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II. 1 1912: il mito dell’origine e la sua dissoluzione

II. 3 Il collage e la questione del senso

Il gioco delle interpretazioni è stato fitto e il dibattito non si è mai del tutto spento111. Ora proviamo a tornare al livello della descrizione per portare in primo piano quella che è una delle questioni centrali della «rivoluzione del collage»: la questione del senso.

Ciò che viene messo in scena in questo oblò sul mondo (e al tempo stesso specchio orientato sul mondo dell’arte) è una rappresentazione dell’essenziale ambiguità dell’arte pittorica (e dell’arte tout court), il disvelamento dell’illusione mimetica, la crisi dell’unità del senso e dell’identità dell’opera. Non che tutto ciò venga teorizzato esplicitamente, ma è come se, rileggendo l’opera attraverso la storia degli effetti, si vedessero convergere su questa minuscola tela tutta una serie di strade per un’arte e per un’estetica nuove che troveranno poi un’articolazione nell’avanguardia e oltre, anche nella neoavanguardia. Se osserviamo questo ovale un’impressione che possiamo ricavarne è che stiamo guardando dall’alto una sorta di precipizio in cui sono sospese, a vari livelli diverse, diverse «cose»112. Ma è poi vero che ogni quadro, ogni cosa dentro al quadro si offre alla nominazione? In effetti se nella pittura mimetica tradizionale questo gioco della nominazione almeno a un livello letterale era piuttosto facile (anche ignorando o lasciando del tutto da parte i significati simbolici), laddove la riconoscibilità e la nominabilità entrano in crisi, che cosa opera quella che Barthes chiamava la funzione di ancoraggio per la fissazione della catena fluttuante dei significati?113 Senz’altro anche il titolo attribuito e i caratteri tipografici che in questo, come in altri quadri cubisti prima del collage, erano inseriti. Ma c’è qualcosa di più. Quello che sembra a prima vista una sorta di «ritorno al realismo» non risponde solo a criteri formali, di organizzazione dello spazio interno e del senso, ma mette in sospensione il mondo delle cose mostrandole in formazione o prese nel gioco della relazione con le altre cose, e dunque segni, in un campo formale che il cubismo

 111

Un’idea della furibonda discussione tra i massimi studiosi del cubismo e di Picasso che queste differenti interpretazioni hanno suscitato si può avere leggendo il resoconto dell’incontro organizzato da William Rubin, in Picasso and Braque: A Symposium, Lynn Zelevansky (ed.), MoMA New York, H. N. Abrams, New York 1992.

112

Cfr. Louis Marin, op.cit., p. 128.

113

Roland Barthes, Retorica dell’immagine, in L’ovvio e l’ottuso, tr. it. Einaudi, Torino 1985, p. 28.

ha ampiamente sperimentato negli anni immediatamente precedenti, rivelando il volto di una realtà dalle mille sfaccettature e dunque mai totalizzabile come intero, e al tempo stesso mettendo per così dire l’osservatore sulle tracce di questa connessione universale. E’ stata Rosalind Krauss a mettere in evidenza con particolare forza questo aspetto del collage di Picasso, la libera fluttuazione dei segni, sottoposti a una combinatoria vertiginosa, per cui un frammento come un ritaglio di quotidiano, un pezzo di tela cerata, un carattere, può assumere volta a volta significati diversi a seconda del contesto114.

“Picasso ha forse bisogno di affermare in modo più chiaro il senso in cui il segno qui, come il segno linguistico, non ha più alcuna relazione naturale con un referente?”115

Eppure c’è ancora una sorta di riconoscibilità degli elementi del quadro, che conduce forse a un «senso secondo» del mimetismo che non è più adesione «immediata» alla realtà sensoriale, alla visione, ma adesione alla visione della visione, in una fuga prospettica all’indietro che lascia l’osservatore sempre più solo con i suoi dubbi sulla possibilità di venire a capo del significato dell’opera. Il collage come cornice di secondo grado all’interno dell’opera lavora a un dislocamento continuo del senso che si propone come una sorta di mise en abyme. In questo coinvolgimento, che è una sorta di vertigine sul precipizio del senso, il soggetto si trova messo in gioco. Il dipinto stesso chiede di giocare («JOU»ER).

 114

Senza dimenticare la lezione di Kahnweiler in proposito: “E’ necessario non dimenticare un fatto a mio parere assolutamente fondamentale per la comprensione del Cubismo e di quella che ai miei occhi è la vera arte moderna: la pittura è una forma di scrittura; è un scrittura creatrice di segni. (…)Una figura di donna su una tela non è una donna: sono solo segni, è un insieme di segni che io leggo come “donna”. Se scrivo su un foglio di carta”d-o- n-n-a” la persona che conosce la lingua e che sa leggere non solo leggerà la parola ma avrà per così dire davanti agli occhi l’immagine completa della donna. Lo stesso avviene, senza la minima differenza, per la pittura che non ha mai costituito in fondo uno specchio del mondo esteriore, né mai è stata assimilabile alla fotografia; è sempre consistita invece in una creazione di segni che ogni volta sono stati letti nel modo giusto dai contemporanei, sia pure dopo una certa iniziazione. Avendo i cubisti creati segni indubbiamente nuovi, per lungo tempo i loro quadri sono stati di difficile lettera”, cit. in De Fusco, Storia dell’arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2003, p.122. Per un’analisi della linea interpretativa di Kahnweiler, cfr. Yve-Alain Bois, La lezione di Kahnweiler, in a cura di Elio Grazioli, Pablo Picasso, “Riga 12”, cit., p. 245-283.

115

Rosalind Krauss, Picasso Papers, cit. p. 28; ma cfr. anche il suo Nel nome di Picasso, in L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, tr. it. Fazi Editore, Roma 2007.

Il frammento disposto sul piano introduce inoltre una doppia spaziatura, indica al tempo stesso una distanza e un contatto: rimanda ai luoghi diversi da cui proviene e sovrappone distanze diverse attraverso il lavoro di inquadramento e proporzionamento, ma ci costringe al tempo stesso a vedere la vicinanza estrema, il contatto tra le parti, in una sorta di taglio trasversale della contemporaneità. Il collage pone al tempo stesso il problema della rottura dello spazio della rappresentazione e quello dell’interpenetrazione di diversi piani temporali. Non solo giocare, ma anche solo osservare richiede tempo, cosicché ci ritroviamo immersi riflessivamente nel gioco della temporalità della visione, perché non c’è visione totale immediata ma sempre, per dirla fenomenologicamente, orizzonti, prospettive, aspetti (Abschattungen)116. Ed è proprio la questione della temporalità ad essere rimessa in discussione attraverso quella che Shattuck, riferendosi al dispositivo del collage/montage, ha parlato di «estetica della giustapposizione»117. Ma mentre questi propende per un’interpretazione che schiaccia sul presente eterno la molteplicità degli incontri dei disparati sul piano dell’opera, si può forse più produttivamente vedere all’opera qui una temporalità multipla, fatta di bruschi arresti, veloci accelerazioni, contrattempi e un movimento di andata e ritorno che spezza una volta per tutte il trionfalismo del progresso unidirezionale e che dunque agisce in un certo senso in controtendenza rispetto alla «fuga futurista» di tanta avanguardia. In questo senso, come ha notato un critico, il collage apre il moderno a ciò che lo oltrepassa: “con il collage abbiamo un postmoderno intrecciato col moderno, un postmoderno come crisi del moderno annunciata dall’interno della modernità”118.

 116

Come diceva bene Enzo Paci, “il percepito da noi è la vetta affiorante di un continente sommerso, il continente del non percepito sul quale poggiano le isole dei «percepiti»”, Diario fenomenologico, Bompiani, Milano 1961, p. 64.

117

Shattuck, The Banquet Years, cit., p. 332s.

118

Thomas B. Brockelmann, The Frame and the Mirror. On Collage and the Postmodern, Northwestern University Press, Evanston (IL) 2001, p. 6.