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La fenomenologia dello scambio.

II D IVISIONE DEL L AVORO E R IPRODUZIONE

2. Aristotele: lo scambio come un “vero problema”.

2.2 La fenomenologia dello scambio.

Partendo da questi presupposti Aristotele nel nono capitolo del primo libro della

Politica, ricostruisce una storia fenomenologica dello scambio, dalla sua forma più

semplice alla più complessa. La prima di queste forme è il baratto:

nella prima forma di comunità (che è la famiglia) non sussiste evidentemente la funzione propria dello scambio, che invece c’è nelle forme di comunità già più estese. I membri della famiglia infatti hanno tutte le cose in comune, quelli delle altre forme di comunità invece, vivendo separati, posseggono molte cose diverse gli uni dagli altri; e proprio di esse è necessario fare scambi secondo i bisogni, come ancora fanno molti popoli barbari servendosi del baratto (1257a 19-25).

Il baratto dunque è uno scambio semplice di un prodotto con un altro. Esso è ancorato al bisogno e alle qualità (i valori d’uso) delle merci scambiate. Il valore di scambio è qui una proprietà incorporata nella merce che, non avendo ancora acquisito una propria forma fenomenica autonoma (cioè, il denaro), è ancora in nuce. Il baratto è descritto da Aristotele come una forma naturale di scambio in quanto immediatamente limitato dalla particolarità del bisogno e del prodotto necessario per soddisfarlo.

Non tutti i bisogni, però, possono essere soddisfatti all’interno di una stessa comunità. Una città, infatti, in base anche alla sua particolare posizione geografica, alla sua condizione climatica e ai suoi specifici processi produttivi interni (ad esempio, il livello di divisione del lavoro), può non avere i mezzi necessari per soddisfare ogni tipo di bisogno. Nasce così il commercio a distanza, il quale, per ragioni logistiche legate alla difficoltà nel trasporto delle merci, si serve della moneta. La nascita della moneta è legata per Aristotele alla facilitazione del commercio a distanza. Essa però non è solo un semplice strumento dal momento che, con la sua genesi, introduce una nuova determinazione di non poco conto: il valore di scambio assume una propria specifica

forma autonoma di esistenza. In questo modo la quantità – la categoria cui rimanda il valore di scambio – si stacca dall’involucro della merce e si concretizza in un oggetto adeguato al suo concetto.212

Nel circuito M-D-M secondo Aristotele il valore di scambio ricopre ancora il semplice ruolo di intermediario dello scambio: il fine di questa forma di commercio è ancora il valore d’uso, la qualità della merce di cui c’è effettivo bisogno. Il punto è, però, che la moneta permette di separare cronologicamente l’atto della vendita (M-D) da quello della compera (D-M). Di conseguenza, già in questa forma di scambio si pongono potenzialmente tutte le condizioni per un processo di circolazione teso all’accumulazione di denaro in quanto equivalente generale. Aristotele è chiaro nell’evidenziare questo passaggio: «procurato il denaro dallo scambio praticato per necessità sorge un’altra specie di crematistica, il commercio al minuto [to kapelikon] che, dapprima forse rudimentale, in seguito con l’esperienza apprese l’arte di riconoscere da dove e come aumentare di molto il guadagno» (1257b 1-5).

Nella separazione dell’atto della vendita da quello della compera si celano le condizioni per il sorgere del profit upon alienation; esse aspettano semplicemente di essere riconosciute dall’astuzia del kapelos. Si genera in questo modo quella forma di crematistica innaturale finalizzata all’acquisto di ricchezza. Una volta che si è emancipata la vendita come atto socialmente riconosciuto, è sufficiente, sul piano logico, una semplice inversione di termini per passare al circuito D-M-D’: il vendere per comprare diventa il compare per vendere ad un prezzo maggiorato.

Come ha fatto notare Scott Meikle, il passaggio dal circuito M-D-M al circuito D-M- D’ è in qualche modo necessario in quanto è kata logon che il valore di scambio, una volta acquisita una forma autonoma di esistenza fenomenica, da mezzo divenga fine dello scambio.213

Con il circuito D-M-D’ siamo entrati nel dominio della crematistica innaturale, cioè di quella attività che è finalizzata all’aumento di ricchezza e, in particolare, di quello che è ormai il suo rappresentante generale: il denaro. In questo modo la forma di scambio D-M-D’ si può evolvere in una forma ancora più innaturale in cui la merce                                                                                                                

212 Marx scrive nel Per la critica che il denaro «è una cristallizzazione del valore di scambio delle merci

che esse determinano nello stesso processo di scambio» (ivi, p. 36).

213 Cfr. S. Meikle, Aristotle and the political economy of the polis, in «Journal of Hellenic Studies», 99,

1979, pp. 57-73, dove l’autore scrive: «things are more straightforward with retail-trade (kapelike), where people come to market not to sell what they have grown or made in order to buy what they need to consume, but rather to sell at a profit, M-C-M’. Aristotle introduces this form too as a necessary development out of the preceding form C-M-C, and understands it to have a development of its own» (ivi, p. 62).

come elemento di mediazione viene meno e il denaro giunge a maturare la propria natura di feticcio. È in questa cornice che Aristotele mette l’usura (D-D’), una forma di scambio che trae guadagno dal denaro stesso attraverso il prestito a interesse. Il prestito a interesse separa definitivamente il denaro dal fine per cui esso è stato introdotto: «infatti esso fu prodotto per gli scambi, mentre l’interesse ne aumenta la quantità. Di qui esso ha tratto il nome con cui lo si designa in greco: infatti i figli sono simili ai genitori e l’interesse è denaro di denaro, costituendo appunto per questo il più innaturale di tutti i modi di arricchire» (1258b 4-8).

Aristotele ha così identificato due tipi diversi e contrapposti di attività e i circuiti di scambio loro corrispondenti. Da un lato, infatti, si trova la crematistica naturale, il cui orizzonte è definibile in relazione all’oikos e a ciò che è necessario per la sua sussistenza e riproduzione; dall’altro, invece, si trova la crematistica innaturale, che travalica le necessità riproduttive dell’oikos e persegue l’arricchimento illimitato come fine. Nella crematistica naturale l’oggetto del bisogno rappresenta il principio e il fine dello scambio, sia che il denaro intervenga come medium (M-D-M) o meno (M-M), mentre nella crematistica innaturale è il denaro a dare avvio allo scambio e a costituirne il fine (D-M-D’ e D-D’).

Possiamo riassumere questi punti in uno schema simile:

ATTIVITÀ FINE FORME DI SCAMBIO

crematistica riproduzione M-M

naturale dell’oikos M-D-M

crematistica arricchimento D-M-D’

innaturale illimitato D-D’

A rendere meno rigida la schematizzazione e a dialettizzare (persino sul piano storico) il rapporto tra le due forme di crematistica interviene una questione cui ho già accennato e che non è il caso di tralasciare. Mi riferisco a quei punti dell’esposizione aristotelica che sembrano suggerire uno sviluppo kata logon da una forma all’altra di scambio. È come se gli elementi dello scambio, e il denaro in particolare, tendessero a realizzarsi storicamente secondo il proprio concetto. Il denaro, appunto, una volta che si è posto come equivalente generale in M-D-M si presenta potenzialmente come rappresentante universale della ricchezza dal momento che con esso è possibile

acquistare qualsiasi cosa. Il superfluo, qualsiasi desiderio, può diventare oggetto d’acquisto; il nesso con il bisogno, la categoria che struttura l’attività oikonomika, va così perduto.

In conclusione, queste due attività – la crematistica naturale e quella innaturale – così tanto eterogenee (la prima è ancorata al bisogno e finalizzata all’acquisizione di un particolare valore d’uso, mentre la seconda è tesa all’illimitata accumulazione di quantità sempre maggiori di denaro, il valore di scambio resosi autonomo) finiscono per trapassare l’una nell’altra. Questa dicotomia resta comunque un problema centrale nell’analisi aristotelica. Aristotele, infatti, si confronta qui con il nocciolo della questione: le categorie economiche di un mondo in divenire. È anche per questo che in queste pagine non mancano riferimenti a quelle figure sociali che portano sulla propria pelle il marchio stesso di questo genere di aporie.