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VI. 1 «Paradigma» del montaggio

VI. 7 Collage/Montage: ritorno a Dioniso

“La sorte di Dioniso, analoga a quella dei giovani culti di altri paesi, e gli atti collettivi che riproducevano quella sorte presero gradualmente la forma della rappresentazione. Nasce la tragedia”458

La questione del conflitto e della dialettica della forma cinematografica, come si è visto, è tutt’altro che un semplice omaggio all’ideologia, ma piuttosto il cuore pulsante, ritmico, del lavoro di Ejzenstejn che ritorna continuamente su questo punto, mostrando che non si tratta tanto di una sua scelta filosofica o ideologica, quanto di un principio generativo comune a tutte le arti e alla natura stessa e nella sua Teoria generale del montaggio ce ne dà una dimostrazione virtuosistica.

Montare dialetticamente i conflitti all’interno dell’opera significa articolare la totalità in modo che al suo interno convivano una molteplicità di conflitti a gradi e livelli diversi. Il regista è però convinto che esistano operazioni e regole che al di là dei mezzi impiegati, possono produrre risultati efficaci, dal punto di vista creativo e dell’influsso

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Ejzenstejn, Dal teatro al cinema, in La forma cinematografica, cit. p. 12s.

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Ejzenstejn , L’inatteso, in La forma cinematografica,cit., pp.19-29.

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dell’opera sugli spettatori459. Quello che è comune, è questo principio del conflitto che con un termine musicale chiama «contrappunto»: il cinema è una sintesi di due contrappunti,

contrappunto visivo, o audiovisivo (nel cinema sonoro).

A questo punto Ejzenstejn cerca di sparigliare le carte, per approfondire il suo pensiero. Cita Lessing e la sua distinzione tra arti spaziali e temporali per superarla, considerando l’esempio del simultaneismo di Barzun, ma arrivando infine al suo amato Ulisse di Joyce, la “vetta più alta toccata dalla letteratura borghese”, “l’ultimo monumento dell’epos borghese”460:

“ogni espressione, ogni parola in Joyce lavora come un’intera colonna di piani, significati, strati di associazioni: a partire dai più semplici strumenti delle combinazioni sonore fisiologiche, attraverso due o tre strati di immagini regolari, fino a raggiungere un piano di lettura sovrastrutturale che mette in gioco reminiscenze, associazioni, echi di significati e sentimenti”461.

Ecco, si è tentati di dire, la formula perfetta dell’espressione artistica per Ejzenstejn, salvo che qui manca del tutto l’elemento ideologico pianificato che avrebbe fatto inorridire Joyce. C’è oltre alla polifonia un altro aspetto che per Ejzenstejn fa dell’Ulisse joyciano un’opera esemplare: il legame tra le parti del corpo e la totalità dell’uomo, tra le parti sezionate e il corpo intero.

Non si tratta solo di un aspetto specifico dell’opera di Joyce, ma di qualcosa che per il regista sovietico è una sorta di Urphänomen del montaggio: smembramento e ricomposizione, ovvero Dioniso “che viene dilaniato e le sue membra che di nuovo si

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Mezzi diversi possiedono evidentemente diverse possibilità di montaggio, ma i due assi fondamentali sono quello spaziale e temporale: la pittura ad esempio crea l’effetto dinamico attraverso la giustapposizione spaziale di elementi, mentre la musica può contare sulla sequenzialità e sulla simultaneità per i suoi effetti. In realtà nella pittura contemporanea, dice Ejzenstejn, il ritmo viene ottenuto attraverso conflitti che possono essere lineari (come in Léger), aneddotici (in Toulouse-Lautrec), in modi ancor diversi nel futurismo italiano o in Rodin.

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Ejzenstejn, TGM, pp. 252 e 253.

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Ibidem, p. 358. A proposito dell’incontro del regista con il suo eroe Joyce a Parigi, cfr. Marie Seton, S. M. Eisenstein, tr. it. Bocca editori, Milano 1954, p. 175s.

compongono in un Dioniso trasfigurato. Ciò è la soglia da cui muove l’arte del teatro, che diventerà in seguito l’arte del cinema”462.

E’ singolare che Ejzenstejn arrivi a quello che dovrebbe essere il meccanismo-chiave della sua interpretazione quasi per caso, en passant; dice infatti: “ci viene in mente Dioniso”463. E’ che per lui il montaggio, oltre a essere un’operazione materiale e intellettuale, è davvero anche un principio euristico464 che utilizza la memoria per la proliferazione delle serie.

Il regista sovietico attinge alla mitologia greca sul dionisiaco, ma anche ai rituali Aztechi, nonché alla tradizione della comunione cattolica per far emergere, si potrebbe dire, una sorta di principio e materiale vivente, patetico, che anima dal profondo anche le versioni secolarizzate, cosicché nello sviluppo successivo

“non abbiamo più a che fare ormai con il racconto del demone fatto a pezzi, che vive la sua «epiphaneia» e neppure con la struttura delle peripezie successive della sua storia, poste alla base di un altro contenuto tematico, ma con il principio, che ha accolto in sé la caratteristica fondamentale del processo di smembramento e riunificazione a un nuovo livello qualitativo”465.

Dal mito alla struttura al principio: questa la ricostruzione che Ejzenstejn ci consegna in poche righe a proposito dell’origine dionisiaca del principio del montaggio.

Eppure Ejzenstejn non si accontenta di una visione lineare ed evoluzionistica che va dal mito alla contemporaneità: il principio del montaggio, e la sua origine dionisiaca, presente in qualunque opera artistica non va inteso solo nel senso di “uno sviluppo lineare, progressivo. Ci sono anche degli inaspettati ritorni, delle ricadute”466. Per Ejzenstejn

 462

Ejzenstejn, TGM, p. 227.

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Ibidem, p. 227. I riferimenti al Nietzsche de La nascita della tragedia e a Freud di Totem e tabù restano impliciti, probabilmente per ragioni di tipo ideologico. Si veda in proposito anche Barbara Grespi, Cinema e montaggio, cit., p. 27s.

464

“Di usare il montaggio non come procedimento per disporre in sequenza fotogrammi e inquadrature in un film, non come forma di composizione artistica, quanto come strumento di ricerca per orientarsi nel caos di quella storia delle forme all’interno della quale il cinema doveva trovare la propria collocazione”, Antonio Somaini, Montaggio e anacronismo, in “aut aut”, n.348, ottobre-dicembre 2010, p. 91.

465

Ejzenstejn,TGM, p. 230.

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l’«immagine» non ha niente di fisso e per leggerla bisogna smontarla e rimontarla secondo ritmi che sono multipli e anacronistici467. Cogliere la stratificazione e il movimento dell’«immagine» in qualsiasi fenomeno artistico e riportarli al principio generatore del dionisiaco, come fa attraverso la lettura dell’Ulisse o di un quadro di El Greco, significa scoprire all’opera, in profondità nell’opera un altro tempo, simultaneità, rimandi e lavoro di ri-configurazione.

Commentando una vignetta apparentemente banale di Steinberg,

Ejzenstejn dice:

“l’osservatore avveduto saprà cogliervi la formula del duplice movimento secondo cui si costruisce un’opera capace di esercitare un autentico influsso: un movimento che affonda le radici nelle profondità sotterranee in cui si accumula l’esperienza passata dell’umanità e, al tempo stesso, un movimento verso l’infinito delle prospettive siderali del progresso sociale e spirituale che attende l’umanità”468. Depurata delle incrostazioni ideologiche, quest’immagine del doppio movimento o del contraccolpo si può accostare a quanto avevano elaborato a proposito dell’immagine Warburg da una parte e Benjamin dall’altra469.

 467

A questo tema ha dedicato particolare attenzione in relazione alla rilettura di Warburg, Georges Didi-Huberman in L’image survivante, cit.. Aggiunge Ejzenstejn: “Ci ritroviamo di fronte proprio a quel «quasi-ritorno dell’antico» di cui parla Lenin riferendosi al problema della dialettica dei fenomeni”, ibidem p. 119.

468

Ejzenstejn, La natura non indifferente, cit., p. 212.

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Ejzenstejn, e questo è un altro aspetto caratteristico del suo modo di procedere, non ha paura di mescolare «alto» e «basso», cosicché una volta compiuta questa fuga indietro verso le basi antropologiche e mitiche del montaggio, può ripartire col suo vertiginoso attraversamento della storia delle arti che ci porta dalla tragedia attica a Shakespeare, da Rabelais al découpage pittorico, al romanzo poliziesco ai giochi linguistici.

Egli si fa archeologo del collage/montage, ricollegando alle radici mitiche dionisiache le diverse espressioni artistiche che nel corso del tempo hanno incarnato e praticato il principio dello smembramento e della ricomposizione.

“Prima di diventare uno dei componenti del cinema, il «metodo del centone» passa attraverso un altro stadio che potremmo chiamare del centone pittorico. L’apparizione di questo genere, la moda e l’interesse per esso risalgono al XVIII secolo, quando questo divertimento fu definito découpage. (…) Potremmo inserire qui direttamente la serie dei maestri del «découpage» che non «giocano» più con questo genere come amatori, ma lo adottano per esprimersi artisticamente a modo loro: Max Ernst (per esempio la raccolta della Femme 100 têtes) o i fotomontaggi di John Heartfield e di Rodchenko, che con questo metodo hanno lottato per le loro idee sociali”470.

Dunque quando si diceva all’inizio che Ejzenstejn è uno dei più acuti teorici del paradigma del montaggio, ci si riferiva proprio a questo: alla sua capacità da una parte di guardare morfologicamente nelle manifestazioni artistiche più diverse per ritrovare una forma comune, goethianamente l’Urphänomen del montaggio, e dall’altra di cogliere dialetticamente il movimento dell’immagine non solo nel cinema, ma nell’arte in generale, se per immagine si intende l’Obraz, che è stata tradotta con «immaginità», «figurazione concettuale», «forma». E di vedere all’opera nell’arte in generale e nella sua «immaginità», o nella sua «forma» l’opera del montaggio. Scrive Ejzenstejn:

“forma in russo vuol dire immagine (obraz). Ora, l’immagine si trova all’incrocio tra i due concetti di obrez (taglio) e obnaruzenie (palesamento, manifestazione, svelamento). Due termini che caratterizzano brillantemente la forma sotto i suoi due profili: quello statico individuale (an und für sich) in quanto obrez (taglio),

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separazione del fenomeno dato rispetto a tutti gi altri compresenti (…) e sotto il profilo sociale attivo della manifestazione , cioè mostrano i legami che esistono tra il fenomeno e quanto lo circonda”471.