5.2 Il danno non patrimoniale
5.3 Danno morale e danno esistenziale
Danno morale
Il danno in esame attiene alla dimensione soggettiva ed interiore, inteso come turbamento dello stato d’animo. Anche qui punto di riferimento sono le sentenze delle Sezioni Unite del 2008250, il danno morale non individua nell’ambito del danno non patrimoniale, un’autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i possibili pregiudizi, quello “costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”. Dunque la sofferenza ed il dolore sono sempre risarcibili: quando l’illecito costituisce un reato, negli altri casi espressamente previsti dalla legge, e quando l’illecito ha leso diritti inviolabili della persona. Nell’ipotesi di fatto illecito che configura un reato, si esclude la sussistenza del danno morale soggettivo passeggero, sottolineando come la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transitoria, infatti l’effetto penoso può protrarsi anche per lungo tempo251. Anche se tendenzialmente il danno morale non assume il carattere della stabilità e della permanenza, esso è infatti labile e mutevole, trasformandosi o in un aggravamento o in un’attenuazione, l’intensità e la durata nel tempo della sofferenza assumono rilevanza solo ai fini della quantificazione del risarcimento. Con la pronuncia la Cassazione nel 2013, ribadisce concetti già noti, definendo anche il danno morale come “ la sofferenza interiore soggettiva sul piano strettamente emotivo, nell’immediatezza dell’illecito, ma anche duratura nel tempo nelle sue ricadute, pur se non per tutta la vita”252
. In passato si riteneva che il danno biologico e morale desse luogo ad una liquidazione distinta e separata. In tal senso si era espressa anche la Cassazione nel 2007, il risarcimento del danno morale doveva essere liquidato in base a criteri autonomi e personalizzati, precisando pure che era necessario far riferimento al caso concreto, valorizzando le condizioni soggettive della vittima e
250 Cass., 11 novembre 2008,( n. 26972, 73, 74, 75, cit.). 251
Cass., 11 novembre 2008,( n. 26972, cit.).
252
97 la gravità dell’evento dannoso253
. Arrivando poi alle sentenze gemelle del 2008, le quali accantonavano definitivamente la figura del danno morale, ora assorbita dalla categoria onnicomprensiva del danno biologico. Il danno morale veniva inteso come voce descrittiva del pregiudizio, una degenerazione patologica della sofferenza che tutto assorbe, determinando la congiunta attribuzione dei due danni una duplicazione di risarcimento. L’unica possibile forma di liquidazione del danno morale, privo delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa, un criterio insito nella natura di tale danno, consistente nella dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico.254Il parametro di valutazione equitativa deve considerare la soglia della gravità e della permanenza degli effetti del danno ingiusto, nonché le condizioni sociali e familiari del danneggiato. La sofferenza morale merita un ristoro autonomo nei casi in cui non si configura anche un danno all’integrità psico- fisica e quindi il pregiudizio all’integrità morale è sganciato da quest’ultimo. Si pone una questione problematica quando il danno morale è etiologicamente connesso a quello biologico. Per le Sezioni Unite, le sofferenze morali, devono essere risarcite ma sul piano della personalizzazione del danno biologico, laddove non possono costituire una voce autonoma di danno. Pertanto il giudice deve provvedere ad una adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, così da pervenire al ristoro del danno nella sua interezza255. La Suprema Corte ha avvallato tale impostazione, stabilendo che qualora il fatto illecito integrasse gli estremi di un reato, spetterebbe alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua accezione più ampia, compreso il danno morale, inteso
253
Cass., 27 giugno 2007, n. 14846, in Danno e Resp., 2007, 10, 1061, “il danno morale è ontologicamente autonomo rispetto a quello biologico, in relazione alla diversità del bene protetto, che dipende dalla natura del reato ( ove sussista, come nel caso di lesioni colpose) o dalla natura dell’interesse personale leso; sicché, nella valutazione del danno morale verificatosi in occasione della perdita della salute occorre tener conto del superiore principio di integralità del risarcimento, senza ricorrere a meccanismi semplificativi in automatico”.
254
Cass., 20 ottobre 2005, n. 20320, in Mass. Giur. it., 2005.
255
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come sofferenza soggettiva causata dal reato256. Grava sul danneggiato l’onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni particolari situazioni di sofferenza, questo anche per chiedere un aumento del risarcimento del danno alla persona. Particolare rilevanza assume la prova presuntiva, ricavabile dai fatti noti, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti257. L’intensa sofferenza morale può desumersi dall’abbandono delle attività svolte in precedenza, oltre che dagli eventuali interventi sanitari subiti. Detto ciò, la forza che viene riconosciuta alle presunzioni, è tale addirittura da onerare il danneggiante della prova contraria. Ai fini del convincimento del giudice potrà rivelarsi utile l’audizione del danneggiato, nel caso di interrogatorio libero, la visione dei documenti e il ricorso alle massime di comune esperienza, nonché la possibilità di utilizzare la propria scienza professionale. Il giudice ha il potere di nominare un consulente tecnico d’ufficio, qualora fosse necessario, e quest’ultimo dovrà accertare, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo, se i pregiudizi siano conseguenza delle menomazioni e se abbiano cagionato particolari sofferenze soggettive.
Danno esistenziale
Il danno esistenziale si deve intendere come una lesione alla normalità della vita, o alla serenità familiare, che non sfocia in una vera malattia. Ogni pregiudizio oggettivamente accertabile che l’illecito provoca, altera l’equilibrio e le abitudini di vita del soggetto, sconvolgendo la sua quotidianità,e inducendolo a scelte di vita diverse. Si fonda sulla natura non meramente emotiva , che è propria del danno morale, ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso. Mentre il pregiudizio morale è apprezzabile come sofferenza o lesione della dignità interna del danneggiato, il pregiudizio qui in esame ha un rilievo puramente esterno258. Dunque il danno esistenziale si presenta come un’alterazione, in senso peggiorativo, del modo di essere della persona nei suoi aspetti individuali e
256 Cass., 9 ottobre 2012, n. 17161, in Riv. It. Medicina legale e dir.sanitario, 2013, 2,
1114, con nota di Galli.
257 Cass., 27 luglio 2006, n. 17144, in Giust. Civ. Mass., 2006, 7-8. 258
Facci, Danno esistenziale, in La responsabilità civile, 5/ 2008; Bona, La saga del
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sociali: sul piano individuale , si presenta come una modificazione della personalità e dell’assetto psicologico, sul piano sociale, si manifesta come un’alterazione del proprio modo di essere nelle relazioni familiari e affettive. Le prime sentenze che hanno fatto esplicito riferimento alla nuova categoria autonoma del danno esistenziale di danno risalgono all’inizio degli anni Novanta259
. Il danno esistenziale, inteso come rinuncia alle proprie abitudini di vita, anche se non considerato come autonoma categoria, continuerà a rappresentare una voce dell’unitario danno non patrimoniale, con la conseguenza che bisognerà tenerne conto sul piano risarcitorio260. Un’altra parte della giurisprudenza non è concorde con tale impostazione, sostenendo che il danno in oggetto non avrebbe ragione di esserci. I pregiudizi che scaturiscono dalla lesione di interessi della persona, sarebbero già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 del codice civile261
, quindi la liquidazione di una ulteriore voce di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria262. Ancora una volta le pronunce delle Sezioni Unite del 2008 si inseriscono in questo contesto, ritenendo che i pregiudizi esistenziali, o meglio i pregiudizi non patrimoniali consistenti nel non poter fare ciò che prima era oggetto di un’attività, vanno riconosciuti, se allegati e provati, sia nell’ipotesi di fatto illecito che configura un reato, sia in assenza di reato, nel caso in cui conseguano alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Pertanto se non si riscontrasse una lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona, non potrebbe essere assicurata una tutela risarcitoria. Il pregiudizio in esame deve essere provato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo rilievo anche qui la prova per presunzioni. Il danno esistenziale può essere desunto, ai sensi dell’art. 115, co. 2 (cod. proc. civ.)263
, anche da massime di comune esperienza, come la giovane età del danneggiato al momento dell’infortunio, la gravità delle conseguenze
259
Trib. Torino, 8 settembre 1995, in Resp. civ. prev. , 1996, 282, con nota di Ziviz.
260 Cass., 14 ottobre 2008, n. 25157, in Mass. Giur. It., 2008, “ poiché l’onore e la
reputazione costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti, la loro lesione legittima sempre la persona offesa a domandare il ristoro del danno non patrimoniale, quand’anche il fatto illecito non integri gli estremi di alcun reato”.
261 Art. 2059 c.c, “ il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi
determinati dalla legge”.
262
Cass., 28 gennaio 2014, n. 1762, in Diritto e giustizia, 2014.
263 Art. 115, co. 2, c.p.c, “ il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a
fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza” .
100 dell’infortunio264
. Può essere verificato mediante la prova testimoniale, documentale o presuntiva, al contrario del danno biologico, il quale non può prescindere dall’accertamento medico- legale. Spetta poi al danneggiato dimostrare che l’evento lesivo abbia prodotto uno sconvolgimento dell’esistenza tale da meritare la risarcibilità autonoma265. L’allegazione necessaria, deve riguardare fatti precisi e specifici del caso concreto, non potendo risolversi in enunciazioni di carattere generale ed eventuale. Le conseguenze esistenziali di un fatto lesivo possono distinguersi in due categorie: quelle legate normalmente all’evento dannoso e quelle particolari, connesse alla fattispecie concreta, alla personalità e alle condizioni di vita della vittima266. Le prime non necessitano di una prova specifica e possono essere presunte secondo l’id quod plerumque accidit, come nel caso dell’uccisione del familiare, l’esistenza dei congiunti viene sconvolta per sempre. Non si tratta di una presunzione assoluta, poiché il responsabile potrà dimostrare in giudizio le particolari relazioni parentali della vittima che possono escludere o ridurre le normali conseguenze del fatto lesivo267. Nel caso del danno esistenziale subito dai familiari legati alla vittima da un rapporto meno stretto, il danneggiato al contrario non potrà avvalersi della presunzione e dovrà fornire una specifica prova del danno lamentato. Solo il consulente tecnico d’ufficio potrà fornire una valutazione meramente descrittiva di eventuali impedimenti a compiere attività extralavorative. Per quel che concerne i criteri di liquidazione, una parte della giurisprudenza sostiene268 che il danno esistenziale necessita di precise indicazioni che solo il danneggiato può fornire. Occorre perciò una prova che dimostri nel processo i concreti cambiamenti che l’illecito ha prodotto, in senso peggiorativo nella vita del danneggiato. In mancanza di questo, al giudice non è possibile neppure la liquidazione in forma equitativa, perché necessita di parametri a cui ancorarsi. La mancanza del danno biologico non esclude la configurabilità del danno morale soggettivo e di quello esistenziale, quale conseguenza autonoma della lesione, ove il fatto
264 Cass., 19 gennaio 2015, n. 777, in Giust. Civ. Mass., 2015. 265
Cass., 13 maggio, 2011, n. 10527, in Corriere Giur., 2011, 8, 1092, nota di Ponzanelli.
266 Bilotta, Morte del familiare convivente e danno esistenziale a carattere
temporaneo del congiunto, in Dir. Fam. pers., 2002, 80.
267 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546, in Danno e Resp., 2006, 8-9, 843, nota di
Ponzanelli.
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lesivo abbia alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, il danno non patrimoniale per lesione di interessi costituzionalmente protetti deve essere risarcito269.
Conclusione
Siamo giunti alla conclusione di questa mia breve trattazione sulla fattispecie del danno da nascita indesiderata. Dopo aver affrontato a grandi linee i diversi aspetti di cui si compone, credo sia inevitabile sottolineare come questa tipologia di danno, prima di arrecare un pregiudizio ai soggetti coinvolti, mette in luce quello che è l’elemento cardine, ovvero il diritto alla vita. Quest’ultimo è protagonista nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proprio all’art. 2 recita: “ il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita”. Dello stesso parere la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 35 del 1997, afferma che il diritto alla vita, quale presupposto di tutti gli altri diritti dell’uomo, anche della stessa libertà, si colloca fra i diritti inviolabili e “cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione privilegiata, in quanto appartenente all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”. Il concepito, come tutti i soggetti gode della tutela costituzionale e il suo diritto alla vita ed al suo nascere si iscrive tra diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione. La Corte rileva come la limitazione programmata delle nascite sia proprio l’antitesi di tale diritto, che può essere sacrificato solo nel confronto con quello della madre alla salute ed alla vita.
269
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2013, 351-352-353, 145; Cass., 17 aprile 2013, n. 9231, in CED Cassazione, 2013; Cass., 24 ottobre 2013, n. 24109, in Ragiusan, 2014, 357-358; Cass., 14 gennaio 2014, n. 531, in Giust. Civ. Mass., 2014; Cass., 28 gennaio 2014, n. 1762, in Diritto e giustizia, 2014; Cass., 30 maggio 2014, n. 12264, in Danno e resp., 2014, 1143 ss., con commento di TRECCANI; Corte d’appello Firenze, 6 marzo 1985, in Giust. Pen., 1985, II, 436; Tar Lazio Roma, 10 maggio 2007, n. 4521, in Foro amm. Tar, 2007, 5, 1671; TAR Lazio, 21 gennaio 2008, in Diritto e Famiglia, 2008, 499, con commento di Figone; Trib. Piacenza ,31 luglio 1950, in Foro it., 1951,1, 987; Trib.Genova, 25 maggio 1974, Giur.it, 1975, I, 2, c . 54, con nota di Bessone; Trib. Pisa, 10 marzo 1979, Giur. it, 1980, I, 2, c. 20; Tribunale di Perugia, 14 aprile 1982, in Giust. Pen., 1982, II, 588 ss; Trib. Lucca, 7 maggio 1982, in Riv. It. Med. Leg., 1983, 233 ss; T. Milano, 13 maggio 1982, in Resp. civ. e prev., 1983,156; in Riv.it.medicina legale, 1982,1011 in Corriere giur., 2004, 1018; Trib. Padova, 9 agosto 1985, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1986; T. Milano 10 ottobre 1989, in Resp. Civ. e prev., 1990, 628, con nota di Travaglia; T. Vicenza, 27 gennaio 1990 , in Nuova giur. comm., 1990,I,734, con nota di Gregorio; Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Foro it., 1991, 114; Trib. Cagliari, 23 febbraio