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II D IVISIONE DEL L AVORO E R IPRODUZIONE

1. Platone: divisione del lavoro, tecniche ed economia politica.

1.3 La città tryphosa.

Nell’ottica di Platone, invece, il filosofo è colui che non si rassegna alla mera constatazione del reale, per quanto miserevole esso sia. Anzi, il filosofo, conoscendo i principi e le forme, è in grado di individuare, per così dire, le ferite del reale e di

guarirle. Di qui la figura terapeutica assunta dalla filosofia nel II libro della Repubblica quando, dopo aver descritto la genesi e l’evoluzione della prima città, si vede anche il suo divenire “infiammata”.

Nel racconto socratico eravamo giunti all’incremento cui va incontro la città con l’ingresso dei salariati. Ma la città è forse adesso compiuta? Dove trovare la giustizia e l’ingiustizia di cui Socrate e i suoi interlocutori sono alla ricerca? Per ora abbiamo una comunità economica e organizzata secondo natura, ma non si è ancora determinato alcun ordinamento politico-istituzionale. Il passaggio dall’economico al politico è spiegato da Platone attraverso una radicalizzazione del nesso bisogni-divisione del lavoro che ha sorretto il logos socratico fino a questo punto del dialogo. L’irruzione di questo turning point è segnalata dall’intervento di Glaucone che, insoddisfatto dal quadro primitivista delineato da Socrate, bolla come una «città di maiali» (Resp. 372d) la comunità che è venuta a crearsi. L’uomo, per Glaucone, non può accontentarsi di dormire per terra e di mangiare ceci, fave, ghiande e bacche. L’uomo si distingue dagli altri animali soprattutto perché accompagna alla soddisfazione dei bisogni primari e fisiologici anche quella dei desideri e dei bisogni spirituali. L’idillio socratico è così spezzato da Glaucone che lo giudica falso e utopico: di solito gli uomini si nutrono anche di carne e dolci e dormono su dei letti. A questo punto Socrate, il quale «non è un partigiano del “ritorno alla natura” e dell’ideale “del buon tempo antico”»,132 accetta la proposta di Glaucone di delineare la genesi di un’altra polis, una polis tryphosa (lussuosa), in cui forse si scorgeranno meglio la giustizia e l’ingiustizia. Infatti, come ha scritto Eric Voegelin: «nonostante la polis primitiva sia un ordine per natura, e un ordine, per giunta, nobile e sano, essa non dà spazio a tutte le forze della natura umana».133 La creazione di questa nuova città viene condotta alla luce di un principio qualitativamente (non formalmente) diverso: la funzione causale, infatti, non sarà più svolta dal bisogno kata physin, ma dal bisogno del non-necessario, del superfluo, cioè dalla tendenza verso la tryphe (il lusso). La città che nasce sotto questo nuovo principio diverrà ben presto una città infiammata (phlegmainousa).

D’altro canto, l’evoluzione di questa nuova polis segue un filo conduttore che, sotto il profilo formale, è identico a quello che ha guidato il lettore nella ‘parabola’ della prima città. I nuovi bisogni ingrossano la popolazione della città con nuovi funzionari

                                                                                                               

132 A. Koyré, Introduzione a Platone, Vallecchi, Firenze, 1973, p. 90.

sociali che, come i rapsodi e le acconciatrici, corrispondono alla soddisfazioni di bisogni sempre più superflui:

«E dunque bisogna di nuovo ingrandire la città, perché quella sana non è più sufficiente. Si deve gonfiarne la mole riempiendola di una moltitudine di cose che compaiono nella città non più ormai in vista delle esigenze indispensabili: ad esempio tutti quanti i cacciatori e gli imitatori – molti che si occupano di figure e colori, molti altri di musica, i poeti e i loro assistenti, rapsodi attori coreuti impresari –, e fabbricanti di ogni genere di oggetti, tra gli altri quelli destinati alla cosmetica femminile. E naturalmente avremo bisogno di un maggior numero di inservienti: non credi che occorreranno pedagoghi, balie, governanti, cameriere, acconciatrici, e ancora cuochi e macellai: questo non c’era nella nostra prima città perché non serviva a nulla, ma in questa qui se ne aggiungerà il bisogno [prosdeesei]» (373b-c).

Come è facilmente riscontrabile in questo passo, il principio regolativo è sempre quello che lega la moltiplicazione dei bisogni alla divisione del lavoro. Il sorgere di nuovi bisogni determina un nuovo assetto sociale tanto che, rispetto al rigido ordine della prima comunità, questa città tryphosa, con il suo profluvio di nuovi attori sociali, si presenta per l’appunto come “rigonfia”: la schiera dei lavoratori improduttivi è venuta a sconvolgere l’equilibrio demografico della prote polis. Non sarebbe fuori luogo immaginarsi un Socrate che, parafrasando il moderno storico della società civile Adam Ferguson, dicesse: «in questa nuova città il poetare stesso può diventare un mestiere particolare».134

«Il gonfiore che ora affetta il corpo della polis allude a una escrescenza nella divisione del lavoro, all’inserimento dei technitai del lusso»135, e sullo sfondo si profila uno scenario urbano differente da quello decisamente più bucolico che aveva caratterizzato la “città dei maiali”. In questa nuova situazione sociale, determinatesi dalla tendenza verso il lusso che, di per sé, non ha limiti, si registra un aumento altrettanto indefinito delle dipendenze e delle necessità che trova un primo ostacolo nel bisogno della guerra. Perché l’arsenale di profumi, carni, tessuti, ecc. continui ad alimentare i lussi dei cittadini e perché ci sia una terra abbastanza grande per sostentare                                                                                                                

134 Cfr. A. Ferguson, Saggio sulla storia della società civile (1767), tr. it. di P. Salvucci, Vallecchi,

Firenze, 1973, p. 208: «Il pensare stesso in quest’epoca di differenziazioni può diventare un mestiere particolare».

una popolazione sempre più numerosa, c’è bisogno di un esercito «che si metta in marcia e combatta contro gli aggressori per difendere tutte le sostanze della città» (374a).

Il profilarsi della guerra rappresenta un nuovo punto di svolta nell’esposizione platonica. Si frantuma l’unità ideale e comunitaria della prote polis, la forza e la violenza fanno il loro ingresso nella città e, con esse, sorge anche il rischio dell’antagonismo sociale e delle lotte intestine. Come garantire un ordine di fronte a questi pericoli? Il principio della divisione del lavoro è un assunto da non mettere in discussione: come valeva per il calzolaio, esso varrà anche adesso per il soldato.136 Per esercitare, però, la funzione del soldato – o meglio, seguendo il lessico di Platone, del

phylax – è necessario essere dotati di non comuni qualità psico-fisiche. In particolare, i phylakes devono riuscire a essere collerici contro i nemici e miti verso i cittadini. Per

l’individuo stabilire un equilibrio tra collera e mitezza non è cosa facile, a meno che alla natura collerica non «se ne aggiunga una filosofica» (375e). La comparsa della natura filosofica – la natura desiderosa di apprendere – pone la questione dell’educazione e fornisce a Socrate l’occasione di rappresentare il grande progetto di rinnovamento pedagogico, cui sono dedicati il resto del libro II e il libro III.

Come sottolineato, il principio della divisione del lavoro continua ad agire come forma fondamentale dell’organizzazione comunitaria nella transizione dalla “città di maiali” alla polis tryphosa. Si è inoltre accennato al fatto che fino a qui i modelli di città presentati da Platone si muovono in un orizzonte semplicemente economico e pre- nomico: nessun ordinamento legislativo è ancora stato introdotto. È con la città lussuosa, e in particolare con il prospettarsi della guerra e il ritorno di                                                                                                                

136 Non condivido l’interpretazione di Cross e Woozley, i quali sostengono che con l’introduzione

dell’esercito Platone si discosta dal principio della specializzazione e della divisione del lavoro. Secondo i due interpreti, infatti, il phylax rappresenterebbe un tipo di lavoro qualitativamente diverso dal momento che presuppone tutti gli altri lavori: «It is one more job, but one of a different kind from any of the others, and is, in a sense, parasitic on them; for the soldier’s job is to protect the performance of the other jobs» (Cross, Woozley, op. cit., p. 95). Una simile interpretazione va contro lo stesso intento di Platone che, in termini piuttosto chiari, pone l’irrinunciabilità al principio della divisione del lavoro. È chiaro, del resto, che crescendo i bisogni della città crescono allo stesso tempo le dipendenze reciproche tra i cittadini. La funzione svolta dai phylakes non è meno parassitaria di quella svolta da un medico o da qualsiasi altra figura la cui techne non sia finalizzata alla soddisfazione di un bisogno primario. A questo riguardo è necessario precisare che la divisione del lavoro è un principio regolativo formale fondamentale che non può essere sottoposto ad alcuna forma di valutazione assiologica. Platone vuole semplicemente mostrare fino a che punto può arrivare la polis costruita nel modello e, nel farlo, prova a lasciare da parte ogni forma di giudizio morale: egli si limita a tracciare la parabola di una comunità alla luce di un necessario principio tecnico-organizzativo (cioè, la divisione del lavoro). Infine, la distinzione tra la prima città e la città lussuosa non può ricalcare, come invece suggeriscono Cross e Woozley, la distinzione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo: anche nella prima città infatti troviamo dei lavori che, come il commercio, non sono produttivi ma offrono semplicemente dei servizi.

quell’antagonismo sociale presentato precedentemente da Glaucone in termini naturalizzanti, che si richiede un nuovo ordine. La polis ha bisogno di nuove norme che ne garantiscano il benessere e ostacolino la degenerazione di quelle malattie che essa porta già in seno. Sul piano sociale la semplice reciprocità che regolava la vita della prima città non può perdurare: troppo grande è ormai la popolazione, troppi i funzionari sociali coinvolti a questo punto. Il rischio che si produca all’interno della città una netta polarizzazione tra ricchi e poveri – la cui origine Platone identifica nel fenomeno della diffusione di oro, argento e dei beni di lusso – trascina con sé il potenziale inasprimento della conflittualità sociale. Una volta, dunque, definite le norme per una nuova educazione dei cittadini, si pone la questione di stabilire un ordinamento sociale. Esso prevede la divisione in tre classi: la prima classe è quella dei governanti, la seconda quella dei guerrieri e la terza quella dei “lavoratori e commercianti”. Sulla base del parallelismo che lega anima e città (un presupposto che sorregge tutta l’esposizione della Repubblica) a ciascuna classe corrisponde una virtù: specifica dei re-filosofi è la

sophia, propria dei guerrieri è il coraggio, mentre la terza classe, che non ha una virtù

specifica, condivide con le altre due la sophrosyne, la temperanza che consiste nello svolgere il proprio lavoro riconoscendo l’autorità dei governanti. Siamo ormai nel libro IV, ma l’indagine socratica continua a muoversi in continuità con quanto enucleato sin dall’inizio del dialogo: l’oggetto di cui si è alla ricerca è la genesi della giustizia e dell’ingiustizia:

Nella nostra città [dice Socrate] tre aspetti sono stati scorti, almeno così pare. Ma la forma restante, grazie alla quale la città potrebbe ulteriormente partecipare della virtù, che cosa sarà mai? Perché è chiaro che questa è la giustizia (432b).

Nelle battute successive si scopre che la giustizia non consiste in nient’altro che nel ‘fare le proprie cose’ «praticato in un certo modo» (433b), ovvero non nell’orizzonte di senso che abbiamo visto operante nella definizione del ta heautou prattein data da Crizia nel Carmide. Nella città ideale il ‘fare le proprie cose’ è il principio che sta a garanzia del fatto che «ogni singolo individuo svolga il compito che gli è proprio senza moltiplicare le proprie attività» (433d), il che sarebbe a dire secondo il principio della divisione del lavoro. La divisione del lavoro si ripresenta in queste pagine come il fondamento organizzativo che lega la comunità, ma stavolta non più in semplice

continuità con la natura, bensì su un piano propriamente politico: in queste pagine la divisione naturale del lavoro si fa effettivamente divisione sociale del lavoro.