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CAPITOLO QUARTO

4.5.1 COLORO CHE CERCANO

Molti figli adottivi, una volta raggiunta la maggiore età, ma anche in età più matura, prendono la decisione di avvicinarsi o riavvicinarsi alle proprie origini. L’adozione internazionale prevede che per ogni minore adottivo vengano raccolte informazioni e documenti circa la sua storia affinché possa essere dichiarato in stato di abbandono. Grazie ad esse, il figlio adottivo avrà a disposizione una base iniziale composta da nomi e luoghi, sulla quale poter costruire il progetto di ritorno alle origini. Generalmente il dossier adottivo raccoglie informazioni a partire dal certificato di nascita del minore in originale oppure tradotto, la famiglia biologica ed eventualmente notizie sulla storia e gli eventi che hanno condotto allo stato di abbandono.

Le situazioni ed i contesti però non sono tutti omogenei: se per alcuni individui è stato possibile raccogliere numerose informazioni fin dal momento dell’evento adottivo, per altri la ricerca delle origini inizia da zero. In numerosi casi di adozione non esiste nessun tipo di informazione circa la famiglia biologica o il luogo di nascita del minore a causa di variegate motivazioni.

“Io nonostante abbia avuto poche informazioni sul mio passato, la vedo positivamente. Della famiglia biologica non so nulla, solo il nome della madre biologica. Provo un vuoto da colmare, ma credo che sia dovuto al fatto che non ricordo nulla..” ( 21 anni, Brasile, 4 anni al momento dell’adozione).

“Ho provato a cercare informazioni, ma purtroppo, come in molti casi, non ho alcuna informazione che possa aiutarmi a trovarli.” ( 32 anni, India, 1 anno e mezzo al momento dell’adozione).

“…durante un viaggio in Sri Lanka cercai delle informazioni senza alcun risultato.” ( 24 anni, Sri Lanka, quaranta giorni al momento dell’adozione).

Situazioni di indigenza ad esempio, molte famiglie si trovano nelle condizioni di dover abbandonare i propri figli senza lasciare nessuna traccia che possa ricondurre a loro.

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Per i figli adottivi che non possiedono notizie ed elementi per poter risalire alla propria famiglia biologica, la ricerca è sicuramente più difficile e potrebbe concludersi con un esito positivo quanto negativo.

R. Pregliasco (2013)32 analizza i principali modelli sui quali si basano le motivazioni che portano alla ricerca delle origini:

1. Modello fisiologico: secondo questo modello la ricerca della propria storia passata è considerata come una naturale necessità insita in ogni essere umano. Viene strettamente collegata allo sviluppo psicologico dell’individuo in quanto si ritiene che la conoscenza delle origini sia un elemento di sostegno e costruttivo.

2. Modello psicopatologico: questo modello viene ricondotto a cause di sofferenza a livello psicologico nei figli adottivi in relazione alla propria vita percepita come incompleta. Anche il fallimento adottivo viene collegato a tale modello come causa scatenante nella ricerca delle origini. Esperienze negative nel corso del proprio vissuto, ad esempio una relazione problematica con i genitori adottivi, concorrono alla decisione di cercare le proprie radici. La realtà però indica che tale scelta non si può delineare sempre come una conseguenza a fattori di negatività nella vita dei figli adottivi, in quanto anche individui che non hanno incontrato ostacoli durante la vita prendono la decisione di conoscere la propria storia.

3. Modello socioculturale: l’ultimo modello parte dall’idea che la società mantenga un’opinione erronea sulle famiglie adottive idealizzandole come inferiori rispetto alle famiglie biologiche. Questo clima di inconsapevolezza ed esaltazione dei legami di sangue come unici e insostituibili provoca ai figli adottivi percezioni di disuguaglianza e imperfezione. Per questo motivo viene avvertito il bisogno di cercare e conoscere le proprie origini.

Per ogni figlio adottivo la ricerca delle origini corrisponde con il viaggio di ritorno al proprio paese d’origine, il luogo in cui tutto ha avuto inizio. Numerose famiglie adottive alcuni anni dopo l’evento adottivo, tornano nel paese natale con i propri figli affinché possano vederlo, conoscerlo e comprendere che cosa sia avvenuto con l’adozione. Non si tratta però di un viaggio dedicato alla ricerca delle origini biologiche intese come legami familiari, ma piuttosto come un’esperienza di scoperta dei luoghi e degli aspetti culturali del paese di nascita. Sarà il figlio adottivo che, una volta raggiunta un’età e una maturità tale, deciderà quando e se tornare per conoscere la famiglia biologica.

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Pregliasco R. ( 2013), “Alla ricerca delle proprie origini. L’accesso alle informazioni tra norma e cultura.”, Segni Editore, Collana dell’Istituto degli Innocenti.

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“….sono tornata nel mio paese all’età di quattro anni per passarci le vacanze assieme alla mia famiglia e successivamente a sette anni per poter adottare mia sorella, quindi ho potuto vedere con miei occhi la bellezza del territorio e anche visitare l’istituto che mi ha accolto, in attesa che venissi adottata.” ( 19 anni, Sri Lanka, 5 mesi al momento dell’adozione).

A questo punto bisogna però fare una distinzione. Per gli individui adottati grandi il viaggio verso le origini corrisponde ad un “ritorno” verso il proprio paese, le persone e i legami che hanno fatto parte della vita prima dell’adozione. In questo caso i ricordi giocano un ruolo importante in quanto il figlio adottivo cercherà una corrispondenza tra ciò che si è portato dentro negli anni e ciò che troverà nel paese d’origine. Coloro che hanno vissuto con i genitori o i parenti biologici prima dell’adozione, attraverso il viaggio hanno la possibilità di tornare da essi e ritrovare i legami e gli affetti della propria infanzia. Per i figli adottivi che non hanno potuto conoscere i genitori e hanno vissuto in istituto, il viaggio rappresenta ugualmente un ritorno nel luogo nel quale si è nati e dove poter riavvicinarsi alle relazioni e agli affetti che hanno caratterizzato la propria vita. In alcuni casi, si individua nel viaggio di ritorno la possibilità di compiere delle ricerche e approfondimenti che purtroppo non è stato possibile compiere in precedenza.

Gli individui adottati da neonati o in tenera età, vedono il viaggio di ritorno come un “andare alla scoperta” di ciò che è sconosciuto o che si è potuto leggere solamente sui documenti dell’adozione. Non possedendo ricordi del periodo trascorso nel paese d’origine con la famiglia biologica o presso l’istituto, questi figli adottivi decidono di partire per conoscere e, se possibile, vedere tutti gli elementi che hanno composto l’inizio della sua storia. Incontrare per la prima volta i propri familiari biologici viene descritto come un evento molto intenso e carico di tensione, durante il quale le domande che si pongono o si vorrebbero porre sono numerose. Coloro che non posseggono informazioni circa la famiglia d’origine, tendono a concepire il viaggio come una scoperta del proprio paese, della storia e della cultura di provenienza ma anche come l’occasione per cercare e raccogliere possibili informazioni sulle origini biologiche ( come gli individui adottati grandi).

È importante sottolineare che il viaggio di ritorno in alcuni casi può portare ad esiti negativi se non addirittura di sofferenza come ad esempio la scoperta della morte dei genitori, l’impossibilità nel raccogliere informazioni o avere notizie e la scoperta di eventi o dettagli del passato difficili da accettare. L’individuo, prima di compiere il viaggio, deve maturare la consapevolezza che le sue aspettative potrebbero non

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coincidere con la realtà che si troverà davanti. Deve essere compiuto quindi un percorso interiore, se necessario con il supporto dei professionisti del settore, affinché il figlio adottivo interiorizzi i possibili risvolti insiti nel viaggio verso le origini.

S. Guerra (2015)33 in riferimento al viaggio di ritorno afferma:

“Ebbene il viaggio di ritorno aiuta il minore a comprendere, a ricompattare il senso di sé e di ciò che ha vissuto, attraverso un tuffo nella sua realtà di provenienza. Ritornare, infatti, nel Paese d’origine significa poter concretamente girare per le strade, andare nei mercati, entrare nei negozi, respirare gli odori, sentire il suono della lingua e della musica d’origine, mangiare il cibo: tutti elementi e stimoli che possono aiutare l’adottato a immaginare la propria vita preadottiva ed eventualmente aggiungere tasselli a quel lavoro di “ipnotizzazione del verosimile” talvolta necessario quando le notizie sulla sua storia scarseggiano o non ci sono del tutto.” L’immergersi nella realtà del paese di provenienza significa vedere, conoscere e sentire ciò che fino a quel momento era rimasto in ombra nella vita dei figli adottivi; significa ricomporre la parte del proprio Io che ancora deve essere scoperta. È importante quindi cercare di avvicinarsi a tutti gli aspetti della componente culturale d’origine per poter coglierne le peculiarità.

Il viaggio verso le origini è una decisione che i figli adottivi possono scegliere di condividere con altre persone come il partner, i famigliari o altri ragazzi adottivi affinché li possano sostenere ed accompagnare durante il percorso. Molti al contrario preferiscono partire autonomamente, percependo questa esperienza come personale.

Il primo incontro con la famiglia biologica è un evento carico di tensione e comporta sempre un forte carico di emotività. I figli adottivi che hanno vissuto positivamente questa esperienza affermano che si tratta di un momento di felicità, gioia ma anche di curiosità e incertezza. Conoscersi o rivedersi dopo tanti anni è un avvenimento unico e significativo che fa nascere emozioni diverse e molto intense sia per i figli adottivi che per i familiari biologici.