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Povertà e pianificazione dello spazio

3.2 Il modello di sviluppo urbano e l’Utopia

3.2.1 Povertà e pianificazione dello spazio

Le riconfigurazioni spaziali sono comuni nelle società in transizione. La relazione complessa e spesso conflittuale tra scarsità e sistema socialista hanno dato vita a specifiche strategie spaziali, che hanno alla fine determinato la comparsa di quella forma unica che è l’unità di lavoro.

Affermazioni riguardanti la sostanziale riduzione della povertà in Cina a seguito delle riforme economiche e dell’urbanizzazione fanno riferimento a dati dimostrabili, ma non irreversibili.311 Nel 2003 si è registrata per la prima volta dal 1978 un’inversione di tendenza, con livelli di povertà di nuovo in crescita. La questione si complica quando si provi a contestare il significato e l’applicazione dei termini in gioco: sarebbe ad esempio necessario chiarire cosa si intenda per povertà, stabilirne il dove e il quando, e come il termine cambi a seconda del contesto preso in esame; perchè se nelle campagne o nelle zone interne del paese la povertà indica soprattutto condizioni materiali oggettive relative al reddito pro-capite e a uno stile di vita meno orientato al consumo, in città la condizione di povertà è assodata dallo scarto più o meno accentuato con lo stile di vita urbano, orientato alla garanzia di una spesa minima che consenta di mantenere il ciclo economico di produzione-consumo. Sulla carta, l’essere “povero” è incompatibile con l’essere “cittadino”, e di fatti una grande percentuale di poveri urbani è composta da migranti non in possesso di hukou, per questo esclusi dalla maggiorparte dei servizi e dei piani previdenziali previsti per la popolazione residente. I poveri “urbani” rappresentano ufficialmente solo l’1% dei poveri di tutto il paese, ma la percentuale arriva all’11-12% se si considerano i lavoratori migranti privi di hukou, in quanto

309 ‘As Bloch has described, the Not Yet in a Third World context was a combination of absence and anterior

presence, longing and potential satisfaction, and anguish of scarcity and hope of fulfilment. Yet unlike most modern Western utopias that serve as critiques on industrial modernity, the latter was the dominant objective of Third World utopias. An all-encompassing project of modernization was not only at the top of national agenda but also the collective, state-controlled dream. If utopia is the “expression of the desire for a better way of being and living” (Levitas, 1990), industrial modernity was turned into this better way of being in Third World countries’. Lu D., op. cit., pp. 102-103.

310 Ivi, p. 111.

tali nemmeno registrabili.312 Quello che il governo deve costantemente arginare, insieme alla crescita della popolazione urbana, è il deterioramento dello standard di vita e l’abbassamento sotto la soglia della povertà di una parte consistente della popolazione, con la conseguente comparsa di sacche anonime e autogestite, al di fuori di qualsiasi giurisdizione. Esiste di fatto un consistente numero di individui privi di documenti che si aggirano più o meno indisturbati su buona parte del territorio: questi individui, reali come la città che non si vede e non si trova, sono ugualmente invisibili e si nascondo nelle pieghe della città “esposta”. Come queste persone, anche la povertà è un fantasma demonizzato che però si annida negli interstizi, in quella zona neutra non toccata dalle politiche di sviluppo.

Aldilà di analisi dettagliate, il modo migliore per capire la Cina e le trasformazioni del tessuto sociale e urbano cui il paese è andato incontro dalla seconda metà del Ventesimo secolo, è provare a interpretare il significato della modernità che il paese sta costruendo per sè. Il rischio di un simile tentativo è quello di riproporre una nozione preconfezionata e rigida di modernità, per molti coincidente con il capitalismo di impronta occidentale; se invece per modernità si intende il processo con cui un paese rintraccia e stabilisce un modello efficace di sovranità, non ci sarà più bisogno di stabilirne l’origine, ma si ritornerà su un terreno puramente storico, dove i fatti giustificano la scelta di percorsi e politiche specifiche.

Per Duanfang Lu, nel contesto della Cina post-1949, ‘modernity is turned into the nation’s new identity, something the directs a people’s imagination about who they are, where they are now, and what they should collectively aspire to be’.313 La modernità, che presuppone la costruzione di una nuova identità nazionale, implica anche un confronto con il resto del mondo e con le dinamiche innescate dalle ultime manifestazioni del potere coloniale. È un dato storico che la Cina e le sue realtà territoriali più rappresentative abbiano in un determinato momento, con l’adozione del calendario gregoriano e il conseguente sistema di misurazione del tempo, abbracciato un’idea di tempo “occidentale”, che Lu definisce “postcoloniale”. Di fatto la Cina non è mai stata completamente assoggettata a una potenza straniera (forse perchè geograficamente troppo grande e storicamente complessa), ma

312 “Who are the urban poor? China does not have an official urban poverty line for the country as a

whole…official definitions of the urban poor exclude most migrants. Since 2000 the government has defined the urban poor as people covered under the Minimum Living Security Standard scheme or Di Bao (…) One of the most important groups among the urban poor are the elderly, a group that includes many laid-off workers (dal processo di smantellamento delle imprese statali) … Alongside the elderly are the disables, who officially represent 40 percent of the urban poor. Other groups of poor include migrants from rural areas and farmers displaces as a result of changing land use in urban and periurban areas’. Ivi, pp. 92-93.

piuttosto frammentata in tanti territori sotto il controllo delle potenze occidentali.314 Il complesso di umiliazione nazionale derivante è stata una potente arma usata per mobilitare l’opinione pubblica in favore di una campagna politica o di un intero nuovo assetto nazionale, come nel caso della fondazione della Repubblica.315 Lu suggerisce che il concetto di “scarsità” ha informato buona parte della modernità cinese:

Social scarsity was created with major changes taking places in human needs as an integral part of China’s modernization … A new desiring population was produced: workers came to expect that every aspects of their lives would be taken care of by the state, while peasants, living amid scarcity, envisioned a life of abundance. The disparity between expectation and reality only intensified the feeling of scarcity … In fact, the sense of being lacking was so powerful that the Chinese state quickly conceptualized tha nation as one of scarcity.316

Per spiegare il concetto di scarsità, la studiosa cita Mao sul vantaggio di governare un popolo povero, per questo più volenteroso e pronto al cambiamento, e in ultimo ad accettare tutto.317 La richiesta di modernità da parte della Cina ha dunque creato una scarsità perpetua, non solo nella realtà sociale ma soprattutto nell’immaginazione (e immaginario) nazionale.318

La pianificazione rigida sotto lo stato maoista è poco più che un mito: è sotto il capitalismo (“alla cinese”) che il sistema di organizzazione dello spazio diventa implacabile, perchè contraddistinto dalla diffusione capillare delle direttive centrali attraverso una rete di organi provinciali e municipali, e soprattutto perchè improntato sulla necessità di far quadrare il bilancio ottimizzando gli investimenti. Il vecchio collegamento tra la nozione di scarsità e tendenza nazionale al risparmio, tramite l’accumulo di capitale e surplus ricavato dall’agricoltura, con l’enfasi posta di conseguenza sulla produzione e non sul consumo, è oggi simmetricamente ribaltato.319

314 Lu muove una critica alla teoria postcolonialista di Bhabha, incentrata sull’ambiguità e ibridità nazionale, che

porta un paese “assoggettato” a percepirsi come ‘meno di uno e al tempo stesso doppio’: la perpetrazione di simile schema interprativo rischia di creare un circolo vizioso nel discorso “dominatore” e “dominato” dal quale è impossibile uscire, mentre è forse più utile “storicizzare” questa ibridità nel tentativo di capire l’opposizione e la dominazione in un determinato tempo e spazio. Lo stesso tipo di analisi si può e si deve applicare applicare alle pratiche di formazione dello spazio.

315 Ivi, pp. 4-5. 316 Ivi, p. 9.

317 ‘Hence when the Chinese socialist state set out to build a modern industrial society, it found scarcity looming

formidably along its road. To be sure, scarcity, the condition of not having enough, is not a natural given; instead, it is a constructed notion whose meaning shift from across time and space’. Ivi, p. 7.

318 ‘China’s quest for modernity, therefore, created a perpetual scarcity not only as a social reality but also as a

national imagination’. Ivi, p. 10.

319 Come raggiungere la modernizzazione con risorse limitate è un problema comune a tutte le nazioni del

Il già citato film-documentario Bumming in Beijing: The Last Dreamers,320 è stato girato nel delicato momento a cavallo tra gli Ottanta e Novanta, quando la scarsità era in Cina una realtà che si materializzava nei mucchi di cavoli ai bordi delle strade, e incombeva sulla popolazione come una tara genetica (fig. 89). In questo quadro, Wu Wenguang rivolge l’obiettivo verso un peculiare gruppo di “poveri” urbani (e inurbati) provenienti da regioni periferiche della Cina, come lo Yunnan, di cui lo stesso Wu è nativo. Le persone in questione sono giovani artisti e intellettuali che il regista ha conosciuto e con i quali ha condiviso esperienze e aspirazioni. Sebbene si tratti gente dotata di talento e apprezzata, il suo status nella capitale cinese è precario come quello dei lavoratori stagionali e tutte le altre categorie di waidiren, le “persone che vengono da fuori”. I giovani, alcuni dei quali riusciranno a trovare fortuna in patria e all’estero, raccontano senza mediazioni le loro difficoltà (fig. 90), l’instabilità dovuta al mancato possesso dell’hukou – la registrazione di residenza essenziale per avere diritto ad un’abitazione a Pechino – la sensazione di emarginazione e precarietà, e la fame, denunciata dall’ammissione al ricorso alla pratica del cosiddetto “ceng fan” – il pellegrinaggio da amici e conoscenti in cerca di un pasto.

Dall’essere una serie di numeri e cifre statistiche, la povertà diventa concreta nel film, e conoscibile: in questo modo, ancora una volta, il cinema mette in scena un’assenza.