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Il danno da nascita indesiderata. I diritti del concepito e la responsabilità del medico.

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Università di Pisa

Dipartimento di giurisprudenza

Corso di laurea in GIURISPRUDENZA

IL DANNO DA NASCITA INDESIDERATA. I DIRITTI

DEL CONCEPITO E LA RESPONSABILITA’ DEL

MEDICO

Il candidato Il relatore

Caterina Talarico Caterina Murgo

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Nascere, vivere, morire, questo è l’ordine esatto, ma

non sempre ciò che è giusto, riflette il nostro volere.

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A te nonno, mio angelo protettore, da lassù continui a guidarmi, e credo che oggi saresti orgoglioso di me, anzi immagino che tu stia sorridendo in questo momento, felice per me e per il mio traguardo. Sorrido anche io, perdendomi nei tuoi occhi grandi e azzurri, con la chiara consapevolezza di portarti sempre nella parte di cuore più nobile.

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INDICE

Introduzione

Capitolo I

Il Concepito

1.1 La soggettività giuridica del concepito

1.2 Il riconoscimento dei diritti del concepito 1.2.1 Cenni legge procreazione assistita

1.3 Il diritto a non nascere (se non sani) 1.4 Caso Perruche ( cenni diritto comparato)

Capitolo II

La fattispecie di danno da vita indesiderata

2.1 La legittimazione ad agire per il danno da nascita indesiderata 2.1.1 I genitori

2.1.2 Il figlio 2.2 Wrongful life e wrongful birth

2.3 Malpractice sanitaria: il danno da lesione e la sua risarcibilità

Capitolo III

Responsabilità del medico per nascita indesiderata

3.1 Cenni allo statuto della responsabilità sanitaria

3.2 Danno alla salute

3.3 Responsabilità del medico e dell’ ente ospedaliero 3.3.1 Colpa medica e nesso causale

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3.3.2 Onere della prova

3.4 Responsabilità medica per errata diagnosi e conseguente omessa informazione alla gestante delle gravi malformazioni del nascituro. 3.5 Consenso informato

3.6 La legge Balduzzi

Capitolo IV

Pratiche mediche e inadempimento

4.1 Sterilizzazione volontaria

4.2 Procedura di sterilizzazione

4.2.1 Il non riuscito intervento della procedura di sterilizzazione 4.3 Interruzione volontaria della gravidanza ( Cenni legge alla legge 194/ 1978)

4.3.1 Fallimento interruzione volontaria della gravidanza e nascita indesiderata

Capitolo V

Danno patrimoniale da nascita indesiderata

5.1 Il riconoscimento di un danno patrimoniale risarcibile

5.1.1 La questione della compensatio lucri cum damno 5.2 Il danno non patrimoniale

5.2.1 Danno biologico

5.3 Danno morale ed esistenziale

Conclusione

Bibliografia Note e ringraziamenti

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Introduzione

Ormai la nota espressione danno da nascita indesiderata è stata adottata dall’ordinamento giuridico, ampliando l’area del danno risarcibile. Tale fattispecie di danno comprende tutte quelle nascite inattese o non volute, dalla sola gestante o dalla coppia in genere, e considerate un pregiudizio che i medici e gli operatori sanitari avrebbero potuto e dovuto impedire. Il collante di queste vicende dunque, è l’esistenza di un progetto di non procreazione successivamente impedito dalla negligenza del medico. Pertanto il diritto leso da parte del sanitario è quello di esercitare una maternità consapevole, omettendo di fornire alla gestante le informazioni doverose sullo stato del feto, con la conseguente richiesta del risarcimento avanzata dal soggetto danneggiato. Si tratta di una questione, collocata ai confini tra la bioetica e il diritto privato, che sconvolge in modo definitivo e del tutto risolutivo la vita dei soggetti coinvolti, costretti a dover convivere con le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, non solo nell’ambito patrimoniale ma anche oramai in quello non patrimoniale.

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Capitolo I

Il concepito

Sommario : 1.1 La soggettività giuridica del concepito- 1.2 Il riconoscimento dei diritti del concepito- 1.2.1 Cenni legge procreazione assistita- 1.3 Il diritto a non nascere (se non sani)- 1.4 Caso Perruche (cenni diritto comparato)

1.1 La soggettività giuridica del concepito

Con il termine “danno da nascita indesiderata” si designa una particolare forma di errore medico derivante da un’inesatta diagnosi prenatale, nella quale non viene identificata una malformazione del feto, condizione che impedisce alla madre di decidere consapevolmente se interrompere o meno la gravidanza. L’emergere di questa nuova fattispecie all’interno della responsabilità civile ha suscitato ampi dibattiti in ambito giurisprudenziale e dottrinale, sia in Italia che all’estero. Una problematica collocata ai confini tra la bioetica e il diritto privato, con l’ individuazione di nuovi interessi giuridicamente rilevanti cui riconoscere tutela risarcitoria. In questo danno rientra non solo il danno alla salute in senso stretto ma anche il danno biologico in tutte le sue forme ed il danno economico, che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del sanitario. Con riferimento a questa fattispecie, si possono distinguere quelli che sono ormai i punti fermi cui è approdata la giurisprudenza, da quelli che ancora sono oggetto di dibattito. Innanzitutto viene riconosciuta dalla giurisprudenza la legittimazione all’azione risarcitoria della madre, altro punto fermo è il riconoscimento di un autonomo diritto al risarcimento del danno anche a favore del padre Mentre la questione controversa riguarda la possibilità di riconoscere un diritto al risarcimento del danno a favore del nato malformato. Prima di soffermarci su queste numerose problematiche, bisogna addentrarci nella fattispecie partendo proprio dal soggetto che subisce il danno, ovvero il nascituro, o concepito. Il concepito, inteso come frutto del concepimento, è l’essere umano nel suo stato primitivo, comprendente tutto il periodo che precede la nascita. Questo evento rappresenta la condizione che incide sull’esercizio dei diritti, con la possibilità di attribuire solo in alcuni casi a persone non ancora nate situazioni giuridiche soggettive. A tal proposito la questione è stata affrontata dal

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codice civile, dapprima sotto il profilo patrimoniale, come nel caso dell’art. 462 ( capacità di succedere), e anche personali come il riconoscimento successivo al concepimento. Previsioni che lasciano intendere l’idoneità ad essere titolari di diritti prima della nascita e anche prima del concepimento. Queste conclusioni sono il risultato di un travagliato percorso che trova la sua origine negli interrogativi attorno alla figura del concepito. Quest’ultimo può essere già considerato un soggetto o ancora no? E’ persona o non lo è? L’imputazione di una situazione giuridica soggettiva presuppone la soggettività,quindi solo il soggetto può essere titolare di diritti, e solo dopo il necessario acquisto della capacità giuridica1. Un principio ben saldo nel nostro ordinamento, contenuto già nell’art. 1 del codice civile “ i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.Solo con la nascita si acquista la capacità giuridica, la quale può ben appartenere al concepito nella sua veste di soggetto e prescindere dalla persona. Infatti la capacità giuridica si misura con la difficile definizione di concepito, a metà strada tra soggetto e persona. Divenendo così la capacità un concetto indipendente, poiché può ben appartenere al soggetto anche nel momento in cui non sia una “persona”2

. La legge 19 febbraio 2004, n. 403, concernente le norme in materia di procreazione medicalmente assistita, già nell’art. 1 assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compresi il concepito. Con questo enunciato viene riconosciuto al concepito la natura giuridica di soggetto, ciò non comporta il riconoscimento a siffatto soggetto della natura di persona, ma ovviamente ne comporta l’inscrizione nel novero delle soggettività giuridiche i cui interessi sono presi in considerazione dall’ordinamento giuridico. Una pronuncia della Cassazione che riconosce soggettività giuridica al concepito, è diventata lo strumento per rinnovare una distinzione tra capacità giuridica e soggettività4. Il Supremo Collegio afferma che: “ deve oggi intendersi per soggettività giuridica una nozione più ampia di quella di capacità giuridica delle persone fisiche, con conseguente non assoluta coincidenza, da un punto di vista giuridico, tra soggetto e persona, e di quella di personalità giuridica. Il nascituro o concepito risulta dotato di autonoma soggettività giuridica

1

G. Buffone, “La tutela della vita nascente”, in Trattato dei nuovi danni-Persone,

famiglia, medicina, a cura di P. Cendon, Milano, 2014.

2 Donato, Contributi di diritto civile, Torino, 2004, 21. 3

L. 19 febbraio 2004, n. 40, in Gazzetta Ufficiale, n. 45 del 24 febbraio.

4 Cass.,11 maggio 2009, n. 10471, in La rivista Neldiritto, 2009, VI,

821 ss.

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perché titolare, di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, il diritto alla salute o integrità psico-fisica, il diritto all’identità personale”. La norma contenuta nel nostro codice civile spesso viene disattesa, così si sono sviluppate due teorie5. La prima, detta teoria organica6, pone al centro dell’ordinamento il soggetto, destinatario di tutte le norme, facendo coincidere così capacità giuridica e soggettività. Entrambe rappresentano caratteristiche intrinseche del soggetto, quest’ultimo viene considerato titolare degli interessi tutelati e riconosciuti dal diritto, derivando da ciò la sua capacità. Seguendo questa teoria il soggetto giuridico si configura nel momento in cui è l’ordinamento a riconoscergli capacità giuridica generale. L’altra, la teoria atomistica7, rimanda all’esperienza

kelseniana , estromette l’individuo dal mondo del diritto, infatti il soggetto sarebbe una mera presenza nella norma, senza necessità di una sua autonomia al di là di una norma stessa. Il nascituro è soggetto del diritto, ma anche oggetto di tutela. Tutelare il concepito, il nascituro, l’embrione, diventa coincidente con la tutela dell’uomo in quanto tale8. Il feto più che un nascituro è un nascens, implicando così che la fase finale che termina con la nascita resta separata da una fase pre-natale, tramite una soglia, che è l’inizio del travaglio. Questa dipende dalla raggiunta maturità del feto, che è pronto a nascere, separandosi così dalla madre e affrontando il travaglio del parto. Se quest’ultima fase viene superata, il feto può essere chiamato a nascere, ma può anche succedere il contrario concludendo la sua vita come aborto. Negli anni 90, un noto caso francese Thi-No Vo, affronta la difficile qualificazione giuridica della vita prenatale9. Protagonista della vicenda fu la signora Thi-No Vo, che si recò all’ ospedale di Lione, al quinto mese di gravidanza per effettuare una visita di controllo. La donna per uno scambio di persona, subì un errato intervento medico, perdendo il bambino. Quale forma di tutela spetta a questa vita? Dapprima il tribunale di Lione assolse il medico, poiché anche cagionando la morte del feto, quest’ultimo non era in grado di vivere autonomamente e quindi non era qualificabile come persona. La morte non integrava la fattispecie di omicidio colposo. Diversa fu la

5 Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, 1939, Milano. 6

Bianca, Diritto Civile, La norma giuridica, I soggetti, VII, 1, Milano, Giuffrè, 1984, 202.

7 S. Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989; Rescigno, Capacità

giuridica, in Digesto IV, Torino, 1998.

8 Zatti, Questioni della vita nascente, in Trattato di biodiritto, il governo del corpo,

volume 2, Milano, 2010.

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posizione della Corte di Appello di Lione10, secondo la sua visione a ciascun essere umano deve essere riconosciuto il diritto alla vita. Accogliendo un’interpretazione più estensiva del termine persona, tale da includere anche il feto di 21 settimane. La vicenda giunse in Cassazione, la quale scelse di seguire la strada intrapresa dal tribunale di Lione precedentemente. Così la madre, dopo la posizione adottata dalla Cassazione decise di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte europea, in quella che è diventata ormai una celebre sentenza11, condanna la Francia per aver violato l’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 ( ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n.848). E affida alla competenza esclusiva di ciascuno stato membro la qualificazione giuridica della vita prenatale e la determinazione del momento a partire dal quale tale vita gode dei diritti.

10 La Corte di Appello di Lione richiamò l’art. 2 della Convenzione europea sui diritti

dell’uomo e la biomedicina e l’ art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Dal punto di vista del diritto interno, la legge del 29 luglio 1994, che novella

l’art. 16 del code civil, e la legge sull’aborto del 17 gennaio 1975 affermano, rispettivamente “ la primautè de la personne” e l’ obbligo di rispettare “ tout etre

humain des le commencement de la vie”.

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Corte,EDU, 8luglio 2004 ,caso VO c. Francia,ric .n. 53924/00, in PACE DIRITTI UMANI, anno 1, numero 3, settembre-dicembre 2004.

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1.2 Il riconoscimento dei diritti del concepito

Definire il concepito come un soggetto implica che egli sia titolare di diritti che potrà esercitare subordinatamente alla sua nascita. Pur non essendo una persona, un essere autonomo, viene distinto dalla madre. I diritti di cui è titolare possono riguardare più aspetti : il diritto alla vita, all’identità, alla salute, all’assistenza, alla famiglia, al mantenimento da parte dei genitori. La nostra Costituzione prevede una tutela, lo fa con una serie di principi e disposizioni che impongono certamente di tutelare il diritto alla vita. Il riferimento più importante lo troviamo nell’art. 2, che tutela e garantisce i diritti inviolabili della persona, includendo nel concetto di persona anche il concepito12. Il diritto di difesa, art 24, un diritto inviolabile per tutti, riconosciuto anche al concepito. La ratio di tale previsione è quella di garantire a tutti la possibilità di agire in giudizio per ottenere la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Prevedendo da un lato che il destinatario passivo della richiesta di tutela possa difendersi, e dall’altro che vengano assicurati, con appositi istituti a tutti coloro che vogliono agire o difendersi nel processo, ma non ne abbiano le possibilità, i mezzi per far valere le proprie ragioni davanti ad ogni giurisdizione. Ancora nell’art. 31, l’obbligo imposto alla Repubblica di proteggere la maternità. Per poi completare questo quadro con la tutela della salute (art.32) , prevede il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona come la madre e la salvaguardia dell’embrione che persona deve diventare. Un contributo notevole viene dato dalla Corte Costituzionale, con un diretto riferimento alla legge sull’aborto, giudica il diritto alla vita come costituzionalmente garantito. Nel 1978 quando la legge sull’aborto fece il suo ingresso, all’art.1 ribadiva la tutela della vita umana dal suo inizio, con la possibilità però di interrompere la gravidanza in caso di pericolo per la donna. Con la sentenza del 1997 n. 35 la Corte ha dichiarato inammissibile il referendum proposto sulla legge 194/ 1978, poiché vi sono diritti costituzionalmente garantiti che non si possono inficiare tramite leggi ordinarie13. Ampio spazio alla materia viene dedicato

12 Loiodice , Danno alla salute- duplice effetto, in Enciclopedia di bioetica e scienza

giuridica, Napoli,2011.

13 Corte Cost., 10 febbraio 1997, n. 35, in Giustizia Civile 1997, p 293 ss, nella

sentenza la Corte si trovò dinanzi ad una richiesta di referendum promosso dal partito radicale, che mirava alla soppressione di ogni regolamentazione legale dell’interruzione volontaria della gravidanza e alla sua liberalizzazione. La corte si pose nella prospettiva di esaminare le esigenze costituzionali di difesa della vita del

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anche dal codice civile, che già nel suo primo articolo, si sofferma sulle questioni della vita nascente.

1.2.1 Cenni legge procreazione assistita

Il termine fecondazione assistita nel linguaggio quotidiano tende a sovrapporsi, a confondersi con la procreazione medicalmente assistita , quest’ultimo è un termine coniato in epoca moderna che però indica un’attività non proprio coincidente. Mentre la fecondazione assistita nel suo significato più ristretto riguarda il processo con il quale si ottiene artificialmente la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo, la procreazione invece nel suo significato più ampio racchiude tutte le metodologie per mezzo delle quali è possibile ottenere una gravidanza in maniera assistita o artificiale. Quest’ultima oggetto di un’apposita disciplina14

, articolata nella legge e dalla redazione di linee-guida, contenute in un testo ministeriale. Si ricorre a questa procedura solo in casi eccezionali, e solo se sussistono patologie che impediscono la procreazione. La normativa coinvolge più interessi facenti capo a soggetti diversi, la madre, il padre, il medico che assiste e provvede a tutte le tecniche per la realizzazione della procedura, e infine il concepito. Anche qui considerato come soggetto, al quale devono essere riconosciuti gli stessi diritti dei genitori, destinatario di una tutela più ristretta, che pone al centro non il concepito in genere ma il concepito che nasce solo per effetto di un procedimento medicalmente assistito15. In Italia fino al 2004 era possibile accedere alla fecondazione eterologa, con la legge (n.40) mutò la situazione, si decise di vietare il ricorso a questa tecnica. L’anno seguente ci fu un tentativo per rimuovere questo divieto, tramite un referendum, ma a causa della scarsità di voti non si raggiunse il quorum e quindi la legge rimase in vigore. Un primo spiraglio invece lo abbiamo nell’aprile concepito. Il riferimento all’art. 2 della Carta è esplicito, e così l’assunto che la vita umana debba essere tutelata sin dal suo inizio, un principio riconosciuto anche sul piano internazionale e mondiale. Così pure si è rafforzata la convinzione, insita nella Costituzione italiana, precisamente all’ art. 2, secondo la quale il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ ordinamento una posizione privilegiata, in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana.

14

L. 19 febbraio 2004,( n. 40, cit.).

15 D’Aloia-Torretta, “ La procreazione come diritto della persona”, Trattato di

Biodiritto- Il governo del corpo, a cura di Rodotà, Zatti, Ferrando, Mazzoni,

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2014 quando la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il divieto16, permettendo l’utilizzo di questa tecnica. L’illegittimità del divieto non corrisponde però ad un libero utilizzo di questa tecnica perché i presupposti soggettivi devono essere rispettati Al contrario se il legislatore avesse consentito la fecondazione eterologa si sarebbero verificate alcune situazioni incresciose come: la possibilità di generare un figlio con il seme di un uomo diverso dal marito o dal partner, la possibilità di generare un figlio con il seme diverso dal marito o dal partner e con l’ ovulo di un’altra donna. Tutte situazioni che se permesse lederebbero la dignità non solo dei coniugi, ma anche del concepito eterologo, che una volta divenuto adulto, dovrà informare la persona con la quale diventare genitore della sua situazione, potrebbe essere portatore di eventuali malattie genetiche ereditarie trasmissibili ai figli. Il divieto di fecondazione eterologa però non ha fermato le tantissime coppie che pur di esaudire il loro desiderio di diventare genitori si sono spostati in altri paesi dove questa tecnica è ammessa. Com’è noto, l’art. 7 ( l. 19 febbraio 2004, n. 40) precisa che il Ministro della Salute, avvalendosi dell’Istituto Superiore di Sanità, e previo parere del Consiglio superiore di Sanità, definisce con un proprio decreto, linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all’evoluzione tecnica-scientifica. Le linee guida originali presentavano contenuti prevalentemente tecnici. Si forniva una definizione di sterilità e infertilità come sinonimi; si individuavano varie tecniche, suddivise in tre livelli, secondo il grado di “invasività” sulla coppia. Spettava poi al medico definire la gradualità delle tecniche stesse, con riferimento all’età della donna, alle problematiche legate a situazioni specifiche, e ai rischi concreti per la donna e il concepito. Nel 2008 sono state apportate diverse modifiche al quadro originario delle linee-guida17, anche se restano invariate le definizioni di sterilità e infertilità, immutati anche i riferimenti agli studi di settore e alle statistiche. Con riferimento all’accesso alle tecniche, la versione originaria si limitava a richiedere un’anamnesi dello stato e delle cause di infertilità e sterilità; quella aggiornata richiede anche l’accertamento di eventuali malattie virali sessualmente trasmissibili per infezione da HIV, HBV, HCV, l’elevato rischio di infezione per madre e feto costituisce una causa ostativa della procreazione, e dunque tali malattie

16 Corte Cost. 10 novembre 2014, n. 162, in Foro It, 2014, 9,1,2324. 17

Dogliotti, Procreazione assistita: le Linee guida 2008, in Famiglia e Diritto, n. 7, 2008.

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virali se presenti nell’uomo, vengono considerate come condizione di infecondità. Si fa carico al medico di definire secondo la situazione concreta, la gradualità delle tecniche, ma si precisa che devono essere utilizzate in prima istanza le opzioni terapeutiche più semplici e meno invasive. In relazione all’ art. 13, Misure di tutela dell’embrione, Sperimentazione sugli embrioni umani, le Linee guida originarie, introducevano il divieto di ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetiche, precisando che ogni indagine sullo stato di salute degli embrioni creati in vitro doveva essere di tipo “osservazionale”. La situazione mutò dapprima con un’ordinanza dei Giudici della Consulta18, poi successive pronunce che con varie argomentazioni, sostenevano tutte l’ammissibilità della diagnosi preimpianto19

, fino all’annullamento della relativa disposizione delle Linee guida da parte di un giudice amministrativo20, con particolare riferimento alla necessità di indagini soltanto “osservazionali” sullo stato degli embrioni. Se dunque l’art. 13 attiene alla generale sperimentazione, il successivo art. 14 si riferisce al singolo intervento ed ai limiti della sua operatività, si tratta del rapporto tra “l’aspettativa di vita dell’embrione” e la tutela dei soggetti direttamente coinvolti nella procedura di procreazione assistita. Il comma 5 del medesimo articolo, precisa che la coppia deve essere informata sul numero e, su sua richiesta, sullo stato di salute degli embrioni da trasferire nell’utero. La previsione è espressione del principio del consenso informato, contenuto nell’art. 6 della legge. La necessità d tale consenso attiene alla fase anteriore alla manifestazione del consenso stesso, si manifesta pure in quella successiva fino all’impianto. Dunque le notizie sullo stato di salute dell’embrione e sulla possibilità che vi siano malattie od anomalie sembrano costituire un obbligo per il medico a condizione che siano i soggetti interessati a richiederlo esplicitamente. Una giurisprudenza costante21 prescrive l’obbligo di informazione sullo stato di salute del feto, con sicura responsabilità del medico che non abbia fornito tali informazioni, oppure le abbia date in maniera sbagliata. Vi è stata un’evoluzione che ha portato poi nel 2015 la

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Corte Cost., 9 novembre 2006, n. 369, in Famiglia e Diritto, con commento di Figone, che ha dichiarato inammissibile la questione.

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T. Cagliari, 24 settembre 2007, in Famiglia e Diritto, 2007, 1141, con commento di Dogliotti; T. Firenze, 19 dicembre 2007, in questo fascicolo, 2008, 725 ss, con commento di Astiggiano.

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TAR Lazio, 21 gennaio 2008, in Diritto e Famiglia, 2008, 499, con commento di Figone.

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Ministra Beatrice Lorenzin a firmare il decreto di aggiornamento delle linee guida della legge 40/2004. Il nuovo testo è stato rivisto in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica del settore e all’evoluzione normativa, in particolare con riferimento ai decreti legislativi 191/200722 e 16/201023, alle sentenze della Corte Costituzionale n. 151/200924 e 162/ 201425, le quali hanno eliminato, il numero massimo di tre embrioni da creare e trasferire in un unico e contemporaneo impianto, e il divieto di fecondazione eterologa. Tra le principali novità, l’accesso alle tecniche di fecondazione eterologa, la raccomandazione di un’attenta valutazione clinica del rapporto rischi-benefici, l’accesso generale alle tecniche aperto anche a coppie “siero discordanti”, cioè in cui uno dei due partner è portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili come Hiv o epatiti B e C ( nelle linee guida 2008 l’accesso era previsto solo per l’uomo portatore e non anche per la donna portatrice , come invece sarà da oggi). Ancora la cartella clinica dovrà contenere un maggior dettaglio sui trattamenti rispetto a quanto avvenuto fino ad ora. Le coppie che accedono all’eterologa non possono scegliere le caratteristiche fenotipiche del donatore. In Italia vi è stato cosi un primo caso, dopo il parere positivo della Corte costituzionale , sono nati due gemelli con la fecondazione eterologa. Proprio in coincidenza con il compimento degli undici anni della legge sulla procreazione medicalmente assistita entrata in vigore nel 2004, arriva la notizia della nascita dei primi due bambini. Una donna di 47 anni, che tentava da parecchi anni di avere un figlio, è diventata madre grazie alla donazione di ovociti da parte di una donatrice italiana.

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Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, in Gazzetta Ufficiale, n. 261 del 9 novembre 2007.

23 Decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 16, in Gazzetta Ufficiale, n. 40 del 18

febbraio 2010.

24 Corte Cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Gazzetta Ufficiale, n. 19 del 13 maggio

2009.

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1.3 Il diritto a non nascere ( se non sani)

Il nostro ordinamento si fonda sul principio della dignità della persona umana, il diritto proprio di ogni essere umano ad essere rispettato come uomo/ donna , un diritto implicito nell’esistenza, e dunque oggettivo26. La dignità come valore trova così la propria implicita affermazione nel riconoscimento del principio contenuto nell’articolo 2 della nostra Costituzione, si stabilisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia come nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”. La dignità così intesa fa riferimento non soltanto all’essere umano in quanto tale, ma anche con riguardo alla sua vita di relazione e come soggetto nella società in cui vive. In particolare, nel primo comma dell’art. 3, si parla di pari dignità sociale, qui il concetto di dignità deve essere letto non soltanto in chiave di eguaglianza formale ma anche sostanziale, implicando la collaborazione dei pubblici poteri per garantire il pieno rispetto e sviluppo della persona27. Utile per costruire un adeguato sistema di garanzie per la persona e per la sua dignità è la protezione della libertà di coscienza, che trova espressione nella libertà di manifestazione dei propri convincimenti ( art. 21) e della propria fede religiosa (art.19). Ancora ci si può riferire all’articolo 32, diritto alla salute di ciascun individuo, ma anche dovere del legislatore nel compiere un bilanciamento dei valori costituzionali per dare attuazione ai trattamenti sanitari. Questo principio appena menzionato si estende a tutti i soggetti, includendo tra questi anche il concepito. La Corte Costituzionale in una delle sue sentenze, alla fine degli anni 90 sancisce il diritto alla vita del concepito28, diritto che viene collocato tra i diritti inviolabili dell’uomo, riconosciuti e garantiti dall’art. 2, cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione privilegiata in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la nostra Costituzione. Al contrario nel nostro ordinamento non esiste un diritto a non nascere, principio ribadito anche in una sentenza del tribunale di Monza nel 2008. Dello stesso parere è stata anche la Corte di Cassazione, quando nel 2001 con le tre sentenze, ha riconosciuto al bambino una volta nato il diritto di agire in giudizio non per la sua nascita ma per lo stato di infermità in cui è

26 Abmeier, Borchard, Klein, Dignità e Diritti dell’uomo nell’era della globalizzazione,

Roma, 13 febbraio 2009.

27 Alpa- Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Trattato di diritto

civile, Torino, 2006.

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nato. La Corte ha separato i due fatti, da un lato la nascita e dall’altro il danno che deriva per il bambino, prevedendo un risarcimento per il pregiudizio subito a causa dell’handicap e non per un pregiudizio legato all’evento stesso della nascita. Il bambino affetto da disabilità sin dalla nascita è un soggetto di diritto, ma è anche vittima di un pregiudizio , ha il diritto di ribellarsi contro l’errore che lo costringe a vivere in uno stato di handicap incurabile. Quest’ultimo può derivare da malformazioni, dalla trasmissione di una malattia genetica , o ancora e sicuramente sono i più frequenti da errori negli esami prenatali effettuati per valutare lo stato di maturazione dell’embrione, da eventuali irregolarità. Immaginare un diritto a non nascere o a nascere se sani contrasterebbe sia con la disciplina sull’aborto, sia con i principi generali a tutela della vita e pari dignità degli individui29. Questo orientamento risale già alla metà del secolo scorso quando nel 1950 il Tribunale di Piacenza si schierò a favore della legittimazione del nato, sollevando l’interesse generale30

. Viene riconosciuto ad una minore eredoluetica il diritto a vedersi risarcito il danno derivatole dal concepimento. La pronuncia divenne oggetto di studio intenso poiché venne affermata la legittimazione passiva dei genitori, condannati a risarcire il cosiddetto “ danno da procreazione”, inoltre si riconobbe la legittimazione attiva del minore. Per il Tribunale piacentino una non vita risulta preferibile ad una vita infelice, così da non considerare più la vita come bene supremo, da difendere a qualunque costo. La risarcibilità del danno da vita indesiderata è stata oggetto di un’evoluzione giurisprudenziale, infatti in passato non veniva risarcito neppure il danno patito dai genitori a seguito di nascita indesiderata, sulla considerazione che un figlio non potesse mai essere considerato un danno risarcibile. Il percorso che ha portato all’ammissione del minore ad agire si è dimostrato davvero difficile. Nel 2015 la Cassazione è tornata ad esprimersi su questa situazione , dapprima con un’ordinanza interlocutoria. La vicenda coinvolge una coppia di coniugi che dopo la nascita della figlia affetta da sindrome di Down, al fine di ottenere il risarcimento dei danni, decisero di intraprendere un’azione legale contro alcuni medici che avevano seguito la donna durante la gravidanza e l’ ente ospedaliero. La madre aveva perso la possibilità di interrompere la gravidanza a causa di una grave disattenzione dei medici, i quali avevano avviato la donna al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, nonostante i risultati

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Trib. Catania 27/03/2006, in Massima redazionale 2008.

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degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti. Per il tribunale e la Corte d’Appello la madre non aveva dato prova del pericolo grave per la sua salute fisica e psichica, mancando questa prova veniva meno il presupposto indispensabile per il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza. Stessa sorte per la domanda di risarcimento dei danni nei confronti della figlia, i giudici non accolsero la domanda poiché nel nostro ordinamento non esiste un diritto a non nascere o a non nascere se non sano. I coniugi lamentavano l’impossibilità di fornire questa prova in quanto il quadro informativo fornito loro dai medici era praticamente inesistente. Quanto al risarcimento danni nei confronti della figlia, questo non coprirebbe una nascita non voluta bensì “ un’esistenza difficile da portarsi dietro tutta la vita e da vivere in ragione delle proprie limitazioni psicofisiche”.La Cassazione rileva contrasti giurisprudenziali, incentrando il tutto su due questioni, quella relativa all’onere probatorio e quella concernente la legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria.

1) Onere probatorio: si sono affermati due orientamenti in giurisprudenza entrambi basati sul medesimo presupposto ossia spetta alla donna provare che l’accertamento di anomalie o malformazioni nel feto l’avrebbero indotta a interrompere la gravidanza. Divergono invece per il tipo di prova richiesta alla madre:

a) “corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata delle gravi malformazioni del feto”31

b) Qualora non vi fosse una preventiva dichiarazione di volontà da parte della donna di interrompere la

gravidanza in caso di malattia genetica, il giudice sarà chiamato a valutare caso per caso basandosi su ulteriori elementi presentati dalla parte attrice32.

2) Legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria: anche in questo caso divergono gli orientamenti dei giudici.

a) Non esiste nel nostro ordinamento un diritto a non nascere o a non nascere se non sani.

b) Il nascituro, una volta nato ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario non solo per il danno subito ma anche

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Cass.,10 maggio 2002, n. 6735, in Giur.it., 2003,884.

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per alleviare la sua condizione che gli impedirà di vivere una vita normale.

Si conclude con l’affidamento degli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

1.4 Caso Perruche (cenni diritto comparato)

Un bambino colpito da un handicap congenito può denunciare il fatto di essere nato infermo invece di non essere nato affatto? Questa fu la domanda posta dall’avvocato generale Sainte-Rose all’assemblea plenaria della Corte di Cassazione durante l’udienza dell’ormai celeberrimo caso Perruche. Come è noto, il 17 novembre 2000 la corte suprema dell’ordine giudiziario ha deciso di rispondere affermativamente a questa domanda, riconoscendo al bambino il diritto di esigere da un medico il risarcimento per il pregiudizio causato dall’handicap conseguente alla nascita e condannando il medico e il laboratorio di biologia medica a risarcire il pregiudizio dell’interessato. Questa famosa sentenza rappresenta la conclusione di un iter giurisprudenziale iniziato qualche anno primo. Nel 1992 l’Alta Corte di Evry ritiene che al medico e al laboratorio di biologia medica, ai quali una gestante si era rivolta per far accertare l’esistenza di anticorpi della rosolia si possa imputare una colpa di natura contrattuale per aver consegnato alla gestante referti errati, maturando in lei la convinzione di portare a termine la gravidanza senza pregiudizi per il nascituro. In seguito (17/12/1993) la Corte di Appello di Parigi adita dal medico perché l’errore era imputabile, a suo dire, solo al laboratorio, ritiene che anche il medico sia in colpa contrattuale ( per violazione di un obbligazione di mezzi) e debba rispondere in solido con il laboratorio. Rifiutando anche di ammettere la compensazione per il bambino. Sono intervenute ancora due sentenze, Corte di Cassazione nel 1996 e nel 1999 Corte d’Appello d’Orleans, per poi arrivare alla sentenza conclusiva che provocò in seno a una parte della dottrina giuridica una tempesta di proteste di rara intensità. Da qui la nascita del cosiddetto partito Antiperruchiste. Partendo però dalla tesi perrucchiste, difesa dalla Corte di Cassazione, si fa strada l’idea che non solo vi sia stato un errore da parte del medico e del laboratorio, i quali non avevano saputo diagnosticare correttamente l’infezione di rosolia di cui era stata vittima la signora Perruche. Ma anche un pregiudizio notevole subito da Nicolas Perruche, affetto da un pesante handicap. Necessario ai fini

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della decisione è il nesso di causalità che intercorre tra l’errore e il pregiudizio, anche se non è facile sostenere che l’errore medico sia in se stesso la fonte dell’handicap. A tal proposito la contestazione delle Corti d’Appello consisteva proprio nel rifiuto di vedere nell’handicap la conseguenza dell’errore medico, anche se la rosolia fosse stata diagnosticata correttamente, non per questo sarebbe stata meno nociva per la salute del feto. Così errore e pregiudizio concorrono insieme nel creare per il bambino un fondamento legittimo che gli dia la possibilità di ottenere il risarcimento, senza poter il giudice rifiutare questo diritto. La madre aveva esplicitamente deciso di interrompere la gravidanza nel caso avesse contratto la rosolia, ma a causa delle errate informazioni che le sono state date riguardo la salute di suo figlio non ha potuto esercitare a pieno questa sua volontà. Il diritto soggettivo del bambino di sporgere denuncia, il diritto soggettivo della madre di abortire vengono tutelati dalla Corte, creando una rottura con il passato e riconoscendo implicitamente un diritto di non nascere. Diametralmente opposta è la tesi sostenuta dagli Antiperruchiste, loro non vedono assolutamente un nesso di causalità tra l’errore e il pregiudizio, poiché per loro non vi è nessun pregiudizio. Anche se vi è stato un errore medico, la conseguenza dell’errore non è l’handicap ma solo la nascita del bambino. Qualora non vi fosse stato l’errore l’handicap sarebbe stato lo stesso una conseguenza della rosolia della madre, è congenito,è un fatto naturale , non può essere evitato dall’uomo.

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Capitolo II

La fattispecie di danno da nascita indesiderata

Sommario: 2.1 La legittimazione ad agire per il danno da nascita indesiderata- 2.1.1 I genitori- 2.1.2 Il figlio- 2.2 Wrongful life e Wrongful birth- 2.3 Malpractice sanitaria: il danno da lesione e la sua risarcibilità

2.1 La legittimazione ad agire per il danno da

nascita indesiderata

La fattispecie di danno da vita indesiderata rappresenta ormai un tema importante nell’ambito della tutela giuridica della persona. Il danno può derivare da un fatto anteriore al concepimento, da una lesione cagionata nella fase endouterina, o nel corso del parto, o subito dopo. Nel primo caso può trattarsi di una malattia di uno o entrambi i genitori, di un’omessa diagnosi da parte del medico, un errato intervento di sterilizzazione volontaria, ma anche un intervento di sterilizzazione non riuscito. Quest’ultima ipotesi è stata oggetto recentemente di una sentenza della Cassazione33, la protagonista è una donna che si era sottoposta ad un intervento di sterilizzazione, una volta rassicurata dai medici circa l’esito dell’intervento, non aveva più adottato alcuna misura anticoncezionale. Nonostante l’intervento la donna rimaneva nuovamente incinta, e partoriva due gemelli. Così i due coniugi si trovarono con cinque figli a carico, in una situazione di grave disagio economico. Risultati soccombenti sia in primo che in secondo grado, decisero di ricorrere in Cassazione, ricorso fondato sull’inesatto adempimento da parte dei sanitari dell’obbligazione assunta, e per la mancanza di informazione riguardo il rischio di insuccesso dell’intervento con un conseguente recupero della fertilità. La Suprema Corte accoglie il ricorso, sostenendo che il dovere di informazione è stato assolto non solo in maniera inesatta, a anche fuorviante, incidendo così sul processo informativo della volontà dei coniugi. Nel secondo caso l’evento dannoso può dipendere da errato intervento di interruzione della gravidanza,da lesioni colpose cagionate al nascituro, da una diagnosi errata prenatale non consentendo alla madre di esercitare il diritto di interrompere la gravidanza. L’illecito causato dal medico, ai danni dei genitori ma anche del concepito ha

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reso questa tematica una delle più dibattute in campo giuridico, emergendo da qui numerose problematiche sia per quel che riguarda la legittimazione ad esperire l’azione di risarcimento e anche la selezione dei danni risarcibili.

2.1.1 La legittimazione ad agire dei genitori

Il danno da nascita indesiderata include molteplici fattispecie di responsabilità, accomunate dall’unicità dell’eventus damni, ovvero la nascita di un bambino non voluto, perché malformato o non previsto. Nel caso di malformazioni congenite, ciò che rimproverano i genitori è l’omessa informazione, che ha impedito alla madre di interrompere la gravidanza. Fino a poco tempo fa, la madre era l’unico soggetto legittimato ad agire per il risarcimento del danno da nascita indesiderata, ma la giurisprudenza alla fine degli anni 90 riconosce la legittimazione ad agire anche al padre. Le prime pronunce attribuiscono al padre la titolarità di un interesse riflesso34, gli veniva riconosciuto un danno non patrimoniale solo in funzione di quello subito dalla madre. La figura del danno di rimbalzo35 fu abbandonata per seguire quella del contratto con obblighi di protezione nei confronti del terzo. Cambiamento dovuto al passaggio della responsabilità medica dall’ambito extracontrattuale a quello contrattuale. Il nodo centrale qui concerne il ruolo del padre non considerato parte “necessaria” dell’accordo per interrompere la gravidanza ma neanche “eventuale”. Alcune risposte riguardanti questa fattispecie li troviamo nella disciplina della procreazione medicalmente assistita, infatti la legge n. 40/2004 non differenziò per l’uomo e la donna il procedimento di informazione e raccolta del consenso36. La coppia è destinataria della prestazione medica, incombendo sul professionista l’obbligo di risarcire il danno nei confronti di entrambi. Solitamente il padre e la madre prendono insieme le decisioni riguardanti la gravidanza e anche nel caso di aborto, nonostante ciò né il padre, né il medico possono contrastare la volontà della madre, la sua autodeterminazione. Questo non significa considerare la donna come

34

L’orientamento fa capo a Cass., 1/12/1998, n. 12195, in Foro it., 1999,I, 77-89 La Corte ritenne di poter desumere, secondo criteri di regolarità causale, il nesso fra la condotta lesiva del medico e il danno subito di riflesso dal padre, e che tale pregiudizio fosse di natura non patrimoniale.

35 La figura del danno di rimbalzo comporta la risarcibilità del danno indiretto subito

da terzi “qualificati”, ovvero che siano in rapporti giuridicamente apprezzabili con la vittima principale, come nel caso dei prossimi congiunti.

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Art. 6, l.19 febbraio 2004, n.40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita).

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unico centro di interessi. Fino a qualche tempo fa i soggetti legittimati ad agire erano solo i genitori, ma la Cassazione è intervenuta mutando la situazione37. Con una pronuncia innovativa, a seguito dell’errore commesso dal medico, che non ha eseguito l’amniocentesi e altri esami necessari e richiesti dalla stessa gestante, riconosce il risarcimento del danno oltre che alla donna e al padre del nascituro, anche al bambino nato con malformazioni e alla sorella dello stesso concepito. Siffatta sentenza modificò la precedente giurisprudenza che riconosceva il diritto al risarcimento del danno, in caso di omessa informazione o errore medico relativo alla diagnosi di malformazione del feto, solamente ai genitori. Alla madre, in quanto parte del contratto con la struttura o il medico; al padre, in quanto terzo direttamente tutelato dal contratto. La Cassazione dunque estende il diritto al risarcimento anche a fratelli e sorelle del nascituro che “ rientrano a pieno titolo tra i soggetti protetti dal rapporto intercorrente tra il medico e la gestante, nei cui confronti la prestazione è dovuta”. La nascita di un fratello con handicap si ripercuoterà in termini di minor disponibilità dei genitori, di perdita di “ serenità e distensione” in ambito familiare, oltre a diventare un onere economico.

Una delle questioni più dibattute, poi rimessa al Supremo Collegio, riguarda l’onere probatorio gravante sulla madre per poter richiedere il risarcimento nei confronti del medico. Non solo la madre ma anche il padre e gli altri figli, poiché beneficiano degli effetti protettivi del contratto stipulato tra il medico e l’ente ospedaliero38

, dovranno fornire la prova del contratto d’opera intellettuale39

, come fonte del diritto all’assistenza sanitaria, e poi l’inadempimento del medico, nell’aver omesso le informazioni utili riguardanti le patologie del feto. Di conseguenza incomberà sui convenuti l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita oppure che l’inadempimento non è ad essi imputabile. Una volta accertato l’inadempimento del sanitario, per il riconoscimento dei danni consistenti nelle spese di cura ed assistenza è richiesta la prova dei requisiti previsti dagli artt. 4, 6 e 7 della legge n.

37

Cass., 2 ottobre 2012,( n. 16754, cit.).

38 La legittimazione attiva del padre, nonostante sia escluso dalla decisione abortiva,

ai sensi dell’art. 5, L. n. 194/1978 si fonda alcune considerazioni: a) la decisione di interrompere la gravidanza è normalmente oggetto di concertazione tra i coniugi; b) per effetto della nascita gli obblighi di istruzione, educazione e mantenimento gravano anche in capo a lui, ai sensi degli artt. 29 e 30 Cost. e 143, 147, 315 bis, 316 e 316 bis c.c: Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, in Resp.civ.prev.,2003,117, con nota di Gorgoni; in Giur.it., 2003, 883, con nota di Poncibò.

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194/1978. Se l’adempimento si verifica nei primi tre mesi della gravidanza40, la donna dovrà provare che se l’informazione fosse stata tempestiva e corretta questo l’avrebbe portata a interrompere la gravidanza visto anche l’elevata probabilità di un pregiudizio alla sua salute. In molte decisioni la Cassazione41 cercò di adottare una posizione più favorevole nei confronti della gestante, con una presunzione, qualora la donna avesse saputo della malformazione del feto avrebbe interrotto la gravidanza, gravando così sul medico la prova di dimostrare che vi sono stati alcuni fattori esterni che avrebbero lo stesso portato la donna a continuare la gravidanza. Da lì a poco mutò la situazione, in effetti la Suprema Corte42 prese una strada diversa, ritenendo che la richiesta di accertamenti diagnostici da parte della madre rappresenta solo un indizio impedendo così al giudice di accertare quella che è la reale volontà della donna. Proseguendo su questa linea la Cassazione43 esige un ulteriore dimostrazione che a fronte di quel pregiudizio la donna avrebbe scelto lo stesso di abortire. La donna è tenuta a provare la grave malformazione del nascituro, l’omessa informazione da parte del personale medico, il pericolo per la sua salute psicofisica. Proprio su quest’ultimo punto vi sono maggiori difficoltà probatorie, il Supremo Collegio suggerisce la dimostrazione di altre circostanze dalle quali si può risalire per via induttiva all’esistenza del fatto psichico. Per esempio provare che vi è stato un consulto medico per accertarsi sulle condizioni di salute del feto, le precarie condizioni psico-fisiche della madre. I ricorrenti possono liberamente decidere se agire nei confronti del medico in via contrattuale oppure extracontrattuale. Secondo le regole della responsabilità contrattuale, l’onere della prova spetterà al medico, sebbene sia comunque agevolmente dimostrabile la colpa dello stesso,

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Art. 4 della legge 22 maggio 1978 n. 194: Per l’interruzione volontaria della gravi danza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

41

Cass.10 maggio 2002, ( n.6735,cit); Cass. 10 novembre 2010, n. 22837, in Danno e

resp., 2011, 382, con nota di Simone; Cass. 13 luglio 2011, n. 15386, in Giust.civ.,

2012, 406, con nota di Valore; in Nuova giur. civ. comm., 2011, 1252, con nota di Carbone.

42 Cass. 2 ottobre 2012,( n. 16754, cit.). 43

Cass., 22 marzo 2013, n. 7269, in Nuova giur. civ. comm., 2013,653 e 1082, con nota di Pucella ; in Fam. e dir.,2013,1095, con nota di Amato.

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dato che l’omessa diagnosi è riscontrabile già nel referto medico, mentre la malformazione risulta dall’ecografia.

2.1.2 La legittimazione ad agire del figlio

Il concepito è un “centro di interessi giuridicamente tutelato” come si evince anche dall’articolo 32 Cost., che non tutela soltanto la salute del nato ma si estende anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli nel periodo che precede la nascita, così da garantire l’integrità del nascituro. L’obbiettivo del legislatore è quello di tutelare l’individuo, affinché nasca in buona salute. Così, una volta accertato il nesso causale tra condotta, anche se anteriore alla nascita, ed evento, il danno deve essere risarcito al nascituro. Queste riflessioni possono che possono sembrare di facile acquisizione, hanno fatto fatica ad affermarsi nel nostro ordinamento. Per molto tempo la legittimazione del figlio minore ad agire per il risarcimento del danno da vita indesiderata è stata contestata. L’obiezione poggiava sull’inesistenza di un soggetto passivo, poiché l’evento lesivo si verifica anteriormente alla nascita, quando il concepito non è ancora venuto ad esistenza. La strada verso l’ammissione del minore ad agire si è dimostrata molto faticosa, visto che la legittimazione attiva si scontrava con l’inesistenza di un soggetto danneggiato. In questo percorso piuttosto impervio non si sono però risparmiate pronunce favorevoli come una decisione della Corte dei Conti44, la quale riconosce la pensione di guerra ad un soggetto la cui infermità si venne manifestando solo dopo la nascita, pur essendo riferita direttamente al fatto bellico avvenuto durante la gestazione, ammettendo così che il danno non debba essere contestuale al fatto lesivo, ma si può verificare anche dopo. L’evoluzione giurisprudenziale ha registrato il progressivo riconoscimento al minore della legittimazione ad agire per il risarcimento del danno, a tal proposito molte pronunce hanno seguito questa linea45. Un importante contributo arriva dal Tribunale di Verona46, ove si ritiene che il

44

C. Conti,S.U.,19 febbraio 1957,n. 51, in Rep.Foro it., 1957, voce Pensione ,64; in

Giur.it., 1957,III,203 ss.

45

T. Milano, 13 maggio 1982, in Resp. Civ. e prev., 1983,156;

T. Vicenza, 27 gennaio 1990 , in Nuova giur. comm., 1990,I,734, con nota di Gregorio; T. Milano 10 ottobre 1989, in Resp. Civ. e prev., 1990, 628, con nota di Travaglia; T. Monza, 8 maggio 1998, in Giur.it., 1999,42.

46

T. Verona, 15 ottobre 1990, in Foro it.,1991, I,126, con nota di Simone

Si tratta del caso di una bambina con una cerebropatia non progressiva, marcata microcefalia, deficit visivo a causa del comportamento colposo del medico cui spettava di sorvegliare e favorire il decorso del parto. Il Tribunale deduce l’esistenza

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concepito in assenza delle condizioni che consentono l’interruzione di gravidanza matura una “legittima aspettativa alla nascita come individuo sano”. Il nascituro sebbene non goda di un diritto assoluto di nascere, matura un’aspettativa di diritto alla nascita, a nascere come individuo sano. Questa tesi seppur molto apprezzata è soggetta a critiche, una parte della dottrina ha ritenuto che prima della nascita non si può avere un’attribuzione di diritti, quindi neanche di aspettative47

, perché la capacità giuridica si acquista solo con la nascita. Inoltre il Tribunale veronese ritiene, per quanto riguarda la responsabilità dell’ente ospedaliero,che debba essere qualificata di tipo contrattuale, in quanto la gestante e l’ente sono legati da un “contratto atipico di spedalità”, non impedendo al nato di agire per il risarcimento del danno. Mentre per la responsabilità del medico, il Tribunale ha accolto l’indirizzo giurisprudenziale della responsabilità extracontrattuale, poiché essendo il medico un rappresentante organico dell’ente non c’è alcun rapporto giuridico tra il medico e la paziente. La diversa natura della responsabilità conduce a due strade differenti. La tutela extracontrattuale del nascituro pone al centro l’articolo 2043 (codice civile), infatti a seguito di una nota sentenza alla fine degli anni 9048, nel nostro ordinamento è ammesso il risarcimento di qualsiasi lesione di un interesse giuridicamente tutelato, purché vi sia un nesso causale tra la condotta dell’autore e il danno subito dal soggetto che con la nascita abbia acquistato personalità giuridica. Proprio su questo nesso si ammette il risarcimento, non è necessaria la contestualità tra fatto illecito e lesione di un interesse giuridico, è la stessa realtà che dimostra come vi può esserci un apprezzabile lasso di tempo tra la condotta e l’evento. Un esempio qui utile è quello che succede nel caso di un crollo di edificio dopo numerosi anni dalla conclusione dell’opera. Questo si spiega perché il fatto e il danno rappresentano due momenti autonomi, permettendo così che l’accadimento avvenga in fasi temporali differenti. Spostandoci ora nella responsabilità contrattuale, come già affrontato nella sentenza del Tribunale veronese, la giurisprudenza si richiama alla categoria del contratto a favore di terzi, concluso tra la gestante e l’ospedale o il medico. Può essere utilizzato anche a favore di un soggetto non ancora esistente, di un diritto del concepito a nascere sano sulla scorta di un complesso di norme, tra cui l’art. 1, l. 22 maggio 1978, n. 194, l’art 2, 2 co. ,lett c; l 23 dicembre 1978, n.833, art. 2 Cost.

47

NICOLO’, Aspettativa (dir. civ) , in Enc. Giur.,1 Roma,1988; Scognamiglio,

Aspettativa di diritto, in Enc. Dir., III, Milano, 1958,226.

48

Cass., S.U., 22 luglio 1999, n. 500, in Danno e resp., 1999, 965, con nota di Carbone, Monateri, Palmieri.

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visto che l’adesione del terzo è un elemento estraneo all’accordo (art. 1411 codice civile), la stipulazione si perfeziona solo con il consenso delle parti, esistenti. Parte della dottrina e giurisprudenza hanno sollevato molti dubbi sulla soluzione adottata, sul presupposto che l’incapacità giuridica del nascituro determina l’impossibilità per lo stesso di assumere la veste di creditore con riferimento alle specifiche prestazioni oggetto del contratto49. Questo ostacolo viene superato con la figura del contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi, un istituto di matrice dottrinale tedesca, dal contratto deriva oltre all’obbligo di eseguire la prestazione principale un obbligo ulteriore, ossia di non arrecare danno a terzi50. Il fine degli “obblighi di protezione”, che assumono sempre maggior rilievo, è quello di tutelare interessi autonomi rispetto a quelli perseguiti con la prestazione principale e che in caso di inadempimento giustificano l’utilizzo della responsabilità contrattuale. Nel caso specifico, il medico si obbliga alla prestazione principale, ovvero fornire alla madre tutte le cure previste, ma anche in una prestazione accessoria, che consiste nel provvedere con la dovuta attenzione e diligenza alla nascita e salute del feto evitandogli ogni danno. Così l’inadempimento dell’obbligazione accessoria può essere fatto valere sia dal soggetto contraente, in questo caso la donna, sia dal terzo. Con la naturale conseguenza che sarà possibile per il nascituro avvalersi del diritto al risarcimento del danno provocato dalla condotta scorretta anteriore alla nascita. Non manca l’intervento della Cassazione nel 200451

, rilevando come l’ordinamento configura un “diritto a nascere” e a “nascere sani” inteso nella sua accezione positiva, invece non sarebbe configurabile un “diritto a non nascere o a “non nascere se non sano”, anche con riferimento alla legge n. 194/1978, secondo cui la decisione di interrompere la gravidanza spetta alla madre al fine di evitare un grave pericolo per la sua salute. Quindi eventuali anomalie o malformazioni rilevano solo qualora possono cagionare un danno alla madre. Contrario a questo orientamento è una pronuncia più recente sempre

49

FACCI, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano,2004,192, il quale afferma che: “ l’obbligazione della struttura sanitaria è articolata nel tempo e consiste in una pluralità di prestazioni, che devono essere svolte sia nel corso della gestazione sia dopo la nascita; di conseguenza l’obbligazione è unitaria, in modo tale che il neonato deve essere considerato legittimato ad agire anche per gli inadempimenti pregressi”.

50 La figura del contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi è stata utilizzata

da Cass., 10 maggio 2002, n. 6735, cit., ove si è ritenuto che tra i soggetti protetti dal contratto vi fosse anche il marito della gestante.

51

Cass.,21 giugno 2004, n. 14488, in Fam. e dir., 2004,6,559, con nota di Facci;in

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della Cassazione52, che nega la configurabilità di un diritto a nascere, il concepito anche se tutelato dall’ordinamento, fino alla nascita viene considerato un oggetto del diritto e non ancora soggetto. Di conseguenza la gestante può sacrificare l’interesse del feto per la propria tutela, questo non impedisce che una volta nato e acquisita la capacità giuridica sia legittimato a pretendere dal medico il risarcimento per il danno subito.

2.2 Wrongful life e Wrongful birth

Ancora il concepito al centro del dibattito, è configurabile in capo a quest’ultimo un diritto a non nascere se non sano? Può accadere che la madre non venga informata correttamente dello stato di salute del feto, e in particolare delle gravi malformazioni di cui è affetto. Succede perché il ginecologo non effettua la sua prestazione con la dovuta diligenza, per esempio nel caso di un errato esame ecografico. Purtroppo solo dopo la nascita la madre scopre le reali condizioni del figlio, affetto da malformazioni, costretto a vivere una vita dolorosa, definita dalla dottrina anglosassone come “ wrongful life”. Termine utilizzato anche per indicare la condizione un soggetto che affetto da disabilità agisce nei confronti del medico, il quale non avendo diagnosticato per tempo la patologia, ha impedito alla madre di interrompere la gravidanza. Di fronte ad una nascita indesiderata, anche la stessa madre può agire, in rappresentanza del figlio, contro il ginecologo chiedendo che sia condannato al risarcimento del danno, poiché se avesse saputo dello stato del figlio avrebbe interrotto la gravidanza evitando al figlio una vita sofferente. Un’ ulteriore prospettazione è quella di riconoscere al bimbo un diritto a non nascere se non sano. La suddetta questione è stata affrontata dapprima dagli ordinamenti europei e di recente anche dalle Sezioni Unite della nostra Corte di Cassazione che sono state chiamate a pronunciarsi. I primi casi si sono registrati negli Stati Uniti d’America e in Inghilterra53, questo è avvenuto sia perché sono società pluralistiche e anche per la loro forma giuridica, che a differenza di quella di civil law, si modella su nuove figure. Il problema della sussistenza del diritto a non nascere se non sano, rappresenta la questione più problematica del diritto europeo continentale. Per le corti americane e

52 Cass., 2 ottobre 2012,( n. 16754,cit. ). 53

ZECCHIN, Spunti di natura comparatistica in tema di danno da wrongful life, 2015 ( rivista JUS), Milano.

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inglesi, una volta accertata la responsabilità, resta il problema del danno risarcibile e della sua quantificazione . Proprio le difficoltà relative al momento risarcitorio stanno alla base delle decisioni che negli USA hanno rigettato la domanda di risarcimento del danno da “ wrongful life”. Con riferimento all’an, si è ritenuto che una vita menomata non può essere considerata peggio di una non-vita. Per il quantum, premesso che il danno rappresenta la differenza tra “ciò che sarebbe dovuto essere “e “ciò che invece è stato, le Corti Supreme degli Stati della California54, di Washington e del New Jersey55 hanno rigettato l’istanza di risarcimento del danno non patrimoniale, riconoscendo al contrario i danni economici rappresentati dalle spese mediche e di cura per la disabilità. In Inghilterra, una sentenza della Court of Appeal del 198256, si contraddistingue per la stessa incertezza nell’affrontare la medesima questione. Infatti rigetta la domanda risarcitoria avanzata dallo zio e dal rappresentante legale che agivano per conto di una bambina nata parzialmente sorda e cieca. La decisione si basa sulla seguente considerazione: quando il danno consiste in una vita menomata che invece poteva essere in perfetta salute, vi è la possibilità di paragone, mentre nei casi di “wrongful life” il secondo termine del rapporto manca, poiché nessuno sa cosa sia la non-vita. Ritornando nel nostro ordinamento, alla domanda se sia ipotizzabile un diritto a non nascere se non sani non tarda ad arrivare la risposta della Cassazione57, contraria a tutto ciò, non sarebbe configurabile un diritto a non nascere in capo al concepito. Come si desume anche dagli articolo 4 e 6 della legge n. 194 del 1978, rileva che:

- L’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della madre

- Un diritto che compete esclusivamente alla madre

54 Turpin v. Sortini, Supreme Court of California, May 3 1982, 643 P2d 960, la Corte

Suprema della California è stata la prima Corte Suprema dello Stato ad approvare il diritto del bambino a citare in giudizio per i danni subiti ( wrongful life), ma nella stessa decisione si limita a riconoscere al bambino i soli danni economici, più facili da dimostrare, al contrario dei danni morali.

55

Harbeson v. Parke-Davis, Inc. [1983), Washington Supreme Court, 656 P.2d 483, e Procanik v. Cillo [1984], New Jersey Supreme Court, 656 P.2d 755.

56 London Court of Appeal 19 febbraio 1982, Sachen McKay v. Essex Health

Authority.

57 Cass., 29 luglio 2004, n. 14488, in Giur.it., 2005, 1147, con nota di Giovanardi, di

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- Le eventuali malformazioni rilevano nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della madre

- Il diritto di “ non nascere “ sarebbe un diritto adespota, ossia non avrebbe alcun titolare fino al momento della nascita58

Nel 2009 la Cassazione59 torna a ribadire quanto appena detto, aggiungendo che la mancanza di consenso informato, riguardante l’interruzione di gravidanza, non può dar luogo a risarcimento anche nei confronti del nascituro, poi nato con malformazioni. Anche qui la motivazione è la stessa, non configurabilità di un diritto “a non nascere se non sano” e il rinvio agli articoli già sopra richiamati della legge del 1978. Solo poi con una più recente sentenza la Cassazione60 ha cercato di rimediare, si tratta della richiesta di risarcimento in capo al concepito, affetto da disabilità. La madre aveva espresso la volontà di non portare a termine la gravidanza qualora l’esito dell’esame diagnostico fosse risultato positivo, ma il medico omette questa malformazione. Il collegio ritiene che la domanda risarcitoria avanzata personalmente dal bambino malformato trovi fondamento negli artt. 2, 3,29,30 e 32 della Costituzione. Il vulnus lamentato dal minore non è la malformazione in sé, intensa nel suo senso più naturale, ma la condizione evolutiva della vita handicappata, le conseguenza sulla vita del nascituro. Il diritto al risarcimento da parte del minore non è riconducibile al diritto a “non nascere” ma si ricollega alla vicenda umana che riguarda quel soggetto, che fa istanza al giudice solo per poter migliorare la sua condizione di vita, vivere in modo meno disagiato.

58 Cass., 29 luglio 2004,( n. 14488, cit.). 59

Cass. 11 maggio 2009, n. 10741, in La rivista Neldiritto, 2009,VI, 821 ss.

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