• Non ci sono risultati.

Responsabilità del medico per nascita indesiderata

3.3 Responsabilità del medico e dell’ente ospedaliero

3.3.1 Colpa medica e nesso causale

Per un lungo periodo la giurisprudenza ha assunto un atteggiamento abbastanza indulgente nei confronti dell’attività sanitaria, valutando la colpa del medico con “larghezza di vedute e comprensione”110

. Tale indirizzo giurisprudenziale111, che richiamava spesso l’art. 2236, anche se in prevalenza è stato criticato, in effetti seguendo questa linea il sanitario diventava un soggetto privilegiato, per la cui responsabilità

106 Cass., 4 agosto 1987, n. 6707, in Foro it., 1988, I, 1629. 107

Baggio, La responsabilità della struttura sanitaria, Milano, 2008; Fresa, La colpa

professionale in ambito sanitario , Torino, 2008, 405 e ss.

108 Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Foro it., 1991, 114. 109

Trib. Monza, 7 giugno 1995, in Resp. civ e prev., 1996, 389, 11.

110 Pannain, La colpa professionale dell’esercente l’arte sanitaria, in Riv.it.dir.pen.,

1955,32.

111

48

penale era richiesto un quid pluris rispetto a tutti gli altri. La Corte Costituzionale, con una sentenza del 1973112, ha stabilito che la valutazione della colpa in base a criteri di minore severità, trova giustificazione nei caratteri oggettivi dell’attività che si richiede al professionista. Anche se il trattamento più favorevole deve ritenersi limitato alle sole ipotesi in cui la prestazione comporti la soluzione di “problemi tecnici di speciale difficoltà” ed alla sola colpa derivante da imperizia, poiché nel caso di imprudenza e negligenza il giudizio sarà improntato a criteri di normale severità. Il medico come portatore di una posizione di garanzia rispetto al bene della salute del paziente ad egli affidato113. La posizione di garanzia consiste nella titolarità di un obbligo penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 del codice penale: “ non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. A tal proposito l’ordinamento configura il dovere di impedire eventi lesivi a carico di beni altrui, a causa dell’incapacità dei rispettivi titolari di proteggerli autonomamente, così il garante può essere chiamato a rispondere della lesione di questi beni, ove la stessa sia conseguita al mancato esercizio, da parte sua, di una condotta idonea a impedirla114. La colpa professionale medica può assumere diverse forme, per violazione delle regole di dilgenza,prudenza e imperizia. La negligenza indica tutti quei comportamenti del sanitario contrassegnati da disattenzione, dimenticanza, trascuratezza, superficialità. Si possono fare tantissimi esempi riguardanti questo tipo di colpa, come nel caso in cui il medico scambia un flacone di sangue con un altro, oppure interviene senza consultare la cartella clinica. Tale condotta non può essere scusata, poiché non si possono giustificare inadempienze di doveri elementari nei confronti del paziente. Poi, segue l’imprudenza, intesa come ingiustificata fretta, avventatezza, mancata adozione delle regole ordinarie da seguire nell’arte medica, accade che il medico interviene nonostante vi siano strumenti insufficienti che potrebbero compromettere la correttezza della prestazione. La colpa per imperizia, consiste nell’esercitare una qualsiasi professione senza possedere una preparazione adeguata, e nell’incapacità di porre in essere l’attività necessaria per il raggiungimento del risultato che la professione stessa richiede. L’incapacità qui richiamata si manifesta sia in termini di ignoranza da parte del medico, quest’ultimo potrebbe non essere in grado di riconoscere la gravità delle condizioni del malato, sia in

112 Corte Cost., 28 novembre 1973, n. 166 , in Giur.Costit., 1973, 1795. 113

Cass., 28 ottobre 2004, n.46586 in CED Cass., n. 230598.

114

49

termini di inabilità, mancanza di un’ adeguata preparazione professionale. La colpa, nonostante l’evoluzione di questa fattispecie continua ad avere un ruolo fondamentale, così da definire la responsabilità medica-sanitaria come una responsabilità per colpa. Nel modello delineatosi in questi ultimi anni, le strutture sanitarie e i medici, pur obbligati al conseguimento di un risultato esigibile, sono tenuti a mantenere un comportamento conforme alla diligenza ed alla perizia richieste dal caso specifico115. Diversi criteri intervengono a definire la colpa, già nella sentenza della Cassazione del 2008116 vengono richiamati: la natura facile o non facile dell’intervento, il peggioramento o meno delle condizioni del paziente, corretto adempimento tanto dell’onere di informazione quanto degli obblighi di protezione. Da quanto è stato detto si deduce che la colpa medica si identifica nell’inosservanza della diligenza richiesta117

, una violazione del modello ideale di condotta esigibile nel caso concreto. Fondamentale qui la decisione della Cassazione nel 2007118: “ il medico e l’ente sanitario sono contrattualmente impegnati al risultato dovuto, quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alle condizioni del paziente, all’abilità tecnica del primo e alla capacità tecnico-organizzativa del secondo. La difficoltà dell’intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale e adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento” . In termini concreti la colpa si configura ogniqualvolta, tenuto conto dei diversi criteri, vi sia stata la violazione di uno o più doveri comportamentali, concernenti sia la professione medica ma anche le strutture sanitarie. Quest’ultime non

115 Cass., 19 maggio 2004, n. 9471, in Giur. it., 2005, 472, con nota di Giovanardi. 116 Cass., 14 febbraio 2008, n. 3520, in Foro it.,Rep. 2008, voce Professioni

intellettuali, n.118.

117 Cass., 9 novembre 2006, n. 23918, in Danno e resp., 2007, 3, 337. Fattispecie

relativa a danno alla salute subito da una paziente per trattamenti medici inidonei, ascrivibili in parte alla casa di cura presso cui era stata ricoverata e in parte al medico curante dopo la dimissione.

118 Cass., 13 aprile 2007, n. 8826, in Danno e Resp.,2007,7,811. “ In tema di

responsabilità professionale medica, il danneggiato è tenuto a provare il contratto e ad allegare la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza. Mentre al debitore, presunta la colpa, incombe l’onere di provare che l’inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, ossia la prova del fatto impeditivo”.

50

solo rispondono per la violazione da parte dei professionisti e dei paramedici, ma anche in via autonoma in ragione del contratto di spedalità per non aver adempiuto tutti quegli obblighi relativi alla salubrità, l’igiene, la sicurezza degli ambienti. Dunque, quanto ho appena detto rimanda alla già citata teoria del contatto sociale relativo al personale sanitario; le strutture ospedaliere, pubbliche o private, rispondono sempre in via contrattuale. Recentemente è stata approvata una legge che riforma la responsabilità professionale, sia penale che civile, di tutti coloro che lavorano in campo sanitario, sia nelle strutture pubbliche che private119. Conosciuta come Legge Gelli, nasce con l’intento di risolvere il problema della medicina difensiva, quel sistema dove i medici per mettersi al riparo da possibili contenziosi propongono di sottoporre il paziente ad un complesso di esami, ma spesso inutili, in alternativa agli interventi chirurgici. Fino ad oggi un medico in Italia rischiava di essere condannato penalmente per omicidio colposo in seguito ad una complicanza avvenuta in sala operatoria. Per il timore di sbagliare e arrivare in tribunale, erano condizionati nel fare il loro lavoro, di conseguenza questo ha portato i medici a sbagliare o ad evitare trattamenti complessi. La legge garantisce nuove forme di tutela per il medico, introducendo anche vie più rapide e sicure per i pazienti che devono ottenere un risarcimento per i danni causati dalla sanità. La prima novità riguarda la figura del Garante per il diritto alla salute, una figura a cui i cittadini potranno rivolgersi per segnalare eventuali malfunzionamenti nel sistema sanitario. Verrà istituito il Centro per la gestione del rischio sanitario e della sicurezza del paziente, con l’obbiettivo di raccogliere i dati sui rischi ed eventi negativi non solo sulle cause ma anche sulla frequenza e sui rischi del contenzioso. La legge prevede che il medico che per imperizia provoca un danno ad un paziente non è punibile penalmente nel caso in cui abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche assistenziali. Dunque l’errore del medico causato dalla sua mancanza di abilità o di preparazione specifica verrà punito penalmente solo in caso di colpa grave. L’art. 6 della medesima legge, riguardante “la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” chiarisce questo aspetto: “ è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge” Ci sarà così un alleggerimento della responsabilità professionale dei medici, nella

119

51

speranza di ridurre al minimo i casi di medicina difensiva. Al medico quindi potranno essere contestati solamente i reati come omicidio colposo e lesioni personali, al di fuori di questi due casi, verrà sollevato da qualsiasi responsabilità qualora dimostri di aver rispettato le linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità. Tale riforma cambia anche la responsabilità civile del medico, che diventa extracontrattuale, quindi spetterà al paziente che ritiene di aver subito il danno dimostrare che la colpa è del medico che l’ha curato. Per la struttura ospedaliera, invece la responsabilità civile resta di tipo contrattuale, quindi sarà questa a dover dimostrare di non avere responsabilità. In questo modo il paziente che vuole ottenere un risarcimento è incentivato a rifarsi prima sul soggetto economicamente più solido, ovvero la struttura pubblica. Un’altra novità riguarda l’obbligo di provare con una conciliazione stragiudiziale prima di andare in tribunale. In questo modo i tempi per l’ottenimento del risarcimento sarebbero più rapidi, mentre tutte le strutture sanitarie sono obbligate ad assicurarsi. Qualora il cittadino non riuscisse ad ottenere il risarcimento dovuto dalla struttura ospedaliera, potrebbe rifarsi direttamente nei confronti della compagnia assicurativa. A tal proposito viene ribadito l’obbligo assicurativo per tutti i medici, non ancora attuato in Italia.

Per quello che riguarda i medici, premettendo che non vi è alcuna differenza tra medico libero professionista e medico dipendente di struttura sanitaria, poiché l’attività sanitaria del medico dipendente “non può essere differente nel contenuto da quello che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medico”120. Qui la comunità scientifica svolge un ruolo fondamentale nella definizione dei doveri, poi anche il Codice di Deontologia Medica, la stessa casistica giurisprudenziale. Il dovere che in primis grava sul medico è quello di tutelare la vita e la salute del paziente, vi sono poi altre tipologie di doveri, doveri di diligenza “qualificata”, dovere di informazione. Nell’esaminare l’istituto della colpa non possiamo fare a meno di analizzare l’art. 2236 del codice civile, questa norma ha subito un’evoluzione inversa. Viene applicata direttamente in ambito contrattuale, solo in via analogica in quello extracontrattuale, diventa anche oggetto di un dibattito poiché può contemplare una limitazione di responsabilità oppure dare vita ad una responsabilità attenuata121.

120

Cass., 13 aprile 2007,( n. 8826, cit).

121

52

Per gran parte della giurisprudenza122 la norma introduce una limitazione di responsabilità, secondo questa tesi la norma viene applicata in maniera limitata poiché il numero delle prestazioni considerate particolarmente difficili si è ridotto nel tempo, grazie anche ai progressi della medicina123. Un altro fattore che ha portato al ridimensionamento dell’art. 2236 è l’utilizzo di questo solo in caso di imperizia124. Tale norma riporta la formula “ problemi tecnici di speciale difficoltà”, è stata interpretata come una limitazione della responsabilità del medico ai soli casi di dolo e colpa grave, solo quando sia richiesta una notevole abilità o vi sia un largo margine di rischio. Il Tribunale di Genova125 aggiunge che la limitazione opera: “ solo quando il caso affidato al medico è straordinario ed eccezionale in misura tale da non essere adeguatamente studiato dalla scienza né sperimentato nella pratica”.

Il nesso di causalità si può definire come quel collegamento imprescindibile tra la condotta attiva od omissiva e l’evento lesivo. Il fatto proprio che quella condotta abbia portato all’insorgere del danno fa scattare la responsabilità giuridica in capo all’agente. L’eventuale concorso di causa di per sé idoneo a modificare il susseguirsi degli eventi, se accertato interrompe il nesso causale. Le norme di riferimento sono gli artt. 40 e 41 del codice penale, per quel che concerne gli oneri probatori vi sono delle differenze. Nel giudizio penale l’applicazione è in senso restrittivo “ al di là di ogni ragionevole dubbio”, mentre in quello civile la regola applicativa è quella del “ più probabile che non”126. L’evento lesivo in sé non è idoneo a generare la

responsabilità in capo alla struttura sanitaria, infatti anche se medico ed ente sono solidalmente responsabili verso il paziente, il giudice deve valutare l’effettiva sussistenza di carenze strutturali e organizzative, potendo la struttura dimostrare la perfetta funzionalità dei propri dispositivi sanitari. Oggi è applicato il criterio della cosiddetta probabilità logica, unendo la frequenza statistica alle conoscenze

122 Trib. Genova, 9 agosto 2007, in Sistema Platinum. 123

De Matteis, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995, 124 e ss.

124

Cass. 21 giugno 2007, n. 39592, in CED Cass.Pen., 2008.

125 Trib. Genova, 9 agosto 2007, cit.

126 Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619 in CED Cassazione, 2007; Trib. Taranto, 17

gennaio 2012, n. 54, in Massima redazionale, 2012 : “la sussistenza o meno del nesso di causalità necessario ai fini dell’affermazione della responsabilità medica deve valutarsi avuto riguardo alla regola della preponderanza dell’evidenza, ovvero del più probabile che non “.

53

scientifiche. A tal proposito la Cassazione127 si pronuncia: “ è ormai pacifico che la certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa/statistica delle frequenze di classi di eventi che potrebbe mancare o essere incoerente”. In questa pronuncia la Suprema Corte sottolinea come la consulenza tecnica svolga un ruolo di primo piano nell’ambito della decisione e motivazione giudiziale, “essa svolge un ruolo centrale nell’individuare i fattori causali,positivi e negativi, in gioco, e nel dare spessore e contenuto alla probabilità sulla base delle conoscenze scientifiche”. Se seguiamo questa strada, incombe sul ricorrente dimostrare che il risultato finale, ottenuto a seguito del trattamento terapeutico, sia differente rispetto a quello statisticamente atteso, sarà poi onere del convenuto dimostrare di aver mantenuto una condotta diligente e conforme alla buona organizzazione. La valutazione del nesso causale nella condotta omissiva, richiede un’analisi minuziosa di tutti gli elementi che hanno influito sulla causa dell’evento, solo così sarà possibile determinare se il risultato prodotto è addebitabile al sanitario, alla struttura o ad entrambi. Affinché ciò avvenga è necessario che l’evento dannoso non si sarebbe verificato “al di là di ogni ragionevole dubbio” se il medico avesse agito con diligenza. La teoria della conditio sine qua non, conosciuta anche come teoria condizionalistica, è la forma di ragionamento utilizzata dal giudice per individuare il nesso causale, fondata sul presupposto che: “ ogni evento è la conseguenza di molti fattori causali, che sono tutti egualmente necessari perché l’evento si verifichi: giuridicamente rilevante come causa dell’evento è ogni azione che non può essere eliminata mentalmente senza che l’evento concreto venga meno”128

. Questa teoria può dirsi superata dalla teoria della causalità adeguata, più moderata, sostiene che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, è necessario che il soggetto agente abbia causato l’evento con un’azione proporzionata, idonea a determinare l’effetto sulla base di criteri di normalità alla stregua della comune esperienza. Gli artt. 40 e 41 del codice penale prevedono il caso in cui il nesso causale venga interrotto, può accadere qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento dell’uomo, restando così l’autore dell’azione o dell’omissione sollevato da ogni responsabilità dell’evento. Anche se questa non può essere considerata la regola generale, infatti può accadere che nonostante vi siano fattori

127

Cass., 26 febbraio 2013, n. 4792, in Massimario di Giustizia Civile, 2013.

128

54

interruttivi del nesso causale, il giudice consideri responsabile il personale sanitario. E’ successo nell’ambito della responsabilità del presidio di 118129, è stato individuato un fattore interruttivo del nesso causale ( laddove il protocollo di rito fosse stato tempestivamente e scrupolosamente osservato, il richiesto intervento immediato della centrale operativa del 118 non sarebbe valso a scongiurare il decesso) ciò non è servito ad assolvere gli imputati, vengono condannati sulla base della funzione specifica del servizio di pronto intervento. La Corte aggiunge che “la funzione dell’intervento del 118 non deve essere limitata ai soli presidi funzionali alla sopravvivenza del paziente, ma anche a quelli non meno importanti di una presenza terapeutica o lenitiva del dolore nelle fasi terminali dell’exitus”. Incombe in capo al medico un obbligo di informare il paziente, non solo dei trattamenti terapeutici ed esami diagnostici necessari, ma anche delle attrezzature di cui è dotata la struttura sanitaria, così il paziente potrà scegliere liberamente a seconda delle sue esigenze. Recentemente la Cassazione130 conferma il perfezionarsi del contratto tra paziente e struttura, anche in assenza di un valido consenso informato, generando così proprio dalla sua omissione una responsabilità di natura obbligatoria in capo all’operatore sanitario. Qualora invece il paziente venga sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, quindi nel caso di un farmaco “salvavita”, il consenso non sarà obbligatorio131. In sintesi, se da un lato la presenza del consenso informato può favorire l’esclusione del nesso causale, la sua assenza fa sorgere una responsabilità di natura obbligatoria, in capo ad entrambi i soggetti, sui quali graverà l’onere di fornire prova contraria.

129 Cass., 5 aprile 2013, n. 19759, in CED Cassazione, 2013, Integra il delitto di rifiuto

di atti d’ufficio la condotta del medico preposto al servizio “118” che non eserciti la propria valutazione discrezionale del requisito dell’urgenza dell’atto, omettendo di formulare la diagnosi mediante i parametri informatici previsti dal protocollo dell’azienda ospedaliera e di inviare la richiesta autoambulanza, seconto quanto stabilito, secondo quanto stabilito nelle procedure operative previste per il relativo servizio. ” La paziente non ha ricevuto conforto materiale e psicologico di personale medico sanitario, non ha usufruito di cure di supporto alla respirazione e alla circolazione, non ha ricevuto cure lenitive agli atroci dolori, che ha dovuto gradualmente sopportare, non è stata trasportata dal suo letto verso l’ospedale su una normalissima barella , come tutti gli altri ammalati, perché è andata via di casa avvolta in una coperta, a piedi e sorretta di peso dai suoi amici, con i quali ha dovuto percorrere la strada sino all’ospedale in pieno inverno”.

130

Cass., 8 aprile 2013, n. 8527, in Ragiusan, 2013, 351-352-353, 145.

131

55