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Mercanti, commercianti e banchieri.

II D IVISIONE DEL L AVORO E R IPRODUZIONE

2. Aristotele: lo scambio come un “vero problema”.

2.3 Mercanti, commercianti e banchieri.

Nell’evidenziare il discrimine esistente tra crematistica naturale e crematistica innaturale, Aristotele è costretto anche a confrontarsi con quello che è il senso comune del suo tempo. Per il filosofo, infatti, ogni attività è definibile in relazione al fine verso cui è rivolta. Si è già visto che le due forme di crematistica sono attività qualitativamente diverse perché rivolte a fini distinti. Questa distinzione, però, è definibile sul piano del ragionamento filosofico che, servendosi dell’astrazione intellettuale, riesce a penetrare l’apparenza e a enucleare le categorie sottese alle condotte pratiche della vita quotidiana.

Sul piano fenomenico, d’altro canto, la distinzione tra oikonomia e crematistica innaturale non doveva essere così immediatamente identificabile se Aristotele, facendo una sorta di critica del senso comune, scrive:

perciò ad alcuni sembra che questo [cioè l’arricchimento illimitato] sia il compito dell’amministrazione domestica e si continua a credere che essa debba salvaguardare o aumentare all’infinito la consistenza del patrimonio pecuniario. La causa di questo atteggiamento è l’affaticarsi intorno a quelle cose che permettono di vivere, senza preoccuparsi di vivere bene, e poiché il

desiderio di quelle cose non ha limiti, si desiderano mezzi produttivi illimitati (1257b 38-1258a 2).

Le forme di doxa, che obnubilano il giudizio dei più, trovano una spiegazione per Aristotele alla luce del passaggio che avviene tra un’economia del bisogno e un’economia del desiderio. Questo passaggio, però, non può limitarsi ad essere astrattamente enunciato, ma deve essere spiegato sulla base di un esame dei rapporti strutturali reali che regolano i rapporti sociali della polis. È per questo motivo che Aristotele si dedica anche ad un’indagine sociologica incentrata su quelle figure che possono essere, volenti o nolenti, portatrici di questo genere di cambiamento.

All’economia del desiderio corrisponde l’arte della crematistica innaturale, «fondata sullo sfruttamento reciproco» (1258b 1) e rappresentata dalla pleonexia incarnatasi nelle relazioni sociali. Se il sofista è un commerciante che coltiva il proprio sapere non per amore della scienza ma per il profitto, la stessa cosa avviene per quanto riguarda i soldati e i medici, i quali perdono di vista il rapporto tra la propria attività e il suo fine specifico:

infatti al coraggio spetta produrre non ricchezze, ma audacia, né produrre ricchezza spetta all’arte della guerra o a quella medica, la prima delle quali si propone il raggiungimento della vittoria e la seconda quello della salute, ma essi ne fanno altrettante forme di crematistica, come se questo fosse il loro fine e a questo fine tutto dovesse tendere (1258a 10-14).

Questo passo può ricordare alcune considerazioni fatte da Platone attorno alla

misthotike. Non credo sia però condivisibile il giudizio di chi, come Ernest Barker,

considera Aristotele «as reactionary in economics as was Plato».214 Aristotele, partendo dalla prospettiva teorica aperta da Platone, fa degli enormi passi avanti poiché arriva a identificare i processi di circolazione cui è connessa quella forma di accumulazione che chiama crematistica innaturale. Questi processi sono connessi, come si è già visto, con il sorgere di un’attività finalizzata all’accumulazione illimitata di valori di scambio.

La rottura tra l’oikonomia e la crematistica innaturale, che supera i limiti circoscritti dal bisogno e dall’oikos, si è iniziata a produrre con la genesi della moneta in quanto forma autonoma di esistenza del valore di scambio e con l’annessa importanza sociale                                                                                                                

assunta dal commercio. Nell’esposizione di Aristotele il commercio è inizialmente un’attività finalizzata all’acquisizione di quei prodotti di cui c’è bisogno nella polis. In questo contesto, però, si assiste al progressivo

radicarsi di tecniche commerciali rivolte alla realizzazione di profitti e di una nuova attenzione alle condizioni di mercato: entro lo schema di uno scambio naturale, teso alla realizzazione dell’autosufficienza, si profila un’attività di effettivo scambio commerciale “praticato dagli uni a scapito degli altri” secondo la definizione aristotelica. È in tale commercio di mercato che […] si identifica sostanzialmente la crematistica perché è in esso che si genera quel processo di valorizzazione del denaro che è sua prerogativa.215

Il cambiamento di cui si fa portatrice la kapeleia consiste nell’acquisizione, grazie all’esperienza fatta direttamente dal kapelos, di quelle tecniche in grado «di riconoscere da dove e come aumentare di molto il guadagno» (1257b 4-5).

Come in Platone, anche in Aristotele il commercio all’inizio svolge un ruolo necessario alla riproduzione “naturale” del corpo sociale, ma finisce poi per interpretare sul piano economico le dinamiche che mettono a rischio la conservazione stessa della

polis. Questo avviene non tanto per la volontà dei kapeloi, quanto, piuttosto, per delle

ragioni strutturali immanenti alla vita economica della Grecia nel quarto secolo a.C. Aristotele sembra alludere continuamente alla realtà storica a lui contemporanea come presupposto della sua analisi. È impossibile, infatti, rileggendo le pagine dedicate alla crematistica innaturale, non rappresentarsi nel pensiero quella realtà popolata di mercanti, commercianti e banchieri che trovava il proprio background nell’agora così come nel Pireo. Mercanti, commercianti e banchieri finiscono per essere dramatis

personae nel teatro politico-sociale della polis del quarto secolo a.C.: probabilmente

privi di una vera e propria ‘coscienza di classe’, essi concepivano la propria attività all’interno delle forme ideologiche dominanti. In questo si può seguire Finley e sostenere che simili figure sociali condividono tutte una particolare condizione

borderline: quella dell’emarginato che vive, malgrado i suoi continui tentativi di

forzarli, al di fuori dei confini definiti dai diritti politici della polis.

                                                                                                               

215 S. Campese, Polis ed economia in Aristotele, in M. Vegetti, D. Lanza (a cura di), Aristotele e la crisi

I crematisti erano spesso stranieri, meteci, che miravano al riconoscimento di uno

status più prestigioso (quello di cittadino) e al raggiungimento di una posizione politica

più rilevante. Pertanto, dal momento che essi si mostravano solidali con l’ideologia dominante e con le sue logiche, si può sostenere che non riconobbero la radicale rottura rappresentata dal loro ruolo e il processo di cui si resero protagonisti. Ha dunque senso parlare di «origini anonime dell’accumulazione monetaria, riposte nelle mani di personaggi mediocri e socialmente irrilevanti».216

La trattazione aristotelica del valore di scambio presuppone questo background sociale e, allo stesso tempo, ne spiega la genesi nel corso della sua esposizione. Quello che sembra emergere da queste pagine è il tentativo fatto da Aristotele di mettere in qualche modo a sistema le nuove tendenze economiche visibili nella polis. Probabilmente il filosofo non è riuscito a pervenire ad una concettualizzazione sistematica e quel che ci resta è “solo” una riflessione profonda sul cambiamento strutturale cui sta andando incontro il suo mondo. Non è però il momento di soffermarsi su simili giudizi. Per ora, quel che mi preme evidenziare è che il cambiamento strutturale vissuto dalla polis è socialmente agito da figure la cui attività è legata al denaro.