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Il denaro Dalla Politica all’Etica Nicomachea.

II D IVISIONE DEL L AVORO E R IPRODUZIONE

2. Aristotele: lo scambio come un “vero problema”.

2.4 Il denaro Dalla Politica all’Etica Nicomachea.

Si è visto in che maniera l’indagine aristotelica tende a evidenziare le ambiguità implicite nel processo di scambio in quanto progressiva de-naturalizzazione delle condotte economiche. Queste ambiguità sono portate alla luce a partire dall’analisi della crematistica. La crematistica si rivela, infatti, una techne molto particolare che per alcuni aspetti si differenzia dalle altre technai.

La crematistica è una tecnica pratica e non d’uso che, nella forma innaturale, tende indefinitamente all’accumulazione illimitata. Questo, come si è visto, avviene perché in essa si viene ad annullare il naturale rapporto tra mezzo e fine: il fine (la merce) diviene mezzo e il mezzo (il denaro) fine. Inoltre, la crematistica innaturale sembra sovvertire tutte le leggi di funzionamento delle altre tecniche: essa, non portando a compimento ciò che la natura non può autonomamente effettuare né imitando la natura, si distingue                                                                                                                

dalle altre technai. In questo modo, la crematistica innaturale si rivela nella sua più profonda essenza come qualcosa di puramente convenzionale, separato dalla physis. Come ha scritto Luigi Ruggiu, «la tecnica economica non si inserisce nei pori lasciati liberi dallo spazio economico tracciato e definito dalla natura, ma si sovrappone o si affianca ad essa mediante la costruzione di uno spazio economico artificiale».217

Le ambiguità della crematistica innaturale sono presenti anche in quello che è il suo oggetto prediletto: il denaro. Come detto più sopra, Aristotele nella Politica descrive la genesi della moneta. Essa è essenzialmente uno strumento utile e necessario per permettere lo scambio a distanza dei beni che servono alla città. Con la mediazione del commercio al minuto, che separa temporalmente l’atto della vendita da quello della compera, si creano le condizioni di possibilità perché il denaro diventi da mezzo fine dello scambio.

In base all’evoluzione dello scambio presentata da Aristotele si è visto il progressivo autonomizzarsi del valore di scambio, dal denaro come mezzo al denaro come fine. Il problema è che le ambiguità non sono presenti solo dal lato dell’oggetto (il denaro) ma anche dal lato del soggetto (Aristotele). Come ha giustamente scritto Meikle:

Aristotle is in two minds about money. His official view of its nature is that of a means, but this is a stipulation rather than a conclusion, because he does not argue for it. The view that money is an end is just as integral to his analysis, and his attempt to exclude it as a perversion is inconsistent with his account of the development of exchange where both views of money are integrated.218

A questo genere ambiguo di processo si alludeva più sopra dicendo che il denaro passa da essere mezzo a essere fine kata logon, cioè realizzando progressivamente le potenzialità implicite nel suo stesso concetto. Dietro a una simile aporia si nasconde per Aristotele una profonda difficoltà concettuale: il denaro conferisce una dimensione quantitativa alla qualità (il valore d’uso) dei beni che vengono scambiati. In base a quale principio, però, due categorie così distinte, che rappresentano due diversi generi di predicazione della sostanza, come la qualità e la quantità, possono essere ‘comunicanti’                                                                                                                

217 L. Ruggiu, Aristotele e la genesi dello spazio economico, in Id. (a cura di), Genesi dello spazio

economico, Guida, Napoli, 1982, pp. 49-117, p. 84.

218 Meikle, Aristotle on Money, in «Phronesis», 39-1, 1994, pp. 26-44, pp. 38-39. A questo articolo di

Meikle ha mosso critiche di metodo e di merito C. Natali, Aristotele o Marx? A proposito di «Aristotle on money» di S. Meikle, in «Phronesis», 41-2, 1996, pp. 189-196.

ed esprimersi l’uno nella forma dell’altro? Questa è la domanda critica attorno alla quale ruota il ragionamento aristotelico. Il denaro, cioè, porta con sé anche una “contraddizione” ontologica che si esprime nell’abisso metafisico che separa la qualità dalla quantità e che renderebbe irrealizzabile lo scambio in quanto processo illogico e auto-contraddittorio. La consistenza naturale-metallica del denaro (la sua qualità, il suo valore d’uso) non può, infatti, essere separata dalla sua funzione all’interno dello scambio (ovvero, quello di rappresentante del valore di scambio della merce).

Inoltre, non sono da trascurare le contraddizioni in cui Aristotele incorre attorno alla consistenza metallica del denaro. La consistenza materiale del denaro, da Aristotele considerata in maniera più approfondita di quanto fatto da Platone, bilancia le posizioni convenzionaliste e funzionaliste che emergono in altre parti del corpus aristotelico (cfr.

Eht. Nic. 1133a 26-33). Nel primo libro della Politica Aristotele descrive i materiali che

costituiscono la materia del denaro, «come il ferro o l’argento o anche qualche altro materiale, dapprima definito semplicemente nella sua dimensione e nel suo peso, poi con l’impressione di un carattere, che potesse dispensare dall’effettuare la misurazione, e che servisse da marchio indicante la quantità» (1257a 37-41).219

Il fatto che il denaro, come un Giano bifronte, presenti una doppia natura, rappresenta una difficoltà per Aristotele. Questo forse incide anche sulle contrapposizioni presenti nella sua esposizione – di cui un esempio può essere appunto la considerazione, da un lato, del denaro come oggetto naturale-materiale, e, dall’altro lato, dell’elemento convenzionale-funzionale di esso. La difficoltà nasce anche dal fatto che queste opposizioni sono oggettivamente apparenti e tendono a scomparire l’una nell’altra.

Come scrive Marx nei Grundrisse, «durevolezza, inalterabilità, divisibilità e ricomponibilità, trasportabilità relativamente facile, in quanto racchiudono un valore di scambio massimo in un minimo spazio»:220 queste sono le qualità che rendono i metalli i perfetti rappresentanti della merce. Questo significa che la moneta ha il potere di essere un equivalente generale, cioè di essere scambiabile con qualsiasi valore d’uso. Il                                                                                                                

219 Aristotele ha ben presente l’importanza storica della consistenza metallica, dei pesi e delle misure

della moneta. Cfr. ad esempio La costituzione degli Ateniesi laddove, parlando delle riforme economiche introdotte da Solone, il filosofo scriverebbe (il condizionale è d’obbligo dal momento che l’attribuzione di questo scritto ad Aristotele è problematica): «infatti con Solone le misure divennero maggiori di quelle di Fidine, e la mina, che in precedenza valeva settanta dracme, fu portata a cento. Il vecchio tipo di moneta era di due dracme. Egli stabilì anche il peso in rapporto con la moneta, e sessantatré mine facevano un talento, e le tre mine vennero riportate allo statere e alle altre unità di misura» (ivi, 10.2).

220 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, tr. it. E. Grillo, La Nuova

denaro è così legato, da un lato, a una particolare qualità costituita dalla sua consistenza metallica e, dall’altro lato, a una facoltà universale in base alla quale tutto può essere espresso in denaro.221

Dunque, a mio parere, ha poco senso rinvenire in Aristotele due differenti teorie della moneta – una metallista esposta nel primo libro della Politica e una convenzionalista presentata nel quinto dell’Etica Nicomachea – dal momento che nella sua analisi il filosofo non fa altro che riflettere sempre attorno a dicotomie e polarità presenti nella natura stessa del denaro. Non si hanno, pertanto, due teorie della moneta, quanto piuttosto una moneta dalla natura doppia, plurale.222 Aristotele tenta di penetrare questa natura e di comprenderla a fondo anche attraverso un cambiamento di prospettiva e dei presupposti dell’analisi. È dunque riduttivo sostenere, come Ross, che le sole «caratteristiche intrinseche della moneta rilevate da Aristotele sono: 1) che essa è più portabile di altri beni, e 2) che ha un’utilità sua propria, oltre la sua convenienza per lo scambio».223