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V. Il collage come alchimia: La Femme 100 têtes

V.1 Ernst a Parig

Alla prima mostra parigina presso la libreria-galleria Au sans Pareil nel maggio 1921293, André Breton presentò Max Ernst nel testo introduttivo alla mostra come “l’uomo delle possibilità infinite”294, un’iperbole che rivela bene l’ammirazione per questo artista che, arrivato dal Dada tedesco, legherà strettamente il suo nome al movimento surrealista francese295.

In effetti questo testo di Breton è interessante più per la genesi del surrealismo che per leggere l’opera di Ernst che viene proclamato uno dei geniali anticipatori di un nuovo modo di illuminare la vita, senza uscire dal campo dell’esperienza, attraverso la facoltà meravigliosa

“d’atteindre deux réalités distantes et de leur rapprochement de tirer une étincelle; de mettre à la porté de nostre sens figures abstraites appelées à la même intensité, au même relief que les autres; et, en nous privant de système de référence, de nous dépayser en notre propre souvenir, voilà qui provisoirement le retient”296.

 292

Max Ernst, Oltre la pittura, in Scritture, tr.it. Rizzoli, Milano 1972, p. 264.

293

In alcuni resoconti come quello di Aragon tra gli altri, si trova l’indicazione della data del 1920, ma assicura Ernst nella sua semiseria autobiografia “L’esposizione si tiene in maggio, alla libreria “Au sens pareil”. (Nel maggio 1921 dunque, non nel maggio 1920, come è stato scritto talora. L’informazione sbagliata era una mania Dada e i Dadaisti stessi hanno alimentato scientemente la confusione…)”, Note per una biografia, in ibidem, p.42.

294

André Breton, Max Ernst, Œuvres complètes, vol.1, Gallimard, Paris 1988, p.245.

295

Tre suoi collage eseguiti dal 1922 al 1931 permettono di vedere il gruppo surrealista attraverso i suoi occhi e nella sua evoluzione interna. Anche nei momenti di crisi e frattura interna del movimento, Ernst resterà sostanzialmente fedele al gruppo di Breton, anche se non gli risparmia dure critiche. Cfr. in proposito l’analisi di questi collage di Werner Spies, Max Ernst-Loplop.L’artiste et son double, tr. fr. Gallimard, Paris 1997, pp. 94-99. Cfr. anche l’intervista con Robert Lebel in Scritture, cit. p. 421s.

296

Anche se non si parla esplicitamente del collage, è ad esso che Breton faceva riferimento prevalentemente, e in una sua testimonianza decenni più tardi lo chiarirà in modo inequivocabile:

“si sa che il procedimento del collage, che consiste nel giustapporre elementi plastici ricavati da complessi distinti come fotografie, incisioni, secondo la testimonianza stessa di Max Ernst, ha come scopo di realizzare «l’accoppiamento di due realtà in apparenza inaccoppiabili su un piano che in apparenza non conviene loro». Non è esagerato dire che i primi collage di Max Ernst, di una straordinaria potenza di suggestione, sono stati accolti da noi come una rivelazione”297.

In questo primo incontro con i collage c’è quella che Krauss ha definito “una sorta di scena primaria del surrealismo”298.

Su questo accostamento dei disparati che, insieme all’automatismo, è uno degli elementi fondamentali del surrealismo, Breton tornerà più volte.

In una sorta di circolo per cui l’uno rimanda all’altro, anche Ernst, quando deve descrivere il meccanismo del collage, fa riferimento alla stessa immagine e alle tesi di Breton:

“QUAL E’ IL MECCANISMO DEL COLLAGE? Sono tentato di vedervi lo sfruttamento dell’incontro fortuito di due realtà distanti su un piano non corrispondente (parafrasando e generalizzando la celebre frase di Lautréamont: «Bello come l’incontro fortuito di una macchina da cucire e di un parapioggia su un tavolo anatomico») oppure, per usare un termine più breve, la coltivazione degli effetti di uno straniamento sistematico secondo la tesi di André Breton”299.

Insomma i surrealisti, in particolare Breton e Aragon, colsero subito nell’opera dell’artista tedesco degli elementi che ne fanno non solo uno dei grandi artisti dell’avanguardia, ma anche un fondamentale compagno di viaggio.

Ernst aveva allora trent’anni, aveva già incontrato Apollinaire e seguiva da Colonia il lavoro di Picasso, Braque, De Chirico che amava particolarmente. Sempre a Colonia aveva organizzato già due mostre dadaiste e collaborava con Hans Arp. «Dadamax», come si

 297

André Breton, Entretiens (a cura di André Parinaud), tr.it. Erre emme edizioni, Bolsena 1991, p.50.

298

Rosalind Krauss, L’inconscio ottico, tr.it., Bruno Mondadori, Milano 2008, p. 39.

299

firmava, era già un artista abbastanza affermato all’interno dei circoli dell’avanguardia e, dopo gli scandali delle esposizioni Dada in Germania300, quando arriva a Parigi, invitato da Breton, viene accolto trionfalmente da lui e dal suo entourage.

La mostra parigina del 1921 comprendeva 56 opere, come dice la pubblicità-invito pubblicata sul numero di maggio di Littérature, “déssins mécanoplastiques plasto- plastiques peintopeintures anaplastiques anatomique antizymique aérografique antiphonaires arrosables et républicains”301, composte con le tecniche più diverse, dall’olio all’acquerello, al fotomontaggio, al collage misto302.

In un testo del 1923, Max Ernst, peintre des illusions, Aragon aveva colto con acume alcuni elementi specifici dell’artista tedesco. Dopo aver distinto fasi precedenti del suo lavoro, Aragon contrapponeva i collage della sua mostra parigina ai papier collé di Picasso e Braque.

“Per i cubisti, il francobollo, il giornale, la scatoletta di fiammiferi che il pittore incollava sulla tela avevano il valore di un test, di uno strumento di controllo della realtà stessa del quadro. E’ a partire dall’oggetto preso a prestito direttamente dal mondo esterno - per utilizzare il vocabolario cubista - che gli dava una certezza, che il pittore stabiliva i rapporti tra le diverse parti del quadro. Altre volte nei papier collé, o collage propriamente detti, le carte colorate ritagliate dal pittore sostituiscono per lui il colore e solo quello. Con Ernst le cose vanno in modo del tutto diverso. Gli elementi che prende a prestito sono soprattutto degli elementi disegnati ed è più

 300

“L’esposizione ebbe l’effetto di un fulmine a ciel sereno, seguito da un colpo di tuono udibile non soltanto nella Germania non occupata, ma anche al di là delle frontiere, sino a Parigi, Zurigo e New York”, Max Ernst, Note per una biografia, cit., p. 39.

301

Cit. in Elza Adamowicz, Surrealist Collage in Text and Images. Dissecting the exquisite corpse, cit., p. 2.

302

Cfr. Krauss, L’inconscio ottico, cit. p. 43: “Se alcune delle opere disimballate quel famoso giorno a casa di Picabia erano collage convenzionali, la maggior parte erano in effetti sovrapitture. Cioè, invece di utilizzare il procedimento additivo del collage, in cui gli elementi disparati sono incollati su un foglio neutro che serve da supporto, le sovrapitture operano per cancellazione. Cancellano, tolgono. Per realizzarle Ernst aveva scelto fogli prestampati e ne aveva reso opachi gli diversi elementi con l’aiuto di inchiostro e gouache, ottenendo così un tipo nuovo di immagine. In quanto matrice o infrastruttura di quello che si vedrà in seguito nella sua opera, questi fogli sono all’origine di ciò che avrebbe tanto affascinato Breton e Aragon”.

spesso proprio al disegno che il collage supplisce. Il collage diviene qui un procedimento poetico, che si oppone in modo perfetto quanto ai fini al collage cubista la cui intenzione è puramente realista”303.

Per quanto questa interpretazione critica del collage cubista sia discutibile, Aragon come al solito dimostra un ottimo fiuto per le contrapposizioni: da una parte il riferimento, per quanto mediato, alla realtà, dall’altra la tensione poetica. Il suo intento, com’era e come sarà anche in seguito quello di Breton, è di accostare i procedimenti del collage di Ernst ai procedimenti della poesia. Ernst è un «pittore d’illusioni»; al contrario dei cubisti, con i suoi collage in cui minuziosamente ricerca la continuità tra gli elementi, vuol produrre un mondo magico. “Ogni apparenza il nostro mago la ricrea. Svia (détourne) ogni oggetto dal suo senso proprio, per risvegliarlo a una realtà nuova.(…) Abbiamo davanti a noi una pittura completamente nuova che sconvolge la concezione del gusto pittorico che si era lentamente affermata nel corso degli ultimi dieci anni”304.

Aragon sottolinea inoltre come gli elementi del collage di Ernst non solo siano montati con un effetto di continuità, ma siano tratti da fonti del tutto diverse rispetto a quelle dei cubisti: disegni stampati, incisioni, immagini popolari, immagini da quotidiani, immagini da dizionari305.

Riferendosi a uno dei collage della mostra, Le cygne est bien paisible, Aragon evidenzia anche l’importanza dei testi per l’opera di Ernst, testi che non commentano le immagini, ma ne sono un complemento necessario.

 303

Louis Aragon, Les collages, Hermann, Paris 1965, p. 29.

304

Ibidem, p.30.

305

Se questo non era certo un limite per l’onnivoro Picasso, può mettere in luce però un campo di interessi e scopi diversi tra i due artisti.

Max Ernst, Le cygne est bien paisible, papier collé, penna, Museum of Art, Yokohama (1920)

Questo collage di minuscole dimensioni mette insieme su piani diversi, un cigno, un aeroplano, una finestra-cornice che inquadra un frammento della Adorazione del Cristo bambino di Stephan Lochner, e sullo sfondo un hangar.

Aragon cita il testo che accompagnava l’immagine: “E’ la ventiduesima volta che Lohengrin lascia la sua signora per l’ultima volta - Siamo sul Missouri superiore laddove la Terra ha esteso la sua scorza su quattro violini - Noi non ci rivedremo più, non combatteremo contro gli angeli - Il cigno è molto pacifico spinge con forza i remi per arrivare a Leda”306.

Si tratta all’apparenza di un non sequitur di brani che Aragon tenta di interpretare così: “Ecco come ai confini di tutte le mitologie e di tutte le superstizioni, Max Ernst impiega sia l’aspetto esterno delle cose che il loro significato più profondo che gli arriva carico di senso da ogni parte del mondo: e come il cigno del Lohengrin è

 306

anche nello stesso istante un Giove amoroso. C’è qui una sorta di collage intellettuale di cui si potrebbe dire tutto ciò che dicevo a proposito del collage plastico”307.

Questo, come altri collage da mille particolari, dimostra una notevole perizia tecnica che fa di ogni opera il campo di una nuova sperimentazione e in cui un sapiente uso dello spazio crea quella che Aragon definisce un’«atmosfera ernstiana», illuminata da una luce sottomarina.

Ma il punto, a proposito del collage, è questo: Ernst “è arrivato a dare l’illusione del collage senza farvi ricorso”308. E, si può aggiungere, quando lo utilizza lo dissimula, cosicché si arriva al paradosso messo in luce dal suo massimo studioso, Werner Spies: Ernst considerato a partire dagli anni Venti uno dei maestri del collage309, inizia a produrre dei veri collage solo con la serie di Loplop iniziata negli anni Trenta. Come scrive lo studioso tedesco,

“Max Ernst dissimulava le linee di taglio di quei collage attraverso diversi procedimenti, e in particolare lavorando a partire da cliché e fotografando il collage finito in modo che gli elementi del collage si cancellavano a profitto della nuova continuità ottenuta. Di fronte al mistero delle sue immagini di cui non poteva indovinare che fossero collage, lo spettatore ignorava la loro origine”310.

In ogni caso non è su questi elementi tecnici che si fonda l’ammirazione per Ernst di Breton e del suo gruppo quanto, come abbiamo visto, sulla sua capacità di anticipare alcuni elementi essenziali del surrealismo. Come scrive William Camfield, le opere della prima mostra parigina, pur appartenendo cronologicamente al periodo dada, sono in effetti «protosurrealiste», nella loro evocazione della vita organica e delle sue metamorfosi, delle

 307

Ibidem, p. 31. In realtà il gioco tra testo e immagine rimanda non solo a motivi mitologici, ma anche al sema /volo/: nel collage ciò che accomuna i disparati (cigno angeli e aereo) sono le ali. Ed è noto quanto il motivo degli uccelli e del volo sia centrale per tutta l’opera di Ernst. Si potrebbe inoltre leggervi anche una sorta di torsione poetica del macchinismo dada.

308

Ibidem, p.32.

309

“il pittore di collage par excellence” lo definisce Seitz, in William Seitz, The Art of Assemblage, cit., p. 41.

310

immagini oniriche e nella capacità di far scoccare la scintilla del meraviglioso dall’accostamento di realtà distanti.

“Mentre il collage dada è essenzialmente un’affermazione radicale sulle pratiche discorsive, il collage surrealista è caratterizzato da pratiche significanti trasgressive. La scintilla nei collage di Ernst ha luogo all’interno delle opere stesse, come processo semiotico che altera la funzione e il significato delle incisioni o delle fotografie originali”311.