VI. 1 «Paradigma» del montaggio
VI. 5 Montaggio intellettuale: effetti di senso e ideologia
“Il cinema è particolarmente adatto a far apparire l’unione di spirito e corpo, di spirito e mondo e l’esprimersi dell’uno nell’altro” (Maurice Merleau-Ponty)431
Il cinema e il montaggio intellettuale sono illustrati in modo preciso da Ejzenstejn più e più volte e tuttavia sembra che ogni volta egli abbia bisogno di una formulazione diversa. Ad esempio in un intervento del 1935 alla conferenza dei lavoratori del cinema sovietico, mentre cerca di tracciare una sorta di bilancio prima di proseguire su una strada nuova, dice:
“Questa teoria si proponeva di «ridare pienezza emotiva al processo intellettuale»: si preoccupava di tradurre in forma cinematografica il concetto astratto, il fluire e il fissarsi dei concetti e delle idee, senza nessun intermediario, senza ricorrere a un soggetto o un intreccio inventato, ma direttamente, per mezzo delle immagini, così come venivano riprese”432.
431
Maurice Merleau-Ponty, Il cinema e la nuova psicologia, in Id., Senso e non senso, tr. it. Garzanti, Milano 1974, p.81.
432
Ejzenstejn, La forma cinematografica: problemi nuovi, in La forma, cit., p. 133. Riassumendo la conferenza a metà febbraio 1930 alla Sorbona a Parigi, Ejzenstejn dice: “Non vale la pena di addentrarsi qui nella sostanza della mia relazione. Oltre alle posizioni ideali e alle caratteristiche generali del cinema sovietico, espongo la teoria, che mi sta tanto a cuore,del «cinema intellettuale», del film concettuale di cui ero tanto infervorato in quel periodo. (…) La teoria della «concomitanza» degli elementi emotivi e intellettuali, lo schema «dalla tesi all’immagine, dall’immagine al concetto» e tutto il resto hanno nutrito per molti anni polemiche e discussioni, contribuendo all’elaborazione di una metodologia”, in Memorie, cit., p. 78.
Ejzenstejn sta guardando retrospettivamente all’esperienza del cinema intellettuale proprio mentre si accinge a cominciare Il prato di Bezhin che avrà una storia, a dir poco, infelice433.
Può rifarsi all’esperienza grandiosa dei primi film, Sciopero, La corazzata Potemkin, Ottobre, ma con prudenza perché ormai si è in pieno regime di realismo socialista e bisogna orientare diversamente il proprio lavoro teorico-pratico in osservanza alle direttive del Partito: deve nel contempo salvare la grandezza di quel passato (Ejzenstejn non riesce a trattenersi e parla dello «splendore formale»434 del cinema del passato, in un’epoca in cui anche solo la parola «forma» è diventata sospetta) e ri-orientarla rispetto alle aspettative del presente.
In che cosa consisteva dunque il succo del cinema intellettuale? In qualcosa che per Ejzenstejn, nonostante le critiche e le autocritiche, conserva appieno il suo valore: nel tentativo di mantenere uniti nel cinema pensiero ed emozione, di trasformare il cinema in un’esperienza di pensiero per lo spettatore, di un pensiero però non concepito astrattamente, ma per così dire incarnato435.
Se da una parte il cinema borghese e reazionario si contentava di divertire e intrattenere, il cinema rivoluzionario doveva invece mirare a trasformare lo spettatore in uomo di pensiero e di azione.
“Le discussioni sul «divertimento» o «intrattenimento» mi irritano. Avendo passato un bel po’ di tempo a studiare la questione dell’«entusiasmo» e della «partecipazione» del pubblico in un impulso unito e generale di assorbimento, la
433
Per una breve ricostruzione delle vicende si veda il libro di Aldo Grasso, Ejzenstejn, Il Castoro, Milano 2007, p. 81s.
434
Ibidem, p. 131.
435
Il lavoro teorico di Ejzenstejn è quello di scavare sempre più a fondo in questa teoria dell’influsso emotivo e cognitivo sullo spettatore, passando attraverso diverse concezioni dell’attività psicologica. Bordwell ha ricostruito cronologicamente tre passaggi che hanno fatto seguito al cinema intellettuale: il monologo interiore, il pensiero sensoriale e la rappresentazione e l’immagine, su cui ritorneremo. Cfr. il capitolo Concezioni dell’attività psicologica, in David Bordwell, The Cinema of Eisenstein, Routledge, New York 2005, p. 168 s.
parola «divertimento» mi suona contraria, estranea e nemica. Quando sento dire che un film deve «intrattenere», odo una voce esclamare: «Serviti!»”436.
Certo la contrapposizione tra cinema borghese d’intrattenimento e cinema rivoluzionario di pensiero e azione era piuttosto facile da formulare, ma ciò nonostante Ejzenstejn doveva incontrare sulla sua strada diversi ostacoli (o piuttosto macigni) di tipo teorico e ideologico che si potrebbero sintetizzare così: la tradizione metafisica razionalistica (della separazione tra ragione e passioni), il rapporto tra eteronomia e autonomia nell’opera (ossia tra controllo ideologico esterno e produttività di senso dell’opera stessa), ma anche tra apertura e chiusura (convergenza e divergenza) nella logica del senso. Proprio le difficoltà derivanti da questi problemi di tipo estetico insieme alle difficoltà politiche dovute all’accusa di fare un cinema intellettualistico distante dalle masse e dai problemi quotidiani, faranno sì che Ejzenstejn continui fino alla fine a rielaborarli.
Il punto di partenza era una teoria riduttivamente associazionistica437, per cui è possibile trasporre immediatamente sullo schermo i concetti astratti, le tesi formulate logicamente, i fenomeni intellettuali e non solo quelli emotivi, e in tal modo creare un «cinema intellettuale». C’è un effetto di senso che è dato dal montaggio in successione delle immagini: A+B= AB+(C), che è espresso così da Ejzenstejn: “due pezzi di film di qualsiasi genere, posti uno accanto all’altro, esprimono un nuovo concetto, acquistano un carattere nuovo che deriva dalla loro giustapposizione (…); in ciascuna di tali giustapposizioni. Il risultato è qualitativamente distinguibile da ognuno degli elementi componenti visti separatamente”438.
436
Ejzenstejn, Una lezione di sceneggiatura, in La forma, cit. p. 90.
437
L’elemento interessante è la base teorica di questa teoria: se si considerano i pezzi, le immagini come unità elementari, la loro somma produce senso supplementare. C’è tutta una tradizione associazionistica che risale all’empirismo inglese che cerca di studiare il meccanismo del pensiero a partire dalla giustapposizione delle idee; si pensi a Locke e Hume, ad esempio. Pudovkin ha tentato una classificazione elementare delle principali figure di montaggio che è analoga alle classificazioni delle associazioni mentali: antitesi (povertà/ricchezza), parallelismo (sorta di montaggio parallelo), analogia (cita il macello di Ejzenstejn), simultaneità (montaggio alternato), leitmotiv (un’immagine ripetuta per la durata del film).
438
Certo la questione appare subito nella sua complessità e non si può ridurre a quello che Ivanov ha chiamato «fissione atomica del concetto»439, come se fosse possibile costruire una semantica a partire da componenti atomiche (una sorta di semantica componenziale ante litteram) e produrre senso attraverso semplici associazioni.
Il principio di montaggio inoltre, attraverso accostamento di oggetti semplici dovrebbe riuscire a produrre un concetto astratto, e questo è un punto su cui Ejzenstejn continua a tornare anche quando deve contrapporre il cinema americano (Griffith) al cinema sovietico (il suo).
Passare da un oggetto particolare a un concetto generale richiede però un salto figurale che talvolta Ejzenstejn illustra come metonimia440. Scrive ad esempio:
“il pince-nez del dottore del Potemkin ha messo salde radici nella memoria di chiunque abbia visto il film. Al tutto (il medico) si sostituì una parte (il pince-nez) che rappresentava il suo personaggio e accadde che lo rappresentasse in modo sensorialmente assai più intenso di quanto avrebbe potuto fare la ricomparsa del medico stesso”441.
C’è qui all’opera il principio della pars pro toto che trova la sua applicazione in letteratura e in diversi mezzi espressivi e che è in grado di fare da principio unificante di quello che ora, in questa rilettura a posteriori del cinema intellettuale, Ejzenstejn chiama «pensiero sensoriale». Mentre prima faceva appello a una sorta di teoria associazionistica abbastanza semplicistica, basata a sua volta sulla riflessologia pavloviana, quel che ora si propone è di trovare alla base delle diverse arti all’opera un principio che appartiene al pensiero stesso
439
Viatceslav Ivanov, Ejzenstejn e la linguistica strutturale moderna, in Sklovskij, Il leone di Riga, cit., p. 228. Anche tenendo per buona ancora la metafora della fissione, si tratterebbe di trovare anche per questo processo, come nel caso della fissione atomica del nucleo, dei meccanismi di controllo.
440
Sklovski ha illustrato in modo schematico la differenza tra immagine cinematografica e letteraria, attraverso i due modelli: in letteratura “andiamo dal generale al particolare. Nel cinema mostriamo il particolare e, immettendolo nella frase di montaggio, dal particolare risaliamo al generale. Così nel cinema superiamo il carattere particolare della raffigurazione”, Sklovskij, op.cit., cit., p. 137.
441
nella sua forma pre-logica, usando come base teorica le opere di Lévi-Bruhl e Vygotskij442. E’ pur vero, ammette lo stesso Ejzenstejn, che in passato si è utilizzato il principio del montaggio intellettuale un po’ forzatamente. Alcune celebri sequenze, ad es. in Ottobre, quella di Kerenskij che sale la scalinata o degli dei, sono degli esempi abbastanza chiari di un certo modo di intendere il montaggio intellettuale che traduce un’associazione di immagini in una formula (si prenda per tutti il celebre «pavone» sempre in Ottobre). Ma resta del tutto intatta l’esigenza che stava al fondo del principio del montaggio intellettuale: trasformare il cinema in un’esperienza di pensiero per lo spettatore, di un pensiero incarnato: “solo il cinema intellettuale ha il potere di risolvere la contrapposizione tra «linguaggio della logica» e «linguaggio delle immagini» sulla base di un linguaggio cinedialettico”443.
E che cosa più de Il Capitale poteva costituire una sfida per il cinema intellettuale in Urss? Infatti Ejzenstejn che non temeva certo le difficoltà, tra il 1927 e il 1928, aveva concepito il grandioso progetto di realizzare un film proprio sul capolavoro di Karl Marx che costituisce forse il culmine di questa riflessione sul cinema intellettuale444, progetto di cui restano solo appunti e che non si tradurrà mai in un film.
Il punto rilevante, come dice in un appunto, è che se ci sono innumerevoli temi de Il Capitale che si possono tradurre cinematograficamente, “quello che ci interessa filmare è il metodo marxiano. Sappiamo adesso che l’asserzione fondamentale del Capitale (il suo scopo) è di cercar di insegnare agli operai a pensare dialetticamente. Mostrare il metodo della dialettica”445.
Dunque non fatti, contenuti, né mera trasposizione simbolica, ma metodo dialettico. Anche in questo caso dimensione emotiva e dimensione cognitiva non possono essere
442
Delle «funzioni mentali», commenta Somaini alludendo alle sopravvivenze warburghiane, che “non sono proprie di una mentalità primitiva estinta o comunque destinata ad essere superata, bensì costituiscono una stratificazione che sopravvive in modi diversi nelle culture avanzate, mostrando come ogni epoca della storia delle culture sia sempre attraversata da tempi diversi che coesistono gli uni con gli altri”, Ejzenstejn, cit., p. 204.
443
Aumont, Montage Eisenstein, cit. p. 159.
444
Aumont ne ha fatto un’analisi particolarmente acuta in ibidem, p. 159s.
445
separate: l’immagine dialettica è un’immagine in movimento che com-muove lo spettatore. Gli stimoli che il film presenta non sono più intesi tanto nella loro corrispondenza puntuale con emozioni predeterminate, ma devono servire a produrre una catena di associazioni nello spettatore: da un significato esplicito a un significato implicito prodotto dalla catena associativa. Qui la questione si fa ancor più difficile, perché qual è la garanzia che la catena associativa si orienti nello spettatore nella direzione voluta e produca univocamente un certo significato?
In effetti, l’esempio che propone il regista è sorprendente: “si parte dal pepe per arrivare alla zuppa. Pepe. Cayenna. Isola del Diavolo. Sciovinismo francese. Le Figaro nelle mani di Krupp. Guerra. Navi affondate nel porto… Non sarebbe male l’idea di coprire le navi inabissate con il coperchio di una casseruola”446. Ora, questo ci dice sicuramente molto sulla capacità associativa e sulla cultura di Ejzenstejn, ma si può realisticamente pensare che nello spettatore si produca nello stesso modo?
E, ancor più decisivamente c’è una questione più generale che riguarda il rapporto tra montaggio e senso. Come nota Aumont, il regista non solo non arriva una soluzione su questo punto, ma il suo atteggiamento si può caratterizzare come “una ricerca indefinita di un qualcosa che è contraddittorio: da una parte la logica astratta dell’associazione ispira la sua idea di produrre «rebus» come quello del pepe (…); dall’altra egli sa per esperienza che il montaggio di diversi frammenti, per non parlare del singolo frammento, non è mai univoco”447.
Tutta la questione si riduce in fondo a sapere e capire in che modo ed entro che limiti si può «orientare» e controllare questo senso supplementare, il che assume un’importanza particolare nel contesto politico-ideologico in cui i teorici-registi sovietici si trovarono ad operare.
E’ intorno a questa teoria del senso nel montaggio che i tentativi teorici di Ejzenstejn assumono una particolare pregnanza. Ma anche rovesciando la questione, ci si può chiedere come una teoria del senso del montaggio possa dire qualcosa sul senso in generale, anche al di fuori dello stretto ambito cinematografico.
446
Cit. in ibidem, p. 167.
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