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La divisione sociale del lavoro, le tecniche e l’organizzazione della polis.

II D IVISIONE DEL L AVORO E R IPRODUZIONE

1. Platone: divisione del lavoro, tecniche ed economia politica.

1.4 La divisione sociale del lavoro, le tecniche e l’organizzazione della polis.

Le due costanti necessarie al funzionamento di qualsiasi gruppo umano – la specializzazione tecnico-lavorativa e la reciprocità – vanno adesso riconfigurate all’interno di una nuova realtà, quella della città in quanto comunità politica dotata di un preciso ordinamento istituzionale e di una definita gerarchia sociale.

Si può riassumere il ragionamento di Socrate in maniera serrata: se il fondamento della città è la giustizia, e la giustizia consiste nel ta heautou prattein, ovvero nella divisione sociale del lavoro, ne conseguirà che la divisione sociale del lavoro, la quale trova un proprio correlato nella distinzione delle tre classi, è il fondamento dell’ordinamento socio-politico della polis.

L’insistenza di Platone sull’importanza della divisione del lavoro, tanto da far coincidere con essa la definizione della giustizia, rivela il ruolo determinante che essa assume per il filosofo nella configurazione della polis. La divisione del lavoro in quanto fondamento è definitoria, allo stesso tempo, anche dei limiti della città: laddove un cittadino finisca per dedicarsi a più di un attività, o laddove un calzolaio o un affarista trasgrediscano l’ordine delle classi e decidano di diventare guerrieri, si assiste alla genesi dell’ingiustizia e, di conseguenza, all’infrangersi dell’essenza comunitaria stessa. È implicita nel discorso di Platone l’accusa rivolta verso Atene: essa è diventata un modello negativo che ha da tempo dismesso la propria natura di totalità organica e ha perso ogni misura di giustizia. Al tempo di Platone è del resto ormai perfettamente naturale che un artigiano qualsiasi sia anche membro del consiglio, che al vertice politico ci sia un ceto di parvenus arricchitisi con il commercio, che la sophia sia la prostituta dell’agora, pronta a posarsi sulla bocca di tutti grazie all’insegnamento dei sofisti.

Come è a questo punto chiaro, tali osservazioni non sono in Platone semplici frutti dello sdegno e del risentimento morale, ma sono piuttosto ben ancorate a delle riflessioni che riguardano l’organizzazione della polis, il suo ordine interno e i suoi meccanismi di riproduzione. Del resto per Platone la città deve essere una totalità organica, composta di parti funzionali tra loro; se una di queste parti si ammala, allora

soffre tutto il corpo (cfr. 462d). La metafora dell’equilibrio psico-fisico del corpo per descrivere la fisiologia della polis risulta particolarmente calzante. Così come lo stato di salute di un organismo è garantito dai suoi processi di produzione e riproduzione fondamentali (bisogni fisiologici e sessuali) e dal regime dello stile di vita (ad esempio, la dieta), altrettanto si può dire per la città, la cui riproduzione è legata all’organizzazione interna del lavoro produttivo e il cui ‘stile di vita’ è regolato dal regime politico e dalle leggi da questo emanate.

Acquistano pertanto un valore tutt’altro che secondario quelle norme esposte nella prima parte del quinto libro, tese a regolare la vita interna della kallipolis.137 Tra di esse la più significativa è quella che riguarda l’abolizione dell’oikos. La proprietà privata rappresenta per Platone la condizione di possibilità dell’arricchimento e della contrapposizione sociale tra ricchi e poveri. Questo avviene perché la proprietà spezza l’unità della polis che da totalità diventa plethos, una massa disorganica composta di molti individui. L’oikos, infatti, rende private le questioni relative alla parentela e al patrimonio; in esso si celano le radici della divisione e del conflitto fra gli interessi contrapposti dei cittadini.138 I principi che regolano la produzione e la riproduzione dell’organismo sociale rimangono astratti se non si concretizzano in qualche modo in un

ethos pubblico, il quale per Platone deve spogliarsi di qualsiasi componente privatistica

così da assicurare il mantenimento dell’equilibrio all’interno del corpo sociale. Su questa strada, la polis che più si avvicina «alla condizione di un solo uomo» (462c) si libera di quei fenomeni conflittuali di matrice economico-sociale ben presenti agli Ateniesi del tempo e definiti «sconvenienti» da Socrate, che ne offre alcuni esempi:

adulare i ricchi, loro poveri, e le penose difficoltà che si incontrano nell’allevamento dei figli e nei tentativi di guadagnare per dare ai domestici il cibo necessario, ora contraendo prestiti, ora rifiutando di pagare i debiti, ricorrendo a ogni espediente per procurarsi del denaro da consegnare a donne e domestici con l’incarico di amministrarlo – con tutte le sofferenze

                                                                                                               

137 Per una elaborazione critica del ruolo del libro V nell’economia del dialogo cfr. Vegetti, Introduzione,

in Platone, op. cit., pp. 104-107.

138 Nella kallipolis non si danno le condizioni di possibilità per la produzione di quel conflitto,

rappresentato in maniera esemplare nell’Antigone di Sofocle, che si manifesta nella scissione tra un principio etico (impersonato da Antigone) ed un principio politico (impersonato da Creonte). Seguendo Hegel, si può dire che questa scissione elabora forme di conflittualità che incrinano la «bella eticità» – l’immediata immersione nella sostanza etica – che caratterizza il mondo greco. Cfr. Hegel, La fenomenologia dello spirito, pp. 291-318; Id., Lineamenti di filosofia del diritto, § 257.

che si patiscono, amico, in simili faccende, e che sono fin troppo chiare, ignobili e indegne di molte parole (465c).

La fondazione di questo nuovo ethos è radicale e prevede anche una “riabilitazione” della donna sulla scena pubblica, al di fuori dal ristretto cerchio delle mura domestiche. Uomo e donna non sono poi così tanto diversi per natura, cioè sotto un profilo immediatamente biologico-organico. La donna sembra essere un po’ più debole dell’uomo, ma ha tutte le capacità intellettuali per essere destinata ai programmi pedagogici escogitati da Socrate per la kallipolis: non c’è motivo per negare alle donne migliori le funzioni che spettano agli uomini migliori. Le differenze specifiche, per Platone, si determinano solamente sul piano sociale e la differenza tra uomo e donna non è ravvisabile su di esso. «Riemerge ancora una volta l’interpretazione, tipicamente platonica, del cittadino come di un tecnico, distinto dagli altri cittadini che eseguono tecniche diverse»,139come scrive giustamente Cambiano. Il criterio di differenziazione, che parte dalle differenti attitudini naturali, si concretizza sul piano sociale nella divisione del lavoro. Il nesso divisione del lavoro-tecniche risulta ancora determinante.

La divisione del lavoro è il fattore principale dell’unità e della coesione sociale, la sua finalità non è legata solamente all’efficienza produttiva, bensì anche alla stabilità politica. La gerarchia sociale della kallipolis, come già visto, è una gerarchia stabilita proprio in base alla divisione del lavoro e al ruolo svolto dalle tecniche nell’economia della città. Pertanto le leggi servono a preservare quest’ordine, a dargli una veste etica senza compromettere l’unità politica. È qui che entra in gioco il sapere come fattore raziocinante fondamentale. Esso è in grado di distinguere le tecniche dalle pseudo- tecniche, di tracciare le distinzioni fondamentali tra le classi e tra i cittadini. La stessa gerarchia sociale elaborata da Platone non avrebbe senso se il sapere non avesse quel ruolo di principio d’autorità superiore che lo distingue da tutte le tecniche (tra cui anche la politica: cfr. 590a). Platone presenta qui una tesi antitetica a quella espressa da Protagora nel mito di Prometeo. Se per Protagora la politica è giustizia (dike) e rispetto (aidos), per Platone tra politica e giustizia c’è una scissione: la politica è infatti una tecnica come le altre e, in quanto tale, può essere esercitata solo da una classe di tecnici che si dedicano esclusivamente ad essa; la giustizia è invece il fondamento della polis come totalità organica e risiede, come abbiamo visto, nella divisione del lavoro. Non pensare, come fa Protagora, la scissione tra politica e giustizia significa contravvenire al                                                                                                                

principio della divisione del lavoro e aprire le porte all’ingiustizia e alla genesi delle scissioni e dei conflitti nella società. La giustizia, in quanto virtù, consiste proprio nell’assicurare che ogni tecnica svolga il proprio ruolo nell’ambito sociale.

Il progetto di riforma politica proposto da Platone nella Repubblica è rappresentabile visivamente come una piramide il cui vertice superiore è costituito dalla sophia e la cui base è sorretta dal nesso divisione del lavoro-tecniche. Tutto è giocato sul piano della dialettica che viene a realizzarsi tra sapere, divisione del lavoro e tecnica.

Per questo motivo credo che deboli basi abbiano le interpretazioni che riportano a Platone una concezione in cui l’economico è sottomesso e limitato dal politico. A mio parere, simili tagli interpretativi falliscono ancora prima di iniziare proprio perché, in Platone specialmente, politico ed economico non esistono come realtà a sé stanti. Nel rinnovamento politico progettato da Platone nella Repubblica pensare un ordine politico è allo stesso tempo pensare una economia politica. Come si è visto, infatti, il fondamento stesso di qualsiasi comunità è un fondamento economico teso ad assicurare la riproduzione dell’organismo sociale. Ciò non può avvenire senza il lavoro e, soprattutto, senza un’organizzazione di esso, cioè la divisione del lavoro. La comunità, però, è anche una comunità politica ed essa, in quanto tale, ha una propria struttura sociale che, in Platone, si sostanzia nella divisione tra le tre classi e nella gerarchia di governanti, guerrieri e lavoratori-artigiani-commercianti. Platone esclude una differenziazione delle posizioni sociali che si basi sui criteri di nascita o di ricchezza, e ne pone una sostanzialmente fondata sulla divisione del lavoro.

È in questa complessa cornice che va inserita la constatazione che il nomos ha un valore positivo solo quando è accompagnato da una reale consapevolezza di che cosa sia la giustizia, la quale si scopre consistere nel ta heautou prattein, cioè nella divisione del lavoro.

È necessario però fare anche le dovute distinzioni. Quando dico che in Platone non si dà effettivamente una divisione tra il politico e l’economico non intendo suffragare, come fanno altri interpreti, l’idea che questa avvenga in pensatori ed epoche successive a Platone. Mi riferisco, in particolare, a contributi critici che si muovono nell’orizzonte interpretativo che si rifà alla distinzione tra embedded e disembedded economy coniata da Karl Polanyi. Secondo Polanyi, infatti, è possibile rintracciare nella storia una distinzione tra epoche in cui l’economico è aggiogato al politico ed epoche in cui esso inizia un percorso di emancipazione, finalmente giunto a compimento con l’età moderna. Polanyi, nel suo saggio Aristotele scopre l’economia, è convinto che la

frattura che determina la discontinuità tra le due epoche sia registrata proprio dai cosiddetti “testi economici” di Aristotele.140 Viceversa, un filosofo come Platone «attraverso un’ottica arcaizzante, si colloca prima della frattura, si colloca in quella dimensione originaria in cui la politica è intesa come orizzonte totale, esaustivo, entro cui cade tutto ciò che riguarda l’uomo in quanto in relazione con altri uomini».141 Non sono pertanto convinto che si possa riconoscere alle argomentazioni di Platone un «carattere metaeconomico»142, ben distinto da un contrapposto carattere economico che, a detta di Giovanna Fabris, sarebbe assente nella Repubblica. Su questa strada, il discorso di Platone finisce per essere svilito sul piano di un semplice dover-essere dalle finalità extra-economiche consistenti nella riproduzione «dell’individuo eticamente e di conseguenza politicamente connotato».143

Al contrario mi pare che, se non si vuol perdere il parallelismo platonico tra individuo e città, non si può evadere quella prospettiva a cui il filosofo continuamente ci richiama, in cui ethos, ordine politico e divisione del lavoro si compenetrano l’un l’altro in vista della riproduzione dell’intero organismo sociale (individui compresi). In quest’ottica, come dicevo più sopra, risulta pienamente comprensibile anche la diffidenza di Platone nei confronti dell’oikos e di altre istituzioni tipiche dell’Atene del tempo.

La stessa distinzione tra politico ed economico individua due «determinazioni unilaterali di pensiero nel loro isolamento», ma la realtà effettiva le mostra ovunque intrecciate e co-operanti e, pertanto, solo un approccio realmente speculativo – cioè, che «ha il principio della totalità e mostra di sormontare l’unilateralità delle determinazioni dell’intelletto»144 – può aiutare a comprenderle. Appaiono pertanto parziali quelle interpretazioni che rintracciano nel dominio totalizzante del nomos – teso peraltro al contenimento delle spinte autonomistiche dell’economia così come degli individui – il nucleo centrale del pensiero politico di Platone.145 Credo, invece, che la lezione della                                                                                                                

140 Cfr. K. Polanyi, Aristotele scopre l’economia, in Vegetti (a cura di), Marxismo e società antica,

Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 101-131.

141 G. Fabris, Economia di sussistenza, rapporti di scambio e istituzioni politiche. Un’indagine su

Platone, in L. Ruggiu (a cura di), Genesi dello spazio economico, Guida, Napoli, 1982, pp. 11-48, p. 43.

142 Ivi, p. 23.

143 Ivi, p. 19. Per un’interpretazione simile cfr. H. Denis, Storia del pensiero economico, I, Mondadori,

Milano, 1973, cap. 1.

144 Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Vol. I, La scienza della logica, tr. it. di V. Verra, Utet,

Torino, 1981, § 32 Z., p.180.

145 Cfr. soprattutto K. Popper, La società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario, I, Armando Editore,

Roma, 1973, in particolare pp. 63-89. Contro Popper, penso che siano più che condivisibili i sintetici, ma comunque marcati rilievi critici mossi da F. Ferrari, Introduzione. Disagio della civiltà e blocco del

filosofia platonica sia una lezione veramente speculativa, che insegna a pensare

politicamente la realtà come una totalità organica, per la cui comprensione non si può

prescindere da fondamentali principi economici, che in primis riguardano la sussistenza degli individui facenti parte di un corpo sociale. I discorsi di personaggi della scena ateniese quali Trasimaco, Glaucone, Adimanto, Crizia ecc. sono inefficaci in quanto poggiano su astrazioni indeterminate e fondamentalmente impolitiche, le quali, trascurando i principi economici relativi alla sussistenza di una comunità, si rivelano incapaci di dare una definizione della giustizia e del giusto. La lezione di Platone pertanto è un invito a non pensare distintamente politico ed economico: per il filosofo la teoria politica è anche un’economia politica.146