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Il controllo nello spazio-film

2.2 Tecnoideologia 1 L’ideologia ottica

2.2.3 Il controllo nello spazio-film

Uno degli aspetti più rilevanti dell’ideologia urbana supportata ed esaltata dalla tecnologia è il bisogno di controllo, con la conseguente simultaneità e ubiquità dello sguardo che questo richiede. Per poter esistere un luogo non ha solo bisogno di essere individuato e riconosciuto, ma soprattutto dominato, cosa che implica il dominio su tutto quello che è compreso in esso.184

in 1903, in the metropolis, "a person does not end with limits of his physical body.... In the same way, the city exists only in the totality of effects which transcend their immediate sphere. The city is clearly laid out as social body. Laid bare as passage, it would eventually become "the naked city", adjoining cinema again by way of Situationist cartography, in the form of a psycho-geography – a map of derive (…) An amorous map, this site bears the motion of emotion. Metropolis, the mother-city likened to film, exists as "transport." It is emotional cartography, a site of both inhabitation and voyage, a locus of the voyage of inhabitation. The space of cinema "moves" such cartographical rewriting. Layers of cultural space, densities of hybrid histories, visions of transiti are housed by film's spatial practice of cognition. A means of travel-dwelling, cinema designs the (im)mobility of cultural voyages, traversals, and transitions. Its narrativized space offers tracking shots to traveling cultures and vehicles for psycho-spatial journeys’. G. Bruno, op. cit.

182 Ibidem.

183 ‘Repetition has everywhere defeated uniqueness’, H. Lefebvre, The Production of Space, cit., p. 75.

184 From a historical perspective, the “Enlightenment project” deals with the fear of what is not immediately

L’applicazione fatta da Foucault del tema del panottico di Bentham è stata largamente usata in riferimento all’azione disciplinante dello sguardo. Il dispositivo panottico prevede uno spazio chiuso e segmentato, osservato in ogni punto, in cui gli individui sono inseriti in un luogo fisso, ogni minimo movimento è monitorato, tutti gli eventi registrati, in cui un lavoro (in)interrotto di scrittura collega il centro alla periferia, il potere non è distribuito ma esercitato da un’unica figura gerarchica, e in cui ogni individuo è costantemente tracciato, esaminato e collocato tra gli altri esseri umani, i malati e i morti: tutto questo rappresenta un modello compatto di meccanismi disciplinari.185 Eppure l’atto del guardare che si trova alla base dell’azione di controllo, non sempre porta al risultato previsto, perché non sempre ‘l’illuminazione completa e l’occhio di un supervisore catturano le cose meglio dell’oscurità, che in ultimo protegge’.186 Quello che viene chiamato “società” non è un vuoto da guardare e controllare a piacimento: non è mai completamente innocente né completamente colpevole, e lo sguardo può essere un’arma pericolosa per chi lo subisce e per chi lo esercita.187

Se per il filosofo francese le strutture di controllo civile e penale riflettono il meccanismo di potere e l’ideologia di stato centralizzata,188 per Soja non c’è dubbio che ogni città sia una città carceraria, un insieme di nodi di sorveglianza designati per imporre un particolare modello di condotta e aderenza alla disciplina sui suoi abitanti, con limiti di sorveglianza imputabili alla scala e alla complessità del sistema politico che va oltre la città per coinvolgere lo stato.189

Per William J. Mitchell, il bisogno di sorveglianza nello spazio urbano determina un ulteriore strato di relazioni sociali elettronicamente mediate. Ovunque sia condotto, il

is the very source of fear”’. C. Strathausen, “Uncanny Spaces: The City in Ruttmann and Vertov”, in M. Shiel, T. Fitzmaurice (a cura di), Screening the City, Verso, London New York, 2003, p.15.

185 ‘The Panopticon is a machine for dissociating the see/being seen dyad: in the peripheric ring, one is totally

seen, without even seeing; in the central tower, one sees everything without ever being seen. It is an important mechanism, for it automatizes and disindividualizes power’. M. Foucault, Discipline and Punishment: the Birth

of the Prison, London: Penguin, 1975, p. 202. 186 Ivi, p. 200.

187 L. Mulvey (1975), “Visual pleasure and narrative cinema”, In The sexual object: a Screen reader in sexuality,

Routledge, 1992, London.

188 Da qui la relazione più volte evidenziata tra conoscenza (di quello che avviene) e potere (di intervenire in

base a quanto visto e conosciuto).

189 ‘…one must not assume that urban incarceration operates simply and directly along the extended visual lines

of Bentham’s Panopticon or that its disciplinary technology and heterotopologies remain constant over time. Too much happens in the city for this to be true. In the modern world, the primary scale of surveillance and adherence, of citizenship and politics, shifted dramatically from the city to the state, recentering the locus of power outside the direct gaze of the citadels and into a more invisible process of “normalization” that pervades patriotic allegiance and representative rather than participatory democracy (…) The discourses on power and knowledge in the constitution of society continued to acknowledge that things took place in cities (an unavoidable though inconsequential coincidence) but were not (or no longer) of cities, directly imbricated in the urban’. E. W. Soja, “Heterotopologies: A Remembrance of Other Space in the Citadel-LA”, cit., p. 29.

monitoraggio elettronico aggiunge quelle che vengono chiamate “relazioni sociali quaternarie” – quelle esistenti tra l’osservato e l’osservatore anonimo.190

Queste variabili, che appartengono al regno dell’immaginazione, possono manifestarsi attraverso linguaggio filmico: si torna qui alla vocazione espressa dal cinema all’esplorazione, materializzazione e narrazione delle strutture alla base dell’interazione sociale, del potere e dell’influenza reciproca di questi elementi all’interno del complesso e stratificata spazio urbano. Allo stesso modo, lo sguardo cinematico sulle cose e sugli spazi non è mai innocuo, restituendo una visione alterata del “familiare”, che deve diventare estraneo per essere reinserito nella “familiarità filmica”: i processi mimetici sui quali i cinema si fonda sono centrali nella valutazione del “reale filmico”. Nel cinema contemporaneo la città diventa il terreno per l’individuazione di nuove connessioni tra sguardo, controllo e potere.191

Tornando agli strumenti che per Anderson coadiuvano l’esercizio del potere – il censo, la mappa e il museo – questi sono collocati in una griglia, uno schema di semplificazione visiva che da un lato facilita il controllo dello stato coloniale (in un certo senso tutti gli stati sono colonizzati dal potere), dall’altro permette che l’illusione del qui e dell’ora – l’avere a disposizione immediata ciò che è compreso nella griglia – diventi concreta.192 Quello che la griglia determina, in nome della necessità di controllo, è la catalogazione numerica di tutto ciò che è compreso in essa. Si viene così a formare un’altra mappa di coordinate i cui punti diventano occasionalmente potenziali target dotati di un numero seriale.193

190 ‘… as vigilant civil libertarians have been quick to point out, we could well end up imprisoning ourselves in a

vast electronic Panopticon’. William J. Mitchell, “The Teleserviced City” (from E-topia: Urban Life, Jim – But

Not as we Know it), in R. T. LeGates, F. Stout (a cura di), op. cit., pp. 499.

191 ‘As far as cinema is concerned, there is no “reality of space” existing beyond all challenge of the kind to

which Bazin gave priority in his realist theory of film (…) ‘As Heath puts it with regard to cinema, it is the view of a “detached, untroubled eye … an eye free from the body, outside process, purely looking’ …In fact, both forms of representation make knowledge a matter of seeing, on the assumption that seeing itself is unproblematic … the primary relation to the world is conceived of as one involving a view, rather than agency (…) Thus in representation there is always detachment or severance; severance, above all, of gaze from what is gazed at, subject and object. But the subject/object distinction is not value-free, and excludes other distinctions’. A. Gibson, Towards a postmodern theory of narrative, Edinburgh: Edinburgh University Press, 1996, p. 86.

192 ‘Interlinked with one another, then, the census, the map and the museum illuminate the late colonial states

style of thinking about its domain. The "warp" of this thinking was a totalizing classificatory grid, which could be applied with endless flexibility to anything under the states real or contemplated control: peoples, regions, religions, languages, products, monuments, and so forth. The effect of the grid was always to be able to my of anything that it was this, not that; it belonged here, not there. It was bounded, determinate, and therefore – in principle – countable’. B. Anderson, op. cit., p. 36.

193 ‘…image, as powerful as Bentham’s Panopticon, of total surveyability. For the colonial state did not merely

aspire to create, under its control, a human landscape of perfect visibility; the condition of this "visibility" was that everyone, everything, had (as it were) a serial number. This style of imagining did not come out of thin air. It was the product of the technologies of navigation, astronomy, horology, surveying, photography and print, to say nothing of the deep driving power of capitalism’. Ivi, pp. 36-37.

La tecnologia permette e induce le necessità di controllo: aspetti dello spazio urbano moderno che sembrano nutrirsi e giustificarsi a vicenda. Per evidenti motivi, mai come a partire dal secolo scorso la tecnologia è stata collegata al controllo delle persone all’interno dello spazio urbano: controllo che è osservazione e catalogazione delle abitudini dei cittadini come potenziali criminali e consumatori realizzati. Con gli stessi semplici e capillari mezzi si garantisce la conoscenza di quello che tutti fanno in qualsiasi momento.

L’artista cinese Ai Weiwei ha fissato una videocamera in diversi punti della città, realizzando filmati lunghi poco più di un’ora (Beijing, The Second Ring 2005; January 14 - February 11, 2005) (fig. 63), per registrare in modo fedele e neutrale la statica dinamicità della città ideologica, seguendo le orme del cinema di Andy Warhol. Il risultato è un documento sul movimento della città, sulle impercettibili variazioni che secondo dopo secondo restituiscono l’impressione di isolamento e al tempo stesso assedio – da parte degli uomini e in modo diverso, ma non meno pervasivo, delle autorità. Il distacco delle riprese impersonali, che richiamano i filmati delle telecamere a circuito chiuso, è assicurato dalla posizione della videocamera – collocata in alto, forse fissata ad un cavalcavia (fig. 64) – che non soffermandosi su niente di specifico riesce a comprendere tutto e del tutto registrare l’organizzazione e la disposizione ideologica, l’esteriorità fatta di traiettorie predefinite, forme e colori predisposti per dare alla città l’abito che le conviene, e l’adeguato brand che la renda fonte di profitto e oggetto di scambio commerciale.

La peculiarità dell’esperimento di Ai Weiwei consiste anche nel far scoprire cosa succede nel momento in cui ai filmati di una telecamera a circuito chiuso puntata su porzioni anonime – per questo significative – della città, si conferisce una valenza artistico-culturale derivante dall’assegnazione di un pubblico e di un’adeguata cornice concettuale. La fissità ostinata delle immagini statiche di strade trafficate e ingressi di danwei, “unità” abitative e lavorative come aziende, scuole e ospedali, produce un incantamento ipnotico che ricorda gli esiti del cinema strutturalista, non incompatibile con le domande che sorgono di conseguenza: se il dove si sa, perché e chi? Le unità cui si è appena fatto riferimento sono moduli spaziali recintati, potenzialmente autosufficienti, separati dall’ambiente urbano circostante da un muro con uno o più ingressi sorvegliati a tutte le ore, e sono il modello spaziale abitativo e lavorativo per eccellenza, dove il controllo è esercitato in modo così capillare e perfetto da essere ancora più invisibile delle telecamere CCTV.194 Complementare ai lavori video in questione, e parte dello stesso progetto, è l’istallazione composta da una grande telecamera a

circuito chiuso scolpita nel marmo (dal titolo Surveillance Camera): inoperativa dal punto di vista meccanico ed elettronico, ma attiva da quella semantico.195

Uno degli interventi più efficaci del cinema, è la possibilità di evocare il controllo cui si è quotidianamente sottoposti, non tanto tramite la fedele riproduzione e duplicazione dei suoi sistemi, quanto attraverso gli effetti che questo ha sulle persone, nella loro trasposizione narrativa. Il film Chilsu and Mansu cui si è fatto riferimento nel precedente capitolo, mostra gli effetti sulla società e sui destini individuali dell’amministrazione militare formalmente in vigore nella Corea del Sud fino al 1988. Il controllo non è sempre solo una funzione meccanica dello sguardo, ma anche una complessa rete sociale composta da abitudini, norme comportamentali ascrivibili a una tradizione morale e religiosa, e articolazioni di un potere dispotico che si serve del capitalismo per tenere a bada la popolazione attraverso il consumo o il miraggio del consumo (che i cartelloni evocano e promettono). In Chilsu and Mansu il vero controllo è quello l’America esercita attraverso gli sguardi vuoti e respingenti delle stelle di Hollywood che fanno capolino dai giganti cartelloni appesi.

Nel più recente film di Park Chan-wook Old Boy (2003), una serie di devastanti effetti a catena da cui scaturisce il racconto, sono innescati da forme diverse di controllo: quello sociale apparentemente innocuo, esercitato da tutti a tutte le età, che determina o accresce un disagio psichico potenzialmente patologico;196 oppure quello carcerario, applicato attraverso la moderna tecnologia audio-visiva, compresa quella cellulare.197

Come abbiamo largamente mostrato, il controllo ideologico inteso come presentazione di uno stile di vita funzionale al mantenimento dello status quo, può essere veicolato dal cinema, nella forma di proposta di pensieri accompagnati e presentati da un set adeguato, oppure ostacolato attraverso l’esposizione degli esiti più grotteschi, e l’adozione di un’estetica decadente e “depressa”.

Singapore Dreaming (Woo Yen Yen, Colin Goh, 2006) mostra come l’ansia non nasca solo dalla presenza ma anche dalla mancanza di controllo, inteso come stile di vita per cui l’individuo, come un bambino, è continuamente monitorato, e dove ogni sua azione è accompagnata dall’occhio vigile di chi lo segue per garantirne (sulla carta) la sicurezza e il

195 ‘Here Ai evokes themes of paranoia and voyeurism and the omnipotence of a ‘policing’ authoritative force. It

underscores his own particular response to constant surveillance’. Dal comunicato stampa della mostra Ai

Weiwei, 13/05-16/07, Lisson Gallery, Londra http://www.lissongallery.com/#/exhibitions/2011-05-13_ai- weiwei/

196 La vita di Lee Woo-jin è segnata dall’ossessivo desiderio di vendetta nei confronti dell’ex compagno di classe

– il protagonista del film Dae-su – che durante il liceo aveva diffuso un pettegolezzo sulla relazione incestuosa di Lee con la sorella, che per lo stesso motivo si toglierà la vita.

benessere (fig. 65). Così di fronte all’atto di un misterioso deturpatore del decoro nell’ascensore del palazzo, la famiglia Loh si rammarica del fatto di vivere in un condominio modesto, mentre in uno più prestigioso le telecamere a circuito chiuso impedirebbero “incidenti” del genere (fig. 66). Un controllo cercato e voluto, protezione dalle incognite del caos che un sistema politico infallibile, e la deriva consumistica di una ferrea applicazione del capitalismo, non possono tollerare.198

Il film di Zhang Yuan East Palace, West Palace (1996) mostra l’incontro tra coloro ai quali il potere viene delegato senza troppe spiegazioni – le forze dell’ordine – e alcuni omosessuali di Pechino, che subendo un controllo continuo, trovano come ragione di vita la ricerca di modi per eluderlo, nella colonizzazione di spazi (i bagni pubblici ai lati a Est e Ovest dell’ingresso della Città Proibita) e tempi morti (la notte).