• Non ci sono risultati.

Come i mezzi divengano fini: meccanismi psichic

Cristiano Castelfranchi

ISTC-CNR & Uninettuno Università telematica email: [email protected]

Abstract - Esamino i principali "meccanismi" cognitivi che generano la autonomizzazione di un mezzo dal suo fine

originario, o addirittura il capovolgimento di mezzi e fini.

Discuto le conseguenze sociali, politiche e psicologiche di detto fenomeno, centrale nella specie umana

.

Index Terms— teoria degli scopi, alienazione, mezzi-fini

I. C

OME I MEZZI DIVENGANO FINI

Per dar conto di questo cruciale processo bisogna identificare almeno due diversi meccanismi cognitivi/scopistici (i quali possono certamente convergere).

A. Il processo di “terminalizzazione”, “autonomizzazione” dei mezzi

Scopi originariamente “strumentali” che divengono “terminali”, “fini”, motivanti in sé [6]. Esso si manifesta quando vi sono mezzi multi-uso, cioè ricercati sempre più per sovra-scopi diversi, che si scoprono utili a molti e svariati fini.

Più questi usi (sovra-scopi) diventano non solo molteplici ma un set aperto, generativo, e quindi sono potenziali, più è vantaggioso ed euristico garantirsi quella risorsa o quella condizione/stato di per sé: non già in vista ora e qui di uno specifico sovra-vantaggio.

E’ importante non solo la capacità cognitiva di inferire o scoprire ed apprendere effetti e quindi “usi” nuovi dei propri “strumenti” (cose, azioni, scripts, ... ); ma la capacità umana di capire che è un set aperto, generativo: che vi sono n possibili/potenziali usi dello strumento (capacità o risorsa), e capire dalla frequenza dei nuovi usi la capacità potenziale della risorsa e quindi cercarla non strumentalmente, ma costruire una nuova motivazione. Terminalizzare non è una vera “decisione”, ma piuttosto l’esito di un processo. E la terminalizzazione comporta comunque di per sé che il bene sia per

n possibili eventuali impieghi.

Altro percorso parallelo è nel processo di apprendimento: se il raggiungimento della tappa (del mezzo) diventa rewarding, un piacere o una soddisfazione, o eredita parte del valore (soddisfazione) della meta in quanto suo avvicinamento o sua parte14. Così facendo esso può essere perseguito come soddisfazione in sé. In un certo senso il premio interiore (di piacere anticipato o di achievement) diventa un “motivazione intrinseca”, un premio interno sufficiente per motivarmi a perseguirlo, non necessariamente in vista del “fine” (originario).

E’ un caso particolare di “mezzi” che – raggiunti – acquisiscono “funzioni” proprie, perché qualche “effetto” diventa rinforzante o selettivo; ragione per perseguirlo.

Un buon esempio può essere quello di un apprendimento evitante/aversive: vergogna ed ansia sociale.

Non è vero che in generale la sofferenza di chi si vergogna è la vergogna, e che lo scopo (frustrato) è di non provare vergogna. La sofferenza della vergogna è per la figuraccia, per cosa pensano/vedono/sanno di me. Questo è lo scopo frustrato e lo scopo vigilato dalla vergogna, per la cui salvaguardia esiste questa emozione; lo scopo di cui essa ci segnala la compromissione e ci allerta. Tuttavia è vero che alcune persone o in certe situazioni (o in certe patologie - tipo ansia sociale) il problema è proprio il vergognarsi15: vi è un disagio in sé del provare vergogna, e non ci si vuole ritrovare in quel sentire. Così lo scopo, l'obiettivo diventa evitare, prevenire la emozione negativa, il sentire. Quello che dovrebbe essere un mero segnale, un avvertimento per un certo scopo S', dato che un' altra funzione di questo segnale è essere spiacevole, dare una implicita "valutazione negativa" del fatto (e per questo costituisce anche un reward, un provare buon o cattivo, un dolore in questo caso), ne prende il posto, diventa/costituisce lo scopo. Il mezzo-funzionale (non mentale) costruisce il nuovo fine S'': evitare di provare vergogna.

In effetti vi è una funzione di apprendimento e pre-ventiva di queste emozioni e delle emozioni. Per questo anche vengono associate e memorizzate: per essere evocate anticipatoriamente,

(i) per entrare nelle decisioni dando valore agli scenari/scopi (Damasio). Ma più di questo:

14 Vi sono due tipi di scopi/mete: (a) che si raggiungono anche parzialmente, per quote (es. disegnare un paesaggio); (b) che si raggiungono sì/no,

tutto/niente (magari dopo molte azioni) (es. sposarsi, laurearsi).

15 Anche perchè il gruppo è contraddittorio nelle sue richieste: da un lato ti dice "Almeno vergognati!", dall'altro può prendere in giro la vergogna

59

(ii) possono diventare essi stessi scopi: provare quella emozione o evitare quella emozione come scopo.

Naturalmente questo processo di terminalizzazione dei mezzi non avviene solo a livello mentale individuale o culturale, ma è avvenuto anche a livello evoluzionistico. Un caso classico nell'evoluzione biologica è la "selezione sessuale, e l'impazzimento dei "segni".

Casi classici e fondamentali per gli umani di terminalizzazione in processi o evolutivi o storico-culturali o di apprendimento individuale sono:

- La conoscenza come motivazione intrinseca; acquisire conoscenze come bene ed interesse in sé. E’ chiaro che la conoscenza è strumentale in origine, che serve a raggiungere scopi, che deve essere “rilevante” ed utile; tuttavia gli umani la ricercano e la accumulano anche senza avere in vista un uso ed utilità immediate (“curiosità”, “passioni”, “istruzione e cultura”, ..).

- Il potere 16 in termini non solo di abilità, competenze, e di risorse esterne, ma anche di “posizione sociale” (relazioni, status, comando, controllo, ...) che moltiplica il set di scopi perseguibili utilizzando le capacità o risorse altrui. [3]

Cercare relazioni, fiducia, reputazione, stima – con i costi (azioni ed attenzioni) che ciò comporta – significa investire per acquisire un fondamentale “capitale” per futuri scambi, ma che viene ricercato e ci motiva come un bene ed un fine in sé.

- Il denaro: emblema massimo di un mezzo che diventa un fine, il fine: della attività individuale, come condizione per poter soddisfare i più vari bisogni e come valutazione, pregio, e posizione sociale; e della attività collettiva (l’attività finanziaria, il vero fine che domina il tutto).

B. Il “capovolgimento” o “subordinazione funzionale”

Si tratta di un “capovolgimento” o inversione dove il fine originario diventa subordinato e funzionale al mezzo ed al suo mantenimento e riproduzione.

Il caso classico sono le organizzazioni ed istituzioni, create per una certa “missione”, fine sociale, che viene ben presto e sistematicamente tradito o pervertito o almeno limitato, per mantenere e riprodurre l’organizzazione stessa (e le persone che vi operano) indipendentemente dai risultati. I fini (non necessariamente intenzionali) individuali o di gruppo prevalgono sui fini dichiarati od ufficiali.

Quello che sarebbe stato solo un effetto/feedback secondario di conferma/mantenimento della organizzazione in conseguenza del “successo” (sui fini veri), diventa “funzione” principale e reale del tutto, indipendentemente ed a scapito del raggiungimento della “missione”.

Si pensi a quanto i servizi pubblici (amministrazione o assistenza sanitaria o sociale) servano primariamente a se stessi piuttosto che ai cittadini ed al “servizio” supposto.

Ma si pensi anche al cambiare natura delle relazioni di convivenza, in cui il convivere e le sue pratiche quotidiane divengono un bene in sé.

Sono “funzioni perverse” (“kako-funzioni”; [1] [2]) che si stabiliscono anche inconsciamente e comunque involontariamente. Cioè vi sono fondamentali passaggi cognitivo-motivazionali e non solo interazionali, collettivi e istituzionali.

Il meccanismo presuppone solitamente la non realizzazione del fenomeno o la sua rimozione o negazione, una tacita collusione/complicità tra gli interessati; ma anche una non comprensione o soggezione culturale dei destinatari.

Spesso vi sono dietro anche meccanismi psicologici comprensibili. Ad esempio, la inconscia ed automatica rinuncia o ridimensionamento – da parte degli operatori – alle originarie aspettative ed obiettivi su di sé e sul servizio, che evita loro frustrazioni sistematiche e conflitti costanti interni alla organizzazione. Ma l’effetto di questo umano meccanismo di difesa da fallimenti e conflitti non è di semplice rinuncia (e in realtà di avvilimento) individuale ma di pervertimento istituzionale. Auto-referenzialità della istituzione e della professione.

Non vi sono solo esempio sociali e politici (che pure sono basati su “stravolgimenti” interni, mentali, dei protagonisti), vi sono esempi di sovvertimento anche a livello intrapsichico-comportamentale individuale. Ad esempio, se è vero che ragionevolmente una delle funzioni (higher-goals) della autostima e di un suo buon livello è darsi obiettivi, ambire, impegnarsi, persistere; ed in questo essa è “strumentale” (una “risorsa” o mezzo); diventa anche vero viceversa che porsi obiettivi significativi e realizzarli è un mezzo per rilanciare e mantenere una buona stima di sé, che ha ormai natura di motivazione intrinseca, di fine psicologico autonomizzato dalle tante funzioni che essa ricopre. [7]

O – più banalmente – capita che il mezzo adottato, il percorso intermedio fatto in vista di un obiettivo, diventi la vera gratificazione, ed uno mantenga il progetto/obiettivo in realtà per mantenere il mezzo. Onde essere più presentabile o attraente intendo dimagrire e mi sottopongo ad una regolare dieta ed attività fisica; ma poi in realtà la soddisfazione che ho per come mi sento in forma, perché ci riesco, ecc. diventa il vero motivo e rinforzo e mantengo un fittizio obiettivo “piacere agli altri/essere conforme a modello” come motivazione ufficiale per mantenere quella attività. In realtà questo “fine” è divenuto un mezzo (pretesto) per perseguire il suo mezzo originario.

16

60

Vi è un aspetto “alienato” ed alienante in questo meccanismo, specie a livello sociale e politico. Marx ironizza sul fatto che in realtà le carceri ed i tribunali (ri)producano delinquenza e quindi se stessi e la propria necessità.17 O spiega come in realtà il capitalista non sia che un devoto “funzionario” del capitale: non è il capitale che è mezzo per i suoi fini bensì lui ed i suoi fini sono mezzo per la riproduzione allargata del capitale.

Così è ben noto che nell’attuale società dei consumi le merci non sono banalmente mezzo e strumento per il consumo, per soddisfare bisogni (produttivi o non), piuttosto è il consumo ad essere strumentale/funzionale alla riproduzione/moltiplicazione delle merci: la nostra funzione/imperativo sociale dominante è “consumare!”. Meno importante è perché e cosa: non si parte dal tuo bisogno o desiderio; lo si produce onde tu possa consumare.18

C) L’ “evoluzione” tecnologica

Analogo ragionamento vale per lo sviluppo ed oggi il dominio della Tecnologia.

La tesi di Kevin Kelley [5] che vi è/sarà “artificial evolution” della tecnologia (e della società) immettendo specifici principi biologici (ed evoluzione biologica) nella tecnologia stessa, lascia perplessi da vari punti di vista, pur nella sua ricchezza ed interesse.

A parte

(i) una visione "vitalista" della tecnologia come una "living force" anzi come un "organismo" che evolve ed ha i suoi propri "needs" e "wants", e non semplicemente "tendenze" e "funzioni" [1] [2], e

(ii) una visione un po’ acritica se non mistica della “vita”, della evoluzione, della natura etc. che non possono che essere per definizione “bene”, soluzione, equilibrio, raggiungimento,... Senza domandarsi rispetto a quali “scopi”, dal momento che intervengono ad un certo punto entità dotate di scopi “propri”, interni, rispetto a cui valutano raggiungimenti e fallimenti, e bontà e felicità; o meglio senza interrogarsi a fondo sulla dialettica tra i due tipi di "scopi", di cui quelli extra-psichici non possono essere equiparati a "wants" e "needs" ancorché "inconsci". Nozioni come “failures”,”error”, “smart”, “grow”, “ to win”, “to work” etc. sono nozioni infatti relative a “scopi”, “fini”. Rispetto a quali scopi e di chi viene valutato ciò e la superiorità della evoluzione sull’intenzione? E’ la solita visione provvidenziale della “mano invisibile” e dell’“ordine spontaneo”, senza realizzarne gli aspetti problematici o perversi, tra cui il fatto che i mezzi prendono il sopravvento e che i “fini emergenti” non sono quelli “intesi” [1] [2].

Il problema è ben più complesso: meccanismi emergenti ed evolutivi (basati su variazioni e selezione) sono inevitabili e “buoni”; nessuna intelligenza potrebbe dominare e pianificare certi livelli di complessità, ed anche il problema dell’agreement/negoziazione e della decisione a livello macro è tutt’altro che banale. Ma si tratta di conciliare gli scopi, il bene, individuale e di gruppo, e comprensione, decisione, pianificazione, aggiustamento, etc. con i meccanismi evolutivi; non di subordinare ogni volontà ad essi, avendo trovato la mano di un cieco dio.

Quello che qui ci preme sottolineare (e più pertinente in questa sede) è che indubbiamente (e non da ora! inserendo principi biologici) la tecnologia (ed in buona misura le città, i beni, ...) “evolve” in senso stretto (ma non "biologico")19 e non è mero frutto di engineering, di design, di progettazione del suo sviluppo. Vi è una evoluzione con i suoi trends ed equilibri emergenti ed autorganizzatisi, selezionati dai nostri micro-atti di invenzione-produzione e soprattutto di acquisto ed uso, di cui nessuno – neppure il marketing, neppure Apple - controlla veramente dove va.

Ed il fatto che il processo sia “evolutivo” e trovi i suoi equilibri “funzionali” (sopravvivenze e riproduzioni) non dice nulla sulla sua bontà. Questa è mera tautologia: si mantiene/riproduce, sopravvive = scopo = buono.20 Il fine (l’ottimalità tecnica) viene spesso tradito, vinto dalle forza del mercato e delle scelte pratiche, comode, non tecnicamente ottimali, degli utilizzatori/acquirenti individuali.

II. MECCANISMO PROPULSIVO ED ALIENAZIONE

E’ chiaro che i due meccanismi cognitivo-sociali individuati (vedi A e B) coesistono e possono cospirare. E’ questo ad esempio il caso dell’ “imperialismo del denaro” (Pio XI) sulla società, dove è avvenuto sia il perseguimento individuale e di gruppo del denaro come fine, sia il capovolgimento della funzione denaro a dominare produzione, consumo, politica, ... ed oggi a rendere la democrazia ed il suo “governo” una mera messa in scena [4].

Questo meccanismo di cambiamento dei mezzi in fini è, da un lato, uno dei meccanismi più propulsivi della specie e della società umana: è uno di quei moltiplicatori dei bisogni che caratterizzano la nostra culturalizzazione, artificializzazione, l’incessante sviluppo e rincorsa verso capacità, tecniche, desideri e bisogni nuovi, illimitati. Si pensi a quanto la sessualità umana si allontani della scopi di mero coito e riproduttivi. Si pensi a quanto il cibo umano vada al di là della mera fame o nutrizione. Si pensi alla moltiplicazione dei beni e delle produzioni.

17

Naturalmente vi è un input anche nuovo ed aggiuntivo dalla società.

18 Anche a livello psicolgico individuale “consumare” diventa un valore in sè ed i bisogni o la ricerca di bisogni diviene funzionale a questa

condotta e raggiungimento.

19 La teoria Darwiniana ha regalato alla scienza un fondamentale modello di processo che è generale, che va al di là della biologia e della

spiegazione delle forme viventi; che si applica ad altri domini, senza renderli "vita".

20

61

Però, dall’altro lato, questo meccanismo ha alcuni aspetti perversi non solo in quanto alienati (l’uomo non capisce o non controlla i suoi stessi poteri ed i poteri che con essi crea e delega) ma in quanto pervertono la funzione originaria, e spesso la tradiscono.

Quello che ho cercato brevemente di suggerire in questo intervento è che la sfida sarebbe di andare al di là di importanti e ben note constatazioni descrittive (sociologiche, politiche, filosofiche) per individuare e modellare i

meccanismi sottostanti al fenomeno, che non possono che essere cognitivi e interazionali.

RIFERIMENTI

[1] Castelfranchi, C. (2000). Per una teoria pessimistica della mano invisibile e dell’ordine spontaneo. In Salvatore Rizzello (a cura di)

Organizzazione, informazione e conoscenza. Saggi su F.A. von Hayek. Torino, UTET.

[2] Castelfranchi, C. (2001). The theory of social functions. Challenges for multi-agent-based social simulation and multi-agent learning. Journal

of Cognitive Systems Research 2, 5-38. Elsevier. http://www.cogsci.rpi.edu/~rsun/si-mal/article1.pdf

[3] Castelfranchi, C. (2003) The Micro-Macro Constitution of Power, ProtoSociology, An International Journal of Interdisciplinary Research, Double Vol. 18-19- Understanding the Social II – Philosophy of Sociality, Edited by Raimo Tuomela, Gerhard Preyer, and Georg Peter. [4] Hertz, N. (2002) The Silent Takeover : Global Capitalism and the Death of Democracy

[5] Kelley, K. (2010) Waht Technolgy Wants. Peguin Group, N.Y.

[6] Miceli, M e Castelfranchi, C. (1992) La cognizione del valore. Una teoria cognitiva dei meccanismi e processi valutativi. Milano: Franco Angeli.

[7] Miceli, M. e Castelfranchi, C. (in press) Coherence of conduct and the self-image. In Fabio Raglieri (ed.) Consciousness in Interaction: The Role of the Natural and Social Environment in Shaping Consciousness, John Benjamins, Amsterdam.

62

Effetti del contenuto pragmatico degli enunciati e della

Outline

Documenti correlati