace di rivestire un ruolo significativo nello sfidare il monopolio decisionale dello stato o nel definire e promuovere politiche o approcci istituzionali alternativi.274 Per Sorensen, Koizumi e Miyamoto, lo sviluppo della società civile in Giappone nel dopoguerra è un fenomeno contraddittorio: anche se la democratizzazione successiva al conflitto è stata un’imposizione delle forze di occupazione, essa ha avuto un significativo appoggio domestico, e l’immediato dopoguerra ha visto una crescita significativa dei sindacati, e forme di opposizione come la libera stampa e la libertà di dimostrare in luoghi pubblici; alla fine degli anni Cinquanta si è poi assistito alla vasta mobilitazione dei cittadini contro il rinnovamento dell’alleanza militare con gli Stati Uniti, e negli anni Sessanta e Settanta allo sviluppo diffuso di movimenti di protesta. Dall’altra parte – come sembra

274 La bassa priorità data alle strutture residenziali si evince chiaramente dai modelli di spesa, che prevedevano

investimenti minimi per strutture come parchi pubblici, marciapiedi, biblioteche e centri per la comunità, mentre larghe somme venivano impiegate nella realizzazione di infrastrutture legate alla produzione, come lo sviluppo di terreni e acque industriali, ferrovie, porti, aeroporti, autostrade e ponti. Cfr. André Sorensen, Hideki Koizumi e Ai Miyamoto, “Machizukuri, civil society and community space in Japan”, in A. Daniere, M. Douglass (a cura di), op. cit., p. 35.

avvenire oggi in Cina – la classe dirigente e i burocrati del governo si sono dimostrati profondamente sospettosi verso una società civile variegata e indipendente, considerata potenzialmente nociva per il progetto di sviluppo sul quale dovevano essere concentrate tutte le energie del paese.275 Una reazione alla patologica carenza di spazi e iniziative civiche è stata la recente comparsa dei machizukuri (letteralmente “fare la città”), comunità che riuniscono membri attivi di vari quartieri per conquistare un potere effettivo nell’influenzare le decisioni riguardanti la loro vita e quella dei loro membri.276

In questo quadro, il ruolo dell’architetto, oltre che progettare edifici, e quello ben più difficile di mediare tra materia inerte e ciò che vive e cambia, siano esse le singole persone o l’intera città. In un progetto simile è fondamentale la nozione di visibilità. L’alternanza visibilità/invisibilità genera una dialettica: la visibilità fisica delle strutture si traduce nell’invisibilità sociale delle persone al loro interno, l’impossibilità di partecipare al discorso pubblico della e sulla città.277

Il colpo d’occhio dei centri urbani cinesi sembra essere ancora dominato da uno stile monumentale di matrice sovietica, ma molte innovazioni stilistiche sono state apportate per rinfrescare e aggiornare lo stesso stile, ormai avviato a cadere nella sezione “memorabilia”. Nell’ottica degli interventi effettuati sul corpo della Cina, quest’architettura, se non adeguatamente rincontestualizzata, rischia di relegare le città alle dinamiche di organizzazione dello spazio urbano che contraddistinguevano i blocchi durante la Guerra Fredda. Oggi, alla monumentalità del cemento con funzioni di rappresentanza è stato aggiunto uno stile informale apparentemente innocuo e giocoso, fatto di materiali più leggeri dal punto di vista tattile e visivo, ma non meno invasivi all’interno dello spazio urbano. Ma qual è il messaggio che si lancia alla popolazione in questo modo? La Repubblica Popolare è forse in procinto di essere trasformata da questi interventi, o lo è già stata, in un immenso parco giochi per bambini? La metamorfosi delle strutture e delle dinamiche sociali sopraggiunta con la fine

275 La società civile, caotica e difficile da gestire, rappresentava una potenziale minaccia per la continuità del

controllo burocratico e del dominio sull’informazione, il potere decisionale e l’allocazione di risorse. Ivi, pp. 37- 38.

276 Dal momento che il sistema giapponese di pianificazione giappones ha un controllo così debole sullo

sviluppo, una delle maggiori preoccupazioni dei gruppi machizukuri è la prevenzione di cambiamenti catastrofici nei quartieri. Prevenire la trasformazione di quartieri di case basse in proprietà di larga scala è stato un tema chiave nei movimenti di comunità giapponesi dal periodo del primo boom condominiale negli anni Settanta a oggi. Ivi, pp. 47-49.

277 Siamo tutti potenzialmente condannati a questo tipo di invisibilità, perché l’unica traccia “pubblica” che resta

di noi è quella attestante i nostri acquisti, i consumi e l’uso di determinati servizi. Anche lo spazio virtuale e telematico dei circuiti di pagamento e altre operazioni informatiche segnala un’assenza, l’annullamento dei cittadini come attanti nell’arena della politica, e la rimozione del dialogo come possibilità di vedere e essere visti (si è ormai solo rintracciati e non riconosciuti come soggetti).

del collettivismo di stampo maoista, ha reso oggi la Cina il luogo dove si sono materializzati in modo esemplare i timori espressi da Henri Lefebvre e Edward Soja a proposito della produzione dello spazio nella città capitalista (o post-socialista).

Il massiccio programma di riforme lanciato da Deng Xiaoping dopo la morte di Mao Zedong (1976) e la campagna delle quattro modernizzazioni negli anni Ottanta,278 hanno spazzato via le ultime tracce del collettivismo, anche se molti blocchi di appartamenti di cinque o sei piani in stile sovietico rimangono nei centri urbani a rievocare un passato problematico. Le nuove unità abitative, accostate o sovrapposte alle vecchie, hanno portato alla costituzione di infinite conclavi, città nelle città, veri e propri villaggi urbani che hanno segnato in modo pemanente l’identità dello spazio urbano, aggravandone la congenita mancanza di organicità.

Un modo per costruire la città che manca – ma anche, come suggerisce Lefebvre, per creare l’illusione di un maggiore spazio vitale a disposizione279 – è articolarne lo spazio in tante unità, che in Cina sono oggi chiamate shequ (quartieri recintati), una nuova versione di quelle che una volta erano le danwei, unità che racchiudevano insieme vita sociale e lavoro. La shequ è contraddistinta da una notevole autonomia nella gestione dei suoi abitanti e delle loro attività, senza eliminare però la funzione essenziale delle vecchie danwei: veicolare le linee guida del partito attraverso attività di pubblico interesse, e rafforzarne il potere con l’infiltrazione graduale della sua etica e dei suoi fondamenti tramite la gestione e il coinvolgimento dei membri della comunità. Lo smantellamento del sistema collettivo e con esso della vecchia danwei totalizzante, così come la massiccia privatizzazione delle abitazioni iniziata negli anni Novanta, hanno determinato un trauma e lasciato un vuoto difficile da colmare. Il frazionamento implicito nella divisione in quartieri di piccola o media grandezza (che però possono arrivare a includere fino a diecimila famiglie), e il perseguimento di obiettivi e politiche mirate, sembrano aver disperso il senso di appartenenza alla comunità più che amplificarlo, e rischiano di rinchiudere i soggetti civili coinvolti in una forma di particolarismo. Anche la razionalizzazione della città attraverso la mobilitazione delle sue cellule sembra inibirne l’effettiva esistenza.

Tra gli esperimenti urbani condotti per creare nuove forme organizzative finalizzate a fornire migliori infrastrutture sociali, il più importante è il programma di costruzione della comunità (shequ jianshe), che il Ministero degli Affari Civili (MOCA) ha promosso dalla

278 Lanciata da Deng nel 1978, la riforma prevedeva la modernizzazione di quattro settori fondamentali:

agricoltura, scienza, tecnologia e industria.