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2.1 Tian’anmen, l’altrove di Tokyo, e le ricostruzioni di Shanghai 1 Il segno/mito Tian’anmen

2.1.3 Ricostruzioni di Shangha

Nel cinema cinese si possono rintracciare numerose rappresentazioni della città. Molte ricadono in un tipo di stereotipo, comunque una riformulazione sui generis che ha pochi o nessun legame col modello di partenza; altre smantellano minuziosamente il modello, svelandone i retroscena (pur sempre la quinta di un set); ma la maggior parte dei film che esplorano la città rimangono sospesi a metà tra le categorie sopradescritte, in un’ambigua oscillazione tra glorificazione, critica, speranza o simulata indifferenza. È questo il caso dei

73 Seguendo gli stoici e Deleuze, Gibson ricorda che esistono ‘two forms of time … chronos and aion [quello

che Deleuze chiama ‘not Chronos.’ (Deleuze 1989: 79)]. Chronos measures events and is inseparable from matter. It is the temporal dimension of causation. Aion by contrast is the unlimited past and future of incorporeals. It is the dimension of surface effect. It is the time of pure becoming … the continuum of time out of which the present ceaselessly emerges’, K. Gibson, op. cit., pp. 179-180.

74 ‘… plot may represent the element that moves the film sequences along, but the observing eye dwells on, and

learns from, the visual moment portrayed’. Thomas J. Rimer (1994), “Film and the Visual Arts in Japan: An Introduction”, in L. Erlich, D. Desser, op. cit., p. 151.

75 E. W. Soja, “Heterotopologies: A Remembrance of Other Space in the Citadel-LA”, cit., p. 15.

76 Cfr. Ivi p. 65. La ferrovia urbana sopraelevata è uno dei segni distintivo di Tokyo, e l’efficienza della ferrovia

un perfetto mito da esportazione. I treni sono evocati anche in Wenders, e Marker dice a proposito: ‘Tokyo is a city criss-crossed by trains. Tight together with electric wires, she shows her veins.’ Marker paragona suggestivamente i film ai treni (e al loro movimento lineare-circolare): ‘the train inhabited by sleeping people puts together all the fragment of dreams and makes a single film of them, the ultimate film’.

film girati a (e su) Shanghai negli anni Trenta: film che creano non solo un’immagine ideale della città, ma un’ideale a se stante che attraverso l’estrema stilizzazione di tutte le caratteristiche urbane – molte volte pretestuosamente stigmatizzate per mostrare lo spettacolo delle mille luci di una città peccaminosa – rimandano a un modello di progresso già esistente o di là da venire (prima del 1949 con la realizzazione del socialismo). Le implicazioni semantiche del cinema di Shanghai degli anni Trenta sono molte e complesse. La città stessa diventa un sintomo di proiezioni, ansie o pressioni che confluiscono in articolate impalcature visive, rassicuranti odi alle meraviglie della modernità o ambiziosi progetti rivoluzionari (in questo senso utopistici) che puntano a sradicare i “nuovi” mali causati dalla stessa: in primo luogo ingiustizie sociali e impoverimento.

La considerazione di due film rappresentativi come The Goddess e Street Angel, che verrà messa in relazione con la recente rielaborazione del mito di Shanghai compiuta dall’artista multimediale Yang Fudong, può essere molto utile per tracciare un quadro più dettagliato della gamma di significati in gioco.

Street Angel (Malu Tianshi), girato da Yuan Muzhi nel 1937, riflette una visione programmatica e una tesi chiara sullo spazio urbano, come campo conteso da forze sociali antagoniste. Nel film la ricostruzione e riproduzione dei luoghi della città oscilla tra la modernità seducente di matrice occidentale – per questo leggermente perturbante – della Shanghai nel suo momento di massimo splendore, e la rappresentazione dei bassifondi dove regna la miseria e la corruzione, in un meccanismo di selezione naturale la cui crudeltà è mitigata dalla rappresentazione grottesca dei “cattivi” come dei “buoni”.77 Le immagini della città così ricostruita, segno e sintomo di un fermento politico che in poco più di un decennio sarebbe stato convogliato nella Repubblica Popolare, mantengono il legame con l’extra- diegetico attraverso il ricorso al montaggio di spezzoni documentari girati nelle strade. I movimenti di macchina e gli effetti di accelerazione dell’immagine, sovrapposizioni, dissolvenze e tremolii, conferiscono una maggiore qualità “filmica” a tali immagini, già potenzialmente cinematiche.78 Per Laikwan Pang questa città “in superficie” non è nient’altro che l’immagine piatta di un mondo inconsistente, mentre la vera vita e la vera storia si svolgono nella città “sotterranea”: come in Metropolis, si suggerisce la separazione dei due spazi nella città ma diversamente dal film di Fritz Lang la ‘parte inferiore della città, più

77 Street Angel ‘described the city’s space from dual perspective, showing that the modern city was both an

alienating cosmopolitan center and a warm local community.’ L. Pang, Building a New Cinema: The Chinese

Left-wing Cinema Movement, 1932-1937, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham, 2002, p. 171.

complessa e integra, supera l’appiattimento di quella superiore’, sicuramente più problematica.79 Se questa interpretazione sembra rispecchiare le intenzioni del regista, la sua validità assoluta non sembra altrettanto certa: forse applicando una sensibilità “troppo” moderna, ritengo che siano sono gli spezzoni “documentari” a detenere il maggior potere iconico (specialmente dopo la manipolazione e l’aggiunta di effetti menzionati), mentre la descrizione dei bassifondi rimane una versione più o meno plausibile di una situazione paradigmatica. Che si tratti dei frammenti documentari integrati nella fiction o delle scene girate nel ghetto ricostruito, la città non abbandona il suo status di proiezione di desideri. In virtù della ricchezza di livelli e della cura formale, Street Angel è uno dei film più rappresentativi del periodo, considerato ormai un canone della tradizione cinematografica cinese. Quello che viene tuttora ritenuto uno dei momenti di massimo splendore del cinema cinese è il risultato della confluenza di fattori eterogenei: la fortuita coincidenza tra la libertà espressiva derivante dall’equilibrio delle forze politiche in campo, lo status privilegiato di Shanghai come porto franco – quindi città aperta agli scambi commerciali e culturali con il mondo – e il fermento d’idee progressiste diffuse negli ambienti intellettuali della sinistra a partire dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, avvenuta a Shanghai nel 1921.80 Riflesso dell’obiettivo degli intellettuali di fare della Cina un paese emancipato, letteratura e cinema prediligevano storie melodrammatiche, allegorie della condizione della Cina (sottomessa dalle potenze coloniali) incentrate sulle figure di donne sfruttate, vittime prescelte di un sistema sociale arretrato e aggravato dall’irruzione del capitalismo.81

C’è però un’ambiguità di fondo nel modo in cui la città viene rappresentata in questi film: se infatti attraverso la costruzione di melodrammi e il ricorso a uno stile espressionista, registi come Cai Chusheng, Yuan Muzhi e Wu Yonggang rappresentavano/ricostruivano Shanghai come luogo di perdizione e corruzione dei costumi, soprattutto se paragonato a un mondo rurale povero ma moralmente integro,82 nel contempo indugiavano nella rappresentazione fantasmagorica delle attrazioni di una città di cui subivano il fascino,

79 Ivi, p. 171.

80 Y. Zhang, Chinese National Cinema, Routledge, New York, 2004, p. 63.

81 ‘This left-wing cinema was obsessed with women’s stories, which was brought about by a differen array of

cultural issues and underlying forces (…) a majority of the left-wing films produced in the 1930s focused on themes of women’s liberation … Ironically, although women were treated only as mouthpieces of the male filmmakers, the femal characters initiated the young men’s exploration in their cinematic art and legitimized their ideological agenda (…) Woman was the best persona to represent the powerless individual who wanted but failed to engage reality politically.’ L. Pang, op. cit, pp. 114-116.

Cfr. Miriam B. Hansen, “Fallen Women, Rising Stars, New Horizons: Shanghai Silent Film as Vernacular Modernism”, Film Quarterly 54, no. 1 (2000), pp. 10-22; Y. Zhang, op. cit., pp. 82-83.

82 E spesso ricostruito nei film come una specie di Arcadia: ‘Among the left-wing village film produced in this

utilizzandone segni, luci e attrazioni per attirare un pubblico di cittadini. Quest’ambiguità nel rappresentare Shanghai e il suo status speciale riflette la crisi scaturita dal problematico confronto con una modernità occidentale di cui il cinema stesso è sintomo, e si è comprensibilmente acuita durante il Maoismo, sopravvivendo ad esso, a riprova della persistenza del tropos “urbano” nel cinema cinese.83

Nelle scene che accompagnano i titoli di testa di Street Angel, Shanghai è descritta come una fonte inesauribile di stimoli sensoriali. Il tremolio della ripresa e le immagini traballanti che ne derivano, potrebbero evocare un viaggio in macchina lungo le strade del centro di Shanghai, ma sembrano soprattutto alludere al nervosismo, all’instabilità e fragilità di un impianto nato per essere fatuo come le luci – fari delle macchine, infinite lampadine elettriche e neon che illuminano una città emancipata e cosmopolita, piena di ristoranti, sale da ballo e cinema (fig. 14). Con una transizione segnalata dal rallentamento della musica, si passa al panorama urbano diurno, indugiando su palazzi signorili e le costruzioni in stile occidentale, per poi planare con un volo di uccelli su un parco pubblico, dove eleganti coppie della borghesia s’intrattengono in chiacchiere e passeggiate. Di seguito, nuovamente l’accelerazione della vita cittadina di giorno, con il traffico di macchine e persone (fig. 15, 16), e inquadrature di campanili e orologi che materializzano il tempo e moderna contemporaneità (fig. 17), forse alludendo alle disparità e discontinuità nel tempo e nello spazio al centro della vicende narrate. Le inquadrature dei palazzi, oblique e dal basso (fig. 18), restituiscono un senso di sopraffazione, esasperato dalle imponenti architetture in stile déco, la cui estraneità alla tradizione autoctona ne rafforza l’autorità evocando al tempo stesso una latente minaccia. Tornano con maggiore veemenza, e con un ritmo ancora più frenetico, immagini della città di notte: ancora orologi, lampade, luci e fuochi d’artificio, danze sfrenate nei night in cui si intravedono volti occidentali (fig. 19). Le scene in questione sono evidentemente girate in loco, alcune sembrano immagini di repertorio, ma tutte contribuiscono a creare l’effetto di un breve e potente documento sulla città. Dove finiscono modernità e mondanità comincia il film, e se le immagini in apertura sono reali, esse alludono alla vacuità di un mondo che si regge sulla fragile impalcatura della moderna finanza, la cui controparte sembra essere una dilagante corruzione.

Quello su cui si vuole portare l’attenzione sono le problematiche sociali di solito nascoste all’occhio del comune spettatore borghese: la povertà, lo spietato classismo di una

83 Il film di Xie Jin Two Stage Sisters (1964) è un perfetto esempio di rappresentazione contraddittoria della

società piena di retaggi feudali, lo sfruttamento delle donne, l’inaccessibilità ai “piani alti” della sistema-città – tutti temi che sembrano anticipare i punti cardine dell’impianto ideologico della Repubblica Popolare. L’inquadratura fissa dietro il titolo del film riprende un imponente palazzo (quasi un grattacielo) di Shanghai in stile occidentale (fig. 20). La panoramica verticale verso basso crea un appiattimento prospettico di notevole efficacia espressiva: come se stesse scendendo sottoterra, scorre simultaneamente tutti gli strati della società per fermarsi sul fondo, da dove la storia prende le mosse, con la didascalia “The slums of Shanghai” (shanghai dixia ceng) (fig. 21). Da questo momento la macchina non risalirà più, salvo rare eccezioni, tra cui la visita dei protagonisti nello studio di un avvocato situato all’ultimo piano di un palazzo moderno, forse lo stesso visto in apertura. Il panorama dalla finestra è mozzafiato per la coppia di amici, ma anche per gli spettatori del film: l’angolazione della macchina è lievemente obliqua, per trasmettere il senso di vertigine e la perdita di orientamento, e sembra incidentalmente simulare con un certo anticipo la visione di cui si può godere guardando fuori dal finestrino di un aereo. Davanti alla finestra che si apre sul del centro urbano e la sua commistione di vecchio e nuovo, i due si danno di gomito dicendo che devono proprio trovarsi in paradiso (‘look, we’re standing inside a cloud’): dall’oggettiva della coppia di amici che guardano fuori dalla finestra, si passa alla soggettiva del panorama che si apre loro davanti – ‘This is truly heaven. Heaven is warmer than home’, dice l’uno all’altro, ma quello che sentono in realtà è solo il calore diffuso dai termosifoni). Il paradiso, per quanto elegante e pulito, è un luogo asettico, dotato di un arredo moderno e accessori “tecnologici” che incuriosiscono e sgomentano i visitatori.84 Respingente è anche l’atteggiamento di Mr. Fang, avvocato dall’aspetto distinto vestito all’occidentale: quando questi capisce che i due non hanno grandi ricchezze, taglia corto informandoli delle tariffe e lasciando lo studio con impercettibile fastidio. Nel mondo moderno, dove il tempo è denaro, tutto è regolato in modo rigoroso dalle tariffe (forse gli orologi alludono a questo). Per lo stesso motivo, la persona che funge da anello di congiunzione tra la società arretrata dei bassifondi e la Shanghai moderna è Xiao Yun, sorella maggiore della fanciulla “buona” Xiao Hong e costretta dalla famiglia adottiva a prostituirsi. La prostituta è una figura ricorrente in questo cinema e caricata di significati allegorici: soggetto debole e vittima della società, come flâneur al femminile si situa in una posizione liminale, vive nei bassifondi ma per il suo lavoro frequenta anche luoghi e persone delle classi più agiate.85 Il film si chiude

84 Testimoniando al tempo stesso la breve e intensa parentesi di modernità in senso globale di cui la Cina

continentale ha goduto attraverso Shanghai.

indicativamente con la sua morte, che sancisce l’impossibilità di sfuggire – se non appunto con la morte – a un destino segnato.

Dal melodramma in atto nell’interno domestico, la macchina passa a una ripresa simmetrica e opposta a quella iniziale: una risalita dagli inferi verso l’alto/altro, con lo stesso palazzo dell’inizio. Un accorgimento narrativo che segnala l’abbandono della storia e dei suoi luoghi per un ritorno in superficie non privo di conseguenze.

In The Goddess (Shennü), film del 1934 di Wu Yonggang, Shanghai è trasfigurata in base alle necessità diegetiche, avvicinandosi ora alle caratteristiche femminili (yin) della protagonista (fig. 22), ora a quelle maschili dominanti nell’architettura e nel potere opprimente di stampo patriarcale (fig. 23). La trasfigurazione della donna nella città e viceversa, avviene attraverso la sovrapposizione dello sguardo sognante di Ruan Lingyu al panorama notturno di Shanghai, e nei vari momenti che scandiscono la professione dell’anonimo personaggio, anche lei una prostituta: il tardo pomeriggio quando si prepara per uscire, la sera quando inizia a lavorare, e l’alba quanto rientra a casa. La stessa Shanghai viene allegoricamente accostata dai registi in questione all’archetipo femminino: seducente e oscura con fugaci bagliori, non rifiuta nessuno ma è anche vessata, tormentata, abusata.86

La città è segno fluttuante e materia informe cui si può dare la forma prescelta. La Shanghai di un artista come Yang Fudong, che lavora con macchine da presa e videocamere digitali, evoca il passato attraverso la scelta del bianco e nero, ma è anche completamente concettualizzata. Più che di bianco e nero sarebbe corretto parlare di assenza di colore, che diventa superfluo, un elemento di disturbo in uno scenario rarefatto dove la città e i suoi abitanti lanciano messaggi indecifrabili. Si assiste qui ancora una volta al ritorno del significante enigmatico, che agisce in primo luogo sull’artista il quale, vittima di suggestioni oniriche, trasferisce il senso di un mistero irrisolto (a causa dell’impossibilità si ricordare il contenuto della maggior parte dei sogni) nell’immagine filmica che tenta di ricostruirne almeno l’atmosfera. All’interno dei video e dei cortometraggi in questione, la qualità di evanescenza del sogno si unisce a quella altrettanto instabile del ricordo – che diventa un astratto passato (o un generico presente) collettivo e individuale – e all’impossibilità oggettiva di catturare la vera essenza della città. I lavori di Yang si prestano bene a essere associati alle riflessioni di Kracauer sulla natura della fotografia, in particolare all’idea che la fotografia

space. Film viewing is an imaginary form of flânerie, a "modern" gaze that wanders through space, fully open to women. A relative of the railway passenger and the urban stroller, the female spectator – a "flâneuse" – travels along architectural sites’. G. Bruno, op. cit., p. 10.

86 ‘…the tragic experience of the prostitute and her son represented in The Goddess was clearly connected to the

decreti la fine della tradizionale coscienza collettiva di appartenenza al mondo, perché scomponendone gli elementi in una minuziosa analisi li priva del significato che detengono solo se considerati nel loro insieme.87 Non è un caso che soprattutto agli inizi della sua carriera, l’artista abbia utilizzato indifferentemente entrambe le forme espressive.

In riferimento allo spazio urbano concreto, l’operazione di Yang si articola soprattutto attraverso indici: l’isolamento, l’inspiegabilità di circostanze surreali e gesti misteriosi sono tracce dei fenomeni e delle aberrazioni della (presunta) vera città. Come universi in comunicazione, nell’uno confluiscono i segni delle anomalie interiorizzate dall’altro, ma anche della poesia inespressa e di quella persa, perché non riconosciuta o inascoltata. Se questo rapporto di causalità viene interrotto o ignorato, le immagini e i segni diventano icone, riproduzioni sintetiche caricate di significato (enigmatico). L’universo filmico di Yang Fudong è fatto di incongruenze e incompatibilità, di storie e personaggi solo suggeriti: mentre esalta l’aspetto descrittivo e i particolari, abbozza la narrazione solo a grandi linee. In questo universo la città è concepita come scenografia: gli interni e gli uffici sono il vero mondo, e all’esterno gli scenari urbani si susseguono casualmente, senza continuità logica con gli spazi interni, a sottolineare la frattura tra azione e situazione. L’artista ricorre di frequente a codici visivi e culturali che rimandano ad altre epoche e al loro immaginario: echi del cinema degli anni Trenta, del periodo maoista e di remoti paradisi taoisti, alternano o si affiancano a spaccati assurdi e allucinatori della vita urbana. I film e lungometraggi in bianco e nero di Yang, come An Estranged Paradise (Mo sheng tian tang, 1996), Liu Lan (2003) e Sette intellettuali nella foresta di bambù (Zhu lin qi xian, Part 1, 2003),88 mantengono la logica interna del video ma si servono di accorgimenti tecnici e narrativi propri di un film. An Estranged Paradise è il primo film di Yang, girato nella città di Hangzhou, il “paradiso estraniato” dove l’artista ha vissuto e studiato per diversi anni.

Pur essendo ambientato nel presente, il bianco e nero della pellicola e il ritmo quasi ieratico delle riprese conferiscono alle immagini una qualità astratta e atemporale, che si ritrova nei dialoghi tra i personaggi (fig. 24). Quello che il film registra e trasmette è l’atmosfera stessa della città, la cui vocazione di meta turistica la allontana dal resto del paese, dal suo progetto di modernità, e in ultimo da quello che viene percepito come

87 Con la continuità temporale che garantisce alle immagini, il cinema si è incaricato di riconferire alla fotografia

il suo senso perduto, insieme alla consapevolezza dei fenomeni: ‘The "image-idea" drives away the idea’. Siegfried Kracauer, “Photography” (trad. Thomas Y. Levin), Critical Inquiry, Vol. 19, No. 3. (Spring, 1993), p. 432.

88 Presentato alla 50esima Biennale di Venezia (2003) e alla mostra Nuove Generazioni al Castello di Rivoli,

“contemporaneità”. Il luogo presenta una sovrapposizione e accostamento di nuovo e antico, non solo nei monumenti, ma nella natura stessa dello spazio che segue la conformazione del territorio e si sviluppa intorno al lago (fig. 25): questo non è in apparenza incompatibile con i segni caratteristici della vita urbana (il traffico, i rumori, le luci e tutti gli stimoli della città) (fig. 26), ma determina una dissonanza che sembra neutralizzarli, riportando gli abitanti a una dimensione sospesa che induce alla riflessione (fig. 27). Hangzhou è una città cinese (e asiatica) che aiuta a capire come sia difficile mettere la modernità tra parentesi, e come la permanenza della tradizione e dei suoi segni sia una questione molto problematica. Tutto questo ritorna nel film, e Yang riesce a presentare il conflitto inserendolo in un luogo la cui bellezza allontana dalla percezione della realtà: il paradosso è che una volta “eliminate” le distrazioni della metropoli, la realtà della condizione umana ritorna in modo ancora più pressante.

Gli altri due film girati in contesti geografici ben riconoscibili – in Liu Lan è il lago Taihu nei dintorni di Suzhou, in Sette intellettuali nella foresta di bambù la montagna sacra Huangshan nello Hubei – ma collocati in un tempo astratto e sospeso che potrebbe essere un passato non precisato o un eterno presente. Come fa notare Chris Berry, l’immaginario creato da Yang è un perfetto esempio di estetica (e fenomenologia) postmoderna della nostalgia.89